Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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L’Alta Via ‘Golfo dell’Isola’: 25 km di fascino e sorprese. Lo storia dei Millelire, il trisavolo Alessandro comprò l’isola


L’Alta Via “Golfo dell’Isola” (AVGI) è un itinerario di circa 25 km che, percorrendo lo splendido crinale affacciato sul mare, unisce i quattro Comuni di BergeggiSpotornoVezzi Portio e Noli, attraversando ambienti di grande interesse paesaggistico e ambientale. L’itinerario, che collega i principali percorsi presenti sul territorio, può essere diviso in 5 tappe di diversa lunghezza e difficoltà. Sono quasi tutti percorsi “a misura di bambino”, in quanto la distanza più lunga è calcolato in circa 2 ore e 15 di cammino, con un dislivello massimo di 380 metri.

di Alesben B.

L’unione fa la forza. Devono certamente aver preso ispirazione da questo motto i Comuni di Bergeggi, Noli, Spotorno e Vezzi Portio che, in un panorama di forte crisi generale e del settore turismo, hanno deciso di concordare un progetto di promozione turistica. Per farlo hanno pensato ad un’iniziativa che rilancia il Comprensorio “Il Golfo dell’Isola” nato nel 2008 da un accordo sottoscritto dai quattro sindaci.

L’accordo fu un primo passo per raccordare le sensibilità in tema turistico fra quattro realtà che si affacciano su un golfo prezioso e molto conosciuto per le sue caratteristiche ambientali, storiche e balneari; Bergeggi con l’Area Marina protetta dell’Isola, Spotorno con il centro storico e i suoi arenili, Noli con il suo Borgo Medioevale ed il nucleo di pescatori, Vezzi Portio con l’entroterra tipico ed il Museo del Miele. È cresciuto l’interesse da parte dei quattro Comuni attorno all’idea di raccordare le iniziative di accoglienza e di visibilità creando le condizioni per una politica di promozione turistica che si sviluppi attorno a nuove direttive e si ponga l’obiettivo di raggiungere una clientela attraverso informazioni più razionali e complete. Si tratta in sostanza di portare a compimento un progetto che unifica le politiche turistiche e che le razionalizza. I quattro comuni, sono riusciti a trovare un punto d’intesa molto avanzato che presenta oggi una realtà comprensoriale ben strutturata, omogenea sotto l’aspetto orografico, di forte appeal turistico per le caratteristiche dei luoghi, riconoscibile per il suo Golfo, apprezzabile per la tutela ambientale.

E’ difficile ritrovare in Liguria, salvo le note località, un territorio-golfo con così forti legami ed al tempo stesso in grado di superare le storiche contrapposizioni campaniliste, per approdare al nuovo inizio di una economia turistica indebolita da una serie di scelte nazionali e non solo. Mentre l’Italia vive un momento di forte dissociazione sociale e si moltiplicano scelte, sia pure inevitabili, che rischiano di comprimere le nostre piccole economie, non in grado di reggere un lungo periodo di disagio economico, Il Golfo dell’Isola lancia un messaggio di convergenza e di stima reciproca. Poiché la fiducia verso la cosa pubblica è sempre più in crisi e rischia di travolgere tutto. Bergeggi, Noli e Spotorno hanno stanziato tre euro ad abitante, Vezzi Portio un euro, per un totale di 25.000 euro. Denaro pubblico che verrà utilizzato per strutturare il Comprensorio Il Golfo dell’Isola e per avviare una politica di promozione che dovrà necessariamente protrarsi nel tempo con iniziative in grado di far crescere visibilità e arrivi”.

“Non sono solo parole, quindi, ma fatti, perché Il Golfo dell’Isola da oggi è operativo e i quattro Comuni possono operare grazie agli stanziamenti effettuati ed al programma di lavoro in questi giorni approvato dalle singole Giunte.

Germano Barbano ex Presidente del Golfo dell’Isola Sindaco di Vezzi Portio presenta e commenta l’iniziativa: “
I
l Golfo dell’Isola è l’opportunità concreta di sviluppo e promozione per il nostro territorio in questa comunione di intenti che lega le quattro amministrazioni comunali di Bergeggi, Noli, Spotorno e Vezzi Portio. L’unione è stata anticipatrice di strategie e necessità che oggi emergono anche a livello nazionale, ma che nel nostro caso non consistono in un semplice accorpamento per razionalizzare delle attività e ottimizzare l’utilizzo di risorse finanziarie sempre più scarse, ma riguardano un arricchimento reciproco di competenze professionali, azioni e volontà politiche comuni per la nostra collettività, guidate dalla passione e dall’amore per il nostro straordinario territorio, consci dei valori che abbiamo costruito nel tempo. Le valenze ambientali, storico-artistiche, culturali, turistiche di questo lembo di Liguria ci permettono di offrire a tutti i visitatori che decidono di passare una vacanza nel Golfo dell’Isola, una varietà di possibilità che pochi luoghi sono in grado di dare contemporaneamente, a partire dallo scenario della Riserva Marina dell’Isola di Bergeggi che si specchia nel blu, ai borghi costruiti pietra su pietra nel nostro verdissimo entroterra a pochi minuti di distanza. Ma non c’è solo questo. C’è il lavoro dell’uomo, le nostre attività al servizio del comparto turistico come quelle più tradizionali, dalla pesca all’agricoltura all’artigianato. Ci sono i tanti eventi culturali e di spettacolo, le opportunità di sport e di outdoor, una frontiera che stiamo percorrendo tutti insieme e che sta portando nel nostro Golfo dell’Isola appassionati da ogni parte del mondo, affascinati di poter svolgere le loro discipline sportive in uno scenario straordinario. C’è il nostro patrimonio storico-artistico, i nostri monumenti, le nostre chiese, le nostre tradizioni popolari, l’ancestrale cultura materiale della nostra gastronomia, tra le più sostenibili e compatibili con il territorio e le sue risorse, giusto per rimanere in tema Expo senza perderne di vista i veri valori.”

Quello che vogliamo oggi offrire, a chi ci legge, è una carrellata di specie [flora e fauna] remote che tutt’ora si sono conservate e che rappresentano un territorio le cui origini partano dall’aspetto finalese dal langhiano – serraviliano fino allo stato odierno.

La zona interna è definibile come un altopiano piatto, che a nord delle Manie acquista una sua singolarità. Infatti, circa 25 milioni di anni fa, in questa area esisteva un golfo [] separato dal mare aperto da una soglia, forse coincidente con l’altopiano delle Manie e della Caprazoppa: le acque di questo golfo possono essere assimilate ad una attuale zona caraibica con acque tranquille, calde, limpide che pullulavano di vita. Con gli eventi successivi che hanno portato ad un ulteriore sollevamento della catena alpina, questo fondo marino è stato sollevato a quasi 400 metri di quota, mantenendo quasi intatto il suo stato originario di giacitura formando un altopiano debolmente

inclinato verso sud: l’altopiano di Finale. Una volta esposto agli agenti atmosferici, l’altopiano è stato interessato subito da fenomeni di dissoluzione legati da un lato alla natura stessa della roccia, dall’altro al fatto che la roccia non è compatta, ma vacuolare e talora interessata da fratture generatesi durante le fasi di assestamento della catena alpina nel quaternario.

I Siti d’Importanza Comunitaria proposti dalla Regione alla Comunità Europea sono 124, dei quali 26 interessano aree esclusivamente marine; complessivamente i SIC terrestri ricoprono una superficie di circa 130.000 ettari, i SIC marini circa 5.000 ettari; le ZPS sono invece 7, per un totale di circa 20.000 ettari, i cui territori si sovrappongono in parte a quelli di alcuni SIC terrestri.

Obiettivo della Rete Natura 2000 è quello di garantire nel tempo la conservazione della biodiversità a livello comunitario, attraverso la tutela sia di habitat (Allegato I della Direttiva 92/43), sia di singole specie (Allegati II e IV della Direttiva 92/43, Allegato I della Direttiva 79/409); la direttiva “Habitat” attribuisce anche un interesse prioritario alla conservazione di alcuni habitat e di alcune specie; le specie prioritarie presenti in Liguria sono una farfalla, Euplagia quadripunctaria, ed una pianta, Campanula sabatia.

I SIC terrestri liguri interessano 14 zone di tipo alpino, 11 zone di tipo continentale e 73 zone di tipo mediterraneo, dati che evidenziano la notevole biodiversità del territorio regionale, connettivo tra regioni biogeografiche differenti: una cerniera tra Alpi ed Appennino, tra Mediterraneo e Pianura Padana.

In provincia di Savona sono stati individuati 28 SIC terrestri e 7 SIC marini, ai quali si aggiunge parte di una ZPS situata tra le province di Genova e di Savona. I SIC savonesi appartenenti alla regione biogeografica alpina sono 9 e coprono complessivamente 15.147 ettari, quelli appartenenti alla regione biogeografica mediterranea sono 16, per un totale di 32.507 ettari, infine quelli riconducibili alla regione biogeografica continentale sono 3 con 1.755 ettari.

SIC “Finalese – Capo Noli” (IT 1323201) si estende per un’area di circa 2.800 ettari. Geologicamente, l’area presenta aspetti peculiari che la rendono unica. La costa è dominata da falesie, “vive” e “morte” (non più soggette all’azione delle onde), spiagge fossili cementate dall’azione dell’acqua calcarea (beach rocks), terrazzi marini che testimoniano antiche linee di riva, e grotte, come la spettacolare Grotta dei Falsari, generata dall’acqua dolce ma modellata dal mare.

Nell’entroterra, un sistema di altipiani carsici si sviluppa ad una quota di circa 300 metri, costituito da una roccia che esiste solo qui: la “Pietra di Finale”, un calcare bianco-rosato ricchissimo di fossili, nel quale si sono sviluppate morfologie carsiche come valli cieche, doline, grotte e caverne al cui interno si sono rinvenute testimonianze di un’antichissima presenza dell’uomo nel territorio.

SIC “Isola di Bergeggi-Punta Predani” (IT 1323202) si estende per un’area di 10 ettari, sovrapponendosi parzialmente all’area della Riserva Naturale Regionale di Bergeggi. Il colore grigio della roccia è l’elemento dominante di questo paesaggio tormentato da grandi pieghe e faglie, ben visibili a monte dell’Aurelia. È un tratto di costa articolato, con falesie attive che si alternano a piccole spiagge incassate (pocket beach) e ciottolose, interrotto da minuscole grotte. Più grande è la Grotta Marina di Bergeggi, testimone delle variazioni del livello del mare: nei periodi glaciali, quando le acque si abbassavano e l’isola era collegata alla costa, l’uomo l’ha colonizzata lasciando preziose testimonianze del suo passato, mentre sulle sue pareti i fori dei litodomi (molluschi litofagi, cioè “mangiatori di roc cia”) sono segno dell’innalzamento delle acque nei periodi interglaciali, come con fermano linee di riva ed antichi terrazzi marini a varie quote.

L’Area Marina Protetta “Isola di Bergeggi” ed il Sito di Interesse Comunitario “Fondali Noli – Bergeggi” proteggono un tratto di mare di estensione ridotta ma estremamente interessante, ricco e diversificato la regolamentazione della pesca, della navigazione e delle attività subacquee permette in zona la vita di numerose specie animali ed il mantenimento di ambienti sani e rigogliosi. In particolare, dal momento di istituzione dell’Area Marina Protetta, nel 2007, si è registrato sia lungo la costa che intorno all’Isola di Bergeggi un sostanziale aumento nell’abbondanza di pesci di grosse dimensioni, quali barracuda, dentici, cernie, scorfani rossi e murene.

Queste ultime in particolare risultano essere molto comuni, spesso di grande taglia, e soprattutto molto confidenti nei confronti dei subacquei, al punto che in immersione è facile vedere grossi esemplari nuotare rapidi fuori tana o affacciarsi curiosi dagli anfratti, per nulla intimoriti dalle macchine fotografiche puntate verso le loro bocche minacciose. Bocche che, è sempre bene ricordarlo, sono spalancate solo per favorire la respirazione; le murene non sono affatto aggressive, e reagiscono solo se infastidite lungamente e se costrette dall’assenza di una via di fuga.

Purtroppo, l’aspetto un po’ “mostruoso” (il corpo serpentiforme, massiccio, lungo fino ad un metro e mezzo, e soprattutto la bocca spalancata irta di piccoli dentini aguzzi) ha da sempre reso questo pesce oggetto di miti sulla sua presunta ferocia e pericolosità. Per quanto non comune sui banchi delle pescherie, la murena comune mediterranea, Muraena helena, è oggetto di pesca sia con lenza che in apnea, ed è nota per la bontà delle sue carni, al punto che era perfino allevata per il consumo in grandi vasche già dai romani. Grazie alle misure di protezione, questo “mostro buono” può continuare a colonizzare gli anfratti dell’Isola di Bergeggi, pedina importante nel grande ecosistema del nostro mare.

Un po di storia- A partire dal IV-V secolo d. C. l’isola, abbandonata dalla guarnigione romana, divenne rifugio monastico. Presso i ruderi del torrione romano, nel pendio rivolto verso la costa, si trovano i resti di una chiesa paleocristiana, insieme a un più ampio edificio romanico a due navate dell’ XI secolo, confermando una continuità d’uso religioso, forse mai disgiunta da quel ruolo militare strategico che la presenza di torri e fortificazioni medievali di vario periodo chiaramente sembra attribuirle.

Secondo una leggenda Sant’Eugenio, vescovo di Cartagine, si sarebbe rifugiato sull’isola nell’Alto Medioevo. Le sue spoglie sarebbero state ospitate proprio nella chiesa paleocristiana sopra citata ed in sua venerazione fu eretto il monastero a due absidi, fatto costruire nel 992 dal Vescovo di Savona, sul versante occidentale, e diretto dai Monaci delle Isole di Lérins fino al 1346. Dopo un lungo periodo di ricchezza si passò ad un’inesorabile declino e già nel 1700 gli edifici presenti sull’isola mostravano un evidente stato di abbandono e rovina.

In seguito, l’isola cambiò diversi proprietari. Nel 1865 Il Vescovo Ottaviano Riccardi la vendette per 800 lire al conte Brassier de Saint-Simon, Ministro di Germania in Italia. Egli, entusiasta di Bergeggi e della sua isola, trascorreva qui ogni anno le vacanze estive con la famiglia. Gli eredi la vendettero per 5000 lire a Leonardo Gastaldi. Successivamente venne acquistata dall’avvocato Alessandro MillelireAlbini che vi eseguì importanti lavori: la cinse con muri, rese più agevole la strada che conduce ai ruderi delle torri e ai resti del monastero e della chiesa, costruì un piccolo molo nello stesso luogo ove esisteva quello costruito dai romani, di cui rimangono tracce. I Millelire erano proprietario anche del ‘castello’ (poi trasformato da una società in alloggi) e a Bergeggi ha vissuto fino agli anni ’80. Aveva un figlio sposato e tre nipoti femmine che a loro volta coniugate, con una prole di figli e figlie (siano così alla quarta generazione). La tomba di famiglia ben ricostruisce l’albo genialogico dei Millelire- Albini che poteva esibire anche un titolo nobiliare.

La flora Sulle rupi si rinvengono piante rare in Liguria e prossime al limite nord della propria area di distribuzione, come la barba di Giove (Anthyllis barba-jovis), l’euforbia arborescente (Euphorbia dendroides) e la timelea barbosa o spazzaforno (Thymealea irsuta). L’isolotto, colonizzato da una nutrita popolazione nidificante di gabbiano reale (Larus cachinnans), ospita residui di macchia mediterranea, di oliveti, e piante nitrofi le come la fella (Ferula communis), al limite nord della propria distribuzione. Nel sito è stata segnalata la campanula di Savona (Campanula sabatia), tutelata dalla “Direttiva Habitat”.

Anthyllis barba-jovis- La Barba di Giove è una pianta perenne a portamento arbustivo che può oltrepassare anche 1metro e mezzo di altezza. Ha fusto eretto e rami legnosi e specialmente i getti giovani sono ricoperti da finissima peluria appressata e setosa, di color bianco argenteo. Le foglie sono composte da 9/19 segmenti lineari-spatolati, lunghe poco più di 1 cm e mezzo e larghe fino a 5 millimetri, ricoperte anch’esse da fitta peluria. I fiori riuniti in vistosi capolini terminali, hanno un luminoso color giallo crema chiaro, avvolti da un involucro di brattee appressate. Il calice campanulato, è lungo 4-6 mm con brevi denti triangolari; la corolla ha forma papilionacea ed è lunga 8/9 mm, con dieci stami riuniti.

Il frutto è un breve baccello glabro, piuttosto schiacciato, contenente un solo seme scuro. La pianta di grande effetto estetico, spesso viene coltivata nei giardini rocciosi costieri. Il suo nome scientifico proviene dal diminutivo della parola greca ‘Anthos’, che significa perciò ‘fiorellino’. ‘Barba Jovis’ è invece un termine latino che si riferisce alla pelosità argentea della pianta che può ricordare la barba di un dio.

Euphorbia dendroides- Il nome del genere in onore a Euphorbius, medico del Re Juba II di Mauritania nel I secolo a. C. e fratello di Antonius Musa, medico presso l’Imperatore Cesare Ottaviano Augusto; questa attribuzione fu data per il fatto che Euphorbius fu il primo ad utilizzare le piante del genere Euphorbia in campo medico.

Il nome specifico dal greco δένδρον (dendron) = albero, col suffisso latino –oides che ha il significato di “somigliante a”, quindi dendroides = “che ha le fattezze di un albero”, con ovvio riferimento al portamento della pianta.

Pianta monoica, caducifolia, a portamento cespuglioso, alta fino a 2-3 m, o poco più, lattiginosa, con chioma spesso arrotondata, densamente ramificata, ma lassamente fogliosa. Fusti semilegnosi con corteccia grigio-brunastra, variamente scabra; ramificazione prevalentemente dicotoma, con rami giovanili bruno-rossastri; nuovi getti erbaceo-lattiginosi, glabri, verdastri-chiari in alto, fortemente arrossati verso la base; rami di più di un anno con evidenti cicatrici fogliari. La ripresa vegetativa avviene all’inizio dell’autunno, in corrispondenza delle prime piogge, con fioritura che avviene nel tardo inverno.

Con l’inizio della stagione secca le foglie si arrossano fino a cadere; il riposo vegetativo lo si ha dunque durante l’estate, essendo questa, nelle regioni temperate mediterranee, la stagione più avversa. Le foglie, portate solo sui nuovi getti e su questi sparsamente disposte, sono sessili; lamina intera, lineare-lanceolata (o lineare-oblanceolata), lunga fino a 8 cm, con apice ottuso, arrotondato, spesso brevemente mucronato; pagina inferiore leggermente più chiara della superiore.

In ciani portati da ombrelle apicali a 4-8 (di rado anche 10-15) raggi, generalmente biforcati (in alternativa doppiamente biforcati); brattee alla base dell’ombrella in verticillo, in genere di 5 elementi simili alle altre foglie, ma di norma meno allungate, e quindi a lamina ovata o ellittico-lanceolata, da concolori alle foglie a verde-giallastre; brattee alla base di ciascuna biforcazione 2, libere, opposte, a lamina da largamente ovata a subrotonda, verde-giallastre. Ciazio sessile, glabro (rarissimamente peloso) con brattee alla base dell’involucro simili, per forma e colore, a quelle alla base delle biforcazioni, ma più piccole, quasi sempre mucronate; nettarii subrotondi, da irregolarmente lobati a brevemente bicornuti, concolori alle brattee alla base dell’involucro, a maturità di un giallo più carico. Fiorisce da settembre a maggio.

Strategie contro l’aridità L’euforbia arborescente si protegge dall’eccessiva evaporazione perdendo le foglie d’estate, al contrario delle “normali” caducifoglie: questo “relitto terziario” era diffuso in Mediterraneo quando il clima era di tipo tropicale, e scomparì da molte zone con le glaciazioni quaternarie. Anche il sale tende ad “asciugare” i tessuti: le scogliere esposte agli spruzzi ed alla salsedine sono colonizzate da comunità vegetali alofitiche (cioè capaci di vivere in un ambiente “salato”), composte da specie altamente adattate, con foglie carnose e in grado di trattenere acqua al loro interno, come il finocchio marino (Crithmum maritimum) e lo statice della riviera (Limonium cordatum).

Tra terra e mare L’area del SIC è frequentata da uccelli acquatici: garzetta (Egretta garzetta), nitticora (Nyc ticorax nycticorax), strolaghe (Gavia arctica e stellata), gabbiano corallino (Larus melanocephalus) e beccapesci (Sterna sandvicensis) sono tutelati dalla “Direttiva Uccelli”.

Le piccole spiagge a tasca ospitano specie vegetali annuali che fioriscono sulla sabbia, formando una comunità estremamente vulnerabile, tutelata dalla “Direttiva Habitat”, così come gli ambienti di transizione costituiti da rocce esposte all’azione del moto ondoso, pozze di scogliera, grotte e sporgenze litorali.

“Storia del gabbiano reale, uccello marino di rara bellezza, che in 20 anni è passato dal rischio di estinzione all’esubero numerico.

Negli anni ’80, vedere un gabbiano reale, anche per mare, era un fatto estremamente raro e motivo di felicità. Oggi la situazione si è capovolta. Bergeggi è Riserva Naturale Regionale, Sito d’Interesse Comunitario (SIC) terrestre e marino ed Area Marina Protetta.

I siti della Rete Natura 2000 (SIC) hanno tra gli scopi istitutivi proprio la tutela degli uccelli, Bergeggi sembra fatta apposta per ospitare colonie di uccelli marini nidificanti, viste le sue falesie carbonatiche strapiombanti, l’Isola prospiciente ed un mare ricco di pesce.

La scarsità di sentieri e la ridotta presenza dell’uomo (l’Isola è disabitata e l’ingresso è precluso da 2 cancelli nell’unico punto di approdo poiché è privata), sembrerebbero farne il luogo ideale per la nidificazione del cormorano, delle berte marine e delle diverse specie di gabbiano.

Il gabbiano reale è un uccello molto forte e di rara bellezza, con atteggiamenti cannibali nei confronti dei piccoli; nidifica in primavera sui tetti delle case e per terra nei luoghi dove non è minacciato da predatori o disturbato dall’eccessiva presenza antropica.

L’Isola di Bergeggi è il luogo ideale per la nidificazione visto che è poco frequentata dall’uomo e priva di predatori. Il comportamento aggressivo dei gabbiani reali non consente agli altri uccelli marini di rimpossessarsi delle scogliere bergeggine per la nidificazione, e l’abbondante guano prodotto tende a sbilanciare l’assetto vegetazionale della flora: il rarissimo endemismo savonese della campanula di Savona (Campanula sabatia), rischia infatti di sparire, a favore di piante infestanti nitrofile, come le ortiche, le ferule, ecc.

Il gabbiano reale, quando presente in alta concentrazione, è avvertito come un fastidio dall’uomo poiché sporca il bucato steso, le autovetture e le persone stesse e manifesta atteggiamenti aggressivi durante la cova delle uova e lo svezzamento dei pulli (i pulcini grossi come galline) nei confronti di chi si avvicina.

Il contenimento del problema a livello locale è impossibile, vista l’elevata densità dell’uccello marino nell’intero arco ligure. I tetti di Bergeggi si stanno riempiendo di gufi e falchi finti nella speranza di allontanare i gabbiani dalle case, ma i candidi pennuti ci hanno messo poco a capire che questi feticci non erano temibili come i veri predatori. Anche i modelli più evoluti, che girano la testa con un motore e un timer, osservano melanconicamente il mare vinti dalla natura. Per fortuna, alcuni esemplari di gabbiano continuano ad alimentarsi in mare, e saltuariamente regalano ai bergeggini, che vivono arroccati sulla scoscesa costa, degli spettacoli unici, assembrandosi sull’acqua a mangiare i pesciolini aggregati in banco.

De Andrè, nel suo LP “Anime salve” (1996), cantava che “l’acciuga fa il pallone che sotto c’è l’ala lunga”; beh, ad approfittare del ricco banchetto a Bergeggi è tornato il gabbiano reale, che con il suo sistema di raggiungere dal cielo la mangianza, aiuta il pescatore a individuare i grandi e medi pesci pelagici, come il tonno rosso, il tonno bianco o alalunga, l’alletterato, i bonitti e le palamite.

Conviene abituarsi a loro e cogliere l’aspetto piacevole del poter osservare uno degli uccelli più belli d’Italia, anche da ridotta distanza. In primavera, passeggiando sull’Aurelia, è addirittura possibile osservarne le nidiate, incastonate sulla bianca dolomia, in un variegato mosaico di viole ciocche in fiore, la barba di giove ed il blu del mare. Senza dimenticare che il birdwatching alle colonie di uccelli marini è un business mondiale, pensiamo alle pulcinelle marine nelle isole del nord Europa o alle pinguinaie dell’emisfero australe”.

La grotta marina [vedi specie ittiche] – Oltrepassata Punta del Maiolo, dove si può godere di incantevoli scorci panoramici del vicino isolotto e dell’intero golfo fino a Capo Noli, si raggiungono le alte falesie che sovrastano il Lido delle Sirene.

La piccola spiaggia, particolarmente apprezzata dai turisti balneari, mostra ben evidenti gli effetti dei movimenti tettonici, delle oscillazioni del livello marino, dei fenomeni carsici e degli agenti esogeni che hanno agito sulle rocce plasmandole e determinando anche la formazione di grotte e piccole cavità. L’escursione prosegue in direzione di Punta Predani, il promontorio che ospita la croce bianca in ricordo delle vittime del transatlantico britannico Transylvania, affondato durante la prima guerra mondiale da un sottomarino tedesco davanti a queste coste e il cui relitto è stato recentemente ritrovato, dagli uomini del Centro Carabinieri Subacquei di Genova, ad una profondità di circa 600 m. Giunti presso Punta delle Grotte, si scende la spettacolare scalinata scavata nella roccia per accedere all’interno della principale cavità carsica della costa, la Grotta Marina, che costituisce un ambiente di grande valore naturalistico oltre che per la spettacolarità dei fenomeni carsici, anche per la varietà di popolamenti biologici presenti.

La grotta, originatasi per corrosione carsica in un calcare dolomitico del Trias medio, risalente a circa 200 milioni di anni fa, presenta, nella parte emersa, un’ampia cavità principale nella quale oggi entra il mare e alcune diramazioni poste a livelli superiori mentre, sotto il livello del mare, si articola in diversi cunicoli, sale più o meno ampie e laghi salmastri, in cui l’acqua marina si mescola ad acqua di origine continentale proveniente da infiltrazioni.

La Grotta della Galleria del Treno – La Grotta della Galleria del Treno, così come la Grotta Marina che si apre poco distante, nelle falesie a picco sul mare, è una cavità carsica formatasi all’interno di un massiccio di calcari dolomitici appartenenti alla formazione di S. Pietro dei Monti. Si tratta di una cavità carsica scoperta casualmente nel 1870, durante i lavori di scavo della galleria ferroviaria che attraversa il promontorio di Bergeggi.


La galleria che dà accesso alla grotta è ormai in disuso dal 1970 circa, da quando la linea ferroviaria Genova-Ventimiglia venne spostata più a monte e la tratta in questione abbandonata, ma il tratto iniziale della cavità carsica presenta le pareti, il pavimento e la volta anneriti dal nerofumo depositato dai treni a vapore che per circa cinquant’anni vi transitarono.

In questo contesto spiccano bianchissime colate concrezionali e la candida sommità di parecchie stalattiti e stalagmiti, dove il carbonato di calcio si è depositato negli ultimi trent’anni, quando la grotta cessò di essere interessata dai ripetuti repentini sbalzi di pressione atmosferica in corrispondenza del transito in galleria dei treni.

La Grotta della Galleria del Treno di Bergeggi ha uno sviluppo totale, considerando la lunghezza di tutti i rami che la compongono, di varie centinaia di metri. La grotta è formata da varie sale di diversa ampiezza. Il fondo della sala più grande ospitava un bel laghetto, che ora non esiste più perché la costruzione della nuova galleria ferroviaria, a monte della grotta, ha causato la captazione della falda idrica che lo alimentava. Le testimonianze in essa conservate, la morfologia delle pareti e i depositi marini e continentali che si trovano al suo interno, permettono di raccogliere dati fondamentali relativi all’evoluzione dell’intera area costiera durante il Quaternario, era geologica caratterizzata da numerose e intense variazioni climatiche (glaciazioni) con conseguenti oscillazioni del livello del mare. Frequentata fin dall’antichità, al suo interno sono stati rinvenuti numerosi reperti paleontologici risalenti al Neolitico che testimoniano l’uso della grotta sia a scopo sepolcrale sia abitativo.

Le specie di arbusti che crescono sui litorali pseudo sabbiosi, accanto ad essa, si identificano in: Cakile maritima, Salsola kali, Atriplex spp. (particolarmente Atriplex glabriuscula), Polygonum spp., Euphorbia peplis, Mertensia maritima, Elymus repens, Potentilla anserina, e, particolarmente nelle formazioni mediterranee, Glaucium flavum, Matthiola sinuata, Matthiola tricuspidata, Euphorbia paralias, Eryngium maritimum.

Localmente, soprattutto nella riviera di ponente, si distinguono aspetti con Polygonum robertii e Lotus cytisoides, interpretabili come stadi iniziali di consolidamento collegabili alla classe Ammophiletea della quale attualmente non si riscontrano fitocenosi vere e proprie, ma solo elementi dispersi (Elymus farctus, Lagurus ovatus, Medicago littoralis).

In presenza di manufatti che delimitano a monte le spiagge si assiste alla compenetrazione fra elementi dei Cakiletea, Parietarietea e Stellarietea. L’habitat insiste ormai quasi ovunque in aree di spiaggia utilizzati per l’attività balneare, dove esso non riesce più a svilupparsi in modo soddisfacente a causa dei continui interventi, e in particolare dell’allestimento di strutture mobili (cabine, locali, ecc.) o la distruzione diretta con costruzioni stabili (edifici, strade, moli, muri, difese costiere in cemento o in massi ciclopici, ecc.).

Esso inoltre risente indirettamente, ma significativamente dell’uso del suolo e delle attività svolte nella fascia costiera retrostante (insediamenti abitativi o industriali, infrastrutture diverse, turismo, trasporti, “

Le “Psammofite” (piante delle sabbie) sono specie vegetali che vivono sulle spiagge sabbiose nella zona costiera. Esse, per il fatto di trovarsi esclusivamente in prossimità del mare, e quindi in ambienti ricchi di salsedine, sono anche “alofile” (amanti della salsedine).

La vita delle psammofie alofile è condizionata dall’elevato tenore di sali minerali (sopratutto cloruro di sodio) presenti nelle sabbie e nel vento di mare. Per questo esse hanno evoluto degli adattamenti incredibili per sopravvivere in ambienti tanto ostili, paragonabili ai deserti. In particolare, queste piante hanno una straordinaria capacità di trovare e accumulare la scarsissima acqua disponibile, resistendo al calore dei raggi solari.Tra le specie tipiche delle sabbie, alcune si trovano ormai solamente in uno o pochi siti della nostra provincia, che conservano quindi un valore ambientale importantissimo a livello regionale. Qui sono raffigurate alcune specie
ostili, paragonabili ai deserti. In particolare, queste piante hanno una straordinaria capacità di trovare e accumulare la

scarsissima acqua disponibile, resistendo al calore dei raggi solari.Tra le specie tipiche delle sabbie, alcune si trovano ormai solamente in uno o pochi siti della nostra provincia, che conservano quindi un valore ambientale importantissimo a livello regionale. Alcune specie presenti in Provincia di Savona: talune comuni, altre assai più rare, censite in molti anni di ricerca dalle Guardie Ecologiche Volontarie.

Le specie vegetali psammofile – La sabbia essendo costituita da particelle relativamente grandi ed incoerenti. non è in grado di trattenere la acqua delle precipitazioni atmosferiche, per cui le piante che vivono nella sabbia sono costrette a mettere in atto alcune strategie: in primo luogo devono essere in grado di assorbire velocemente l`acqua dolce delle piogge e trattenerla nei loro tessuti il più a lungo possibile; in secondo luogo devono possedere un apparato radicale sufficientemente esteso e sviluppato da risultare efficace ad “ancorare” la pianta in un suolo così incoerente.

Le psammofile hanno molti punti di contatto con le piante tipiche dei deserti [in questo caso si parla di convergenza morfologica]; infatti come queste, spesso sono succulente ovvero “carnose”, garantendo così una riserva idrica nei periodi di carenza e siccità. Per vivere in questi ambienti particolarmente ostili, queste piante hanno messo in atto anche altri adattamenti morfologici e fisiologici, generalmente sono di colore chiaro e ricoperti da una leggera peluria per proteggersi al meglio dai raggi del sole, oppure, in casi limiti, presentano una superficie fogliare ridotta, ovvero le foglie si trasformano in spine, al fine di evitare una eccessiva vaporazione. Evapo-traspirazione.

Queste piante, inoltre, generalmente sono basse o presentano un comportamento prostrato per opporre resistenza meccanica al vento e i germogli sono posizionati lungo il loro fusto a diverse altezze per evitare il completo seppellimento della parte aerea da parte della sabbia portata dal vento stesso. Le comunità psammifile assumono un ruolo fondamentale per l`esistenza delle comunità stabili che si trovano subito a ridosso delle spiagge, poiché mitigano l´effetto di alcuni parametri chimico fisici, costituendo una vera e propria barriera per queste altre piante.

Queste quindi vivono in condizioni migliori, nelle zone più interne, lontano dalla battigia, i luoghi dove diminuisce il contenuto dei sali trasportati dal vento e diminuisce anche l`azione aggressiva della sabbia e dove si ha un maggior contenuto di sostanze organiche nutritive e l`umidità dell`acqua piovana viene trattenuta più efficacemente. Si può immaginare un vero e proprio gradiente vegetazionale e si è assistito ad una continua, processo in atto già da anni.

Nonostante tutti gli adattamenti messi in atto, le condizioni così estreme a cui queste piante sono sottoposte hanno fatto si che solo poche specie pioniere [quali ad esempio Cakile marittima] siano state capaci di sopravvivere, divenendo spesso endemismi specifici solo di alcune zone.

Nel caso specifico delle psammofile tipiche della Liguria, queste piante, a causa dell`erosione marina e per il fatto che le spiagge, già da tempo ma soprattutto oggi, sono sempre più soggette ad una intensa attività antropica [attività balneari, turismo, costruzioni di arenili e scogliere) che ha profondamente modificato il loro habitat tipico, sono presenti in numero limitato o si trovano oggi in zone dove originariamente non erano presenti.

Le prime indicazioni approfondite riguardanti lo studio della flora psammofila ligure risalgono al 1939 e questo lavoro risulta molto prezioso come punto di partenza dal momento che vengono dettagliatamente descritte le varie specie e la loro collocazione in zone precise – Sergio Conti – To – Accademia delle scienze. Da allora, un costante monitoraggio e censimento è stato svolto dai ricercatori dell`Università di Genova.

Nel 2001 nasce “Un fiore di spiaggia” [], un originale progetto per la conservazione, lo studio e la reintroduzione di psammofile, rare o a rischio estinzione.quando si parla di progetti di conservazione delle biodiversità vegetale tornano alla mente alcuni luoghi comuni: se il promotore dell`azione è un ente lolale, si pensa subito a norme restrittive o a divieti; se la proposta giunge da un`istituzione scientifica, si pensa a laboratori e ad alchimie per la moltiplicazione di piante rare. Le forti motivazioni che hanno portato a studiare questo particolare gruppo di piante, le psammofile, risiedono nel fatto che durante tutto il Novecento, le attività antropiche in Liguria [la costruzione della linea ferroviaria, l`espansione edilizia ed il crescente turismo balneare], hanno profondamente trasformato gli arenili ed impoverito la flora tipica, portando sull`orlo d`estinzione locale alcune piante rappresentative, quali

Pancratium maritimum, Cokile maritima, Salsola kali, Chritmum maritimum, Glaucium flavum, Labularia maritima, Lagurus ovatus e Asphodelus fistolosus.

L`idea è stata quella di raccogliere semi o prelevare piccole talee di queste piante e di propagarle sia “in vivo” (serra) sia “in vitro” (laboratorio) secondo le loro particolari esigenze colturali. Una volta che si sono ottenuti parecchi nuovi individui per ciascuna specie presa in considerazione, questi sono stati messi a dimora prima della stagione estiva presso gli stabilimenti balneari. Le spiagge quindi sono state abbellite da aiuole contenenti queste piante generalmente sconosciute; i bagnanti ed i turisti ospiti hanno potuto apprezzarle e vederle da vicino e conoscerle meglio grazie anche ai pannelli divulgativi.

È risultata un`iniziativa innovativa originale, unica nel suo genere, dove i responsabili stessi dell`alterazione di un ambiente, ne promuovono il recupero, traendone un vantaggio di immagine nei riguardi dei propri clienti che imparano a conoscere ed apprezzare le peculiarità di un luogo che non è di solo divertimento estivo, ma uno dei tanti tasselli che rendono ricca la diversità vegetale di un territorio, garantendo così una nuova fonte di individui e quindi di nuovi semi nel loro specifico habitat originario e facilitando in tal modo il naturale inserimento della specie.

Non tutte le specie prese in considerazione sono rarissime, ma si effettua una scelta di piante che potessero essere esteticamente valide per accontentare gli utenti del progetto (stabilimenti e bagnanti): sono state scelte tra quelle rarissime per la regione, il “giglio di spiaggia” [Pancratium maritimum] e altre meno frequenti [Lagurus ovatus], inoltre sono state individuate altre che garantissero una prolungata fioritura estiva [Loburaria maritima e Cokile maritima] o che avessero fiori molto vistosi [Glaucium flavum]. Di seguito si riporta una breve descrizione botanica ed alcune curiosità
di queste psammofile.

Tra le specie in questione, infatti, alcune si ritrovano ormai solamente in uno o pochi siti della Provincia di Savona conservando, quindi, un valore ambientale importantissimo a livello regionale e nazionale.

CRITHMUM MARITIMUM- [ fam. Umbelliferae], conosciuto anche come “Critmo o Finocchio di mare“.

È una pianta perenne e glabra (senza peluria), alta 10 – 15 cm, con fusto flessuoso. Presenta foglie carnose e lucide, di colore verde intenso. I fiori sono molto piccoli, poco vistosi di colore bianco-verdognolo e sono raccolti in ombrelle composte da 10-20 raggi, ornate da un involucro a battee lanceolate e riflesse. La fioritura è principalmente estiva, ma da luglio si può protrarre fino ad ottobre. principalmente estiva, ma da luglio si può potrarre fino ad ottobre.Il Critmo forma associazioni proprie (Critmeti), in consorzio con altre piante rupicole e alofite, in particolare con gli statici. Il suo areale tipico è rappresentato dai litoranei mediterranei. Le rupi a mare esposte agli spruzzi delle onde e alla salsedine sono e stazioni preferite dal Finocchio di mare. In altri tempi la pianta era usata per ricavarne la soda; le foglie, di sapore un po`salato e aromatico, vengono talora preparate sott`aceto per condimento.

CAKILE MARITIMA [fam. Cruciferae] nota come “Ruchetta di mare“. È tra le piante di spiaggia quella con alto impatto ornamentale grazie al delicato colore ed intenso profumo dei suoi fiori. È una pianta annua, erbacea, a fusti prostato-ascendenti, alta da 10 a 40 cm glabra, con foglie irregolarmente divise e lobate a segmenti interi o dentati. Fiorisce quasi tutto l`anno, dai messi invernali e primaverili sino alla più tardi estate ed è caratterizzata da inflorescenze terminali con fiori rosa o lilla. I frutti sono delle silique.

La sua distribuzione tipicamente circummediterranea. È una psammofila e alofita facoltativa che vive frequentemente sui litorali sabbiosi e arenosi sino alla linea di battigia, formando caratteristiche associazioni (Cokiletum). Questa pianta è abbastanza diffusa sul litorale ligure. I suoi frutti sono facilmente trasportati dai venti garantendone la presena in molti ambienti sabbiosi della nostra regione. Al gusto, tutta la pianta ha un sapore piccante.

GLAUCIUM FLAVUM CRANTZ-[fam. Papaveraceae] “Papavero delle sabbie” o “Papavero cornuto“.

È una specie litoranea caratterizzata da una delicata peluria che ricopre fusti e foglie. Raggiunge l`altezza di 30–50 cm. Fiorisce da primavera a estate inoltrata con appariscenti e grandi fiori solitari terminali, di 5–6 cm di diametro, a quattro petali di un bel colore giallo-oro, talora volgenti all`arancione; i 2 sepali sono pelosi e presto caduchi.

Non meno vistoso e curioso è il frutto: una capsula sub cilindrica liscia, un po`arcuata e lunga da 15 a 20-2 cm, donde il nome vogare di papavero cornuto. È una pianta psammofila e alofila che predilige litorali asciutti, insediandosi nelle sabbie, tra le dune. Il papavero delle sabbie, da sempre è presente nelle coste liguri ma oggi si rinvengono piccole popolazioni significative nella Provincia di Savona. In medicina popolare veniva utilizzato l latice del papavero delle sabbie per la cura di ferite, avendo questo proprietà antisettiche, cicatrizzanti ed epiltelizzanti.

SALSOLA KALI L.- [fam. Chenopodiaceae]- È una pianta annuale, molto poliforma nel suo aspetto. Presenta rami distesi, ascendenti o eretti e un portamento scomposto. I fusti sono di colore verde tendente al giallognolo, rivestiti generalmente da una soffice peluria. Le foglie sono carnose e spinose all`apice. Non ha una fioritura appariscente possedendo piccoli fiori insignificanti circondati da brattee spinose. Il frutto è alato per favorirne al massimo la diffusione.

LAGURUS OVATUS- [fam. Gramineae] “Coda di lepre” o “Piumino“. È un`erba annuale, alta fino a 50 cm. È una specie con impatto ornamentale che si trova sugli arenili litoranei delle nostre coste; caratteristica è la sua densa inflorescenza a pannocchia, di forma ovata (da cui il nome), leggerissima e di colore bianco-candido, sericea e morbida al tatto per le lunghe e finissime creste piumose dei suoi numerosissimi fiori.

Fiorisce da maggio a luglio. I “Piumini” delle inflorescenze sono lungamente persistenti, così che vengono spesso raccolti e utilizzati, sia freschi che seccati, per lavori di decorazione floreali e questo è il motivo principale però per cui le popolazioni di queste specie sono state intensamente depauperate.

SALSOLA KALI L.- [fam. Chenopodiaceae]

ASPHODELUS FISTULOLUS L. [Liliaceae]

È una pianta molto robusta e abbastanza rustica, generalmente glabra. Il suo apparato radicale è molto fibroso e ben si affossa nelle sabbie. Sia i fusti sia le foglie sono cave al loro interno. I fiori sono di colore bianco perlaceo hanno 6 tepali petaloidi che presentano una caratteristica venatura centrale marrone o rosa intenso. Questi sono portati separatamente su steli ramificati

PANCRATIUM MARITIMUM L.  [fam. Amaryllidaceae] “Giglio di mare“.

È senza dubbio, tra le piante dei litorali sabbiosi mediterranei quella che riveste un posto d`onore dal punto di vista estetico-ornamentale. Nella calda estate, schiude alle brezze marine i suoi grandi fiori bianchi e profumati. È dotata di un grosso bulbo da cui emergono le foglie glauche e grandi inflorescenze ad ombrello, che porta da 3 a 10 bellissimi fiori. Ogni fiore consta di un perigonio, lungo da 5 a 8 cm, la cui porzione inferiore, tubulosa e di colore verde, si prolunga e si divide in sei lacinie lanceolate bianche e segnate da una stria mediana verdognola. La pianta preferisce spiagge sabbiose molto profonde e tollera molto bene la presenza del sale marino essendo rivestita da cere protettive che la isolano dall`ambiente esterno. Il giglio di mare un tempo era ben noto sulle coste liguri.Nella Riviera di Ponente e in alcune località della Riviera di Levante, si trovano ancora anziani che ricordano le abbondanti fioriture di questi “gigli” tra le barche e le reti dei pescatori, così come sono documentate, nell`immediato dopoguerra, le raccolte di questi fiori sulla spiaggia di Spotorno, che, per tale motivo, veniva chiamata la “Città dei gigli” nella prima metà del secolo.

Pancratium Maritimum è specie esclusivamente arenicola e contribuisce a fissare le dune: il bulbo, infatti, può essere trovato anche ad una profondità di 80 cm, avendo radici retrattili che garantiscono un accurato infossamento. Nei semi è presente un`elevata quantità di parenchima aerifero che circonda e protegge l`embrione con la funzione di permettere il galleggiamento dei semi stessi, facilitandone la dispersione lungo le spiagge.

Le specie ittiche della grotta marina- La Grotta Marina è un vero e proprio scrigno di biodiversità, ospitando in poco spazio una grande concentrazione di specie inusuali. Tra gli abitanti più particolari, troviamo la spugna Petrobiona massiliana, che per lungo tempo fu considerata estinta. Sulle pareti troviamo anche Polycyathus muellerae, una madrepora tipica di ambiente di grotta, altre specie di spugne ed i pennacchi colorati di vermi policheti, come la serpula. Non mancano poi i gamberi, Stenopus spinosus, di colore arancio e dalle lunghe antenne. Le magnose o cicale di mare, Scyllarides latus, prelibate ma strettamente protette, i rari granchi delle grotte, Herbstia condyliata, e le meravigliose cipree, Luria lurida, piccole gemme striscianti lungo le pareti. Sul fondale, nuotano altre due specie rare: il ghiozzo leopardo Thorogobius ephippiatus, di colore bianco a macchie scure, ed il piccolo e poco noto ghiozzetto di Marsiglia Gammogobius steinitzi, di colore giallo.

Petrobiona massiliana,-Petrobiona massiliana è una rara spugna del mar Mediterraneo, che si rinviene presso l’entrata delle grotte marine fino a 30 metri di profondità. Ritenuta estinta per molto tempo, è considerata un fossile vivente sopravvissuto nel suo rifugio primordiale. Bianca e di forma subsferica, possiede uno scheletro calcareo simile a quello dei coralli, di cui si pensa sia stata un’antenata preistorica, oltre a ritenere che sia stata una delle prime costruttrici di barriere coralline. L’unica specie vivente della sottoclasse degli Sfintozoi è Neocoelia crypta, scoperta sull’atollo di Enewetak, nei pressi delle Isole Marshall (Oceano Pacifico).

Polycyathus muellerae- Policathus muellerae è una madrepore coloniale composta da brevi polyperites cilindrici collegati da una lamina basale incrostante.Il diametro delle polipieriti è di 6 mm per un’altezza di 10 mm. Il germogliamento avviene a livello della lamina basale e quindi non vi è alcuna colonia ramificata. I polipi sono spesso distanziati, perdono il contatto tra loro e la lamina basale che li connette è invasa da altri organismi. La colonia appare come un tappeto di polipi solitari, ma anche se non sono più collegati, è una colonia formata da un singolo individuo. Polyperites hanno costole poco profonde e sono di colore brunastro.I calici hanno fino a 4 cicli di 48-separati sistemati regolarmente non raggiungendo il centro del polipo.

Ciò provoca la presenza di una cavità nel centro del calice molto marcata. Il bordo delle sette ha molti piccoli denti. La colorazione dei polipi varia dal marrone nelle zone più luminose a quelle trasparenti nella parte inferiore delle caverne. I tentacoli misurano da 3 a 4 mm. Sono traslucidi con piccole verruche bianche e terminano con una piccola palla bianca.

Serpula- La serpula è un verme che appartiene al philum degli Anellidi, ed alla classe dei Policheti Sedentari e all’ordine dei Serpulidi. Il termine Vermi è generico ed indica una grande varietà di organismi che si presentano simili con un corpo allungato e flessibile. Le poche specie di vermi conosciute dai subacquei, si dividono in cinque philum : anellidi, platelminti, nemertini, sipunculudi e echiuridi

Gli anellidi sono vermi con corpo segmentato formato da tanti anelli uguali in tutto ed in sequenza l’uno attaccato all’altro.Diversi risulteranno il primo e l’ultimo della “fila”. Di norma ogni segmento presenta apposite setole chitinose atte al movimento,ed il primo e l’ultimo tentacoli o cirri o papille per funzioni vitali diverse dal movimento. Nel philum degli anellidi si possono esaminare solo due sole classi dei policheti; degli organismi che fanno parte di queste classi si esaminano soltanto, la forma di movimento
ed il sistema di deambulazione nel territorio: i policheti erranti, liberi e capaci di movimento proprio nel territorio, i policheti sedentari, prigionieri in strutture da loro stessi create e con movimento limitato nei confini della struttura stessa.

I serpulidi sono policheti sedentari tra i più ricercati dai subacquei per la loro bellezza e maestosità. La loro caratteristica peculiare è quella di secernere una sostanza calcarea che crea, attorno all’animale, un tubo rigido dentro al quale, con opportuni cambi , egli vive l’intera vita. Nel dettaglio, il tubo è rigido, fissato alla base al substrato e aperto alla sommità. L’animale all’interno è libero e, con il corpo munito di svariati peduncoli, determina il movimento.

La corolla, a una o più spirali di multicolori piume riveste nello stesso tempo la funzione di apparato respiratorio e di rete per la cattura attiva di plancton.

Noteremo nella serpula l’ombrellino che serve da opercolo di chiusura del tubo quando l’organismo vi si ritira.

Stenopus spinosus – Il gamberetto meccanico è un artropode del subphilum dei crostacei, della classe dei malacostraci, dell’ ordine dei decapodi, e del sottordine dei decapodi natanti.Artropodi significa “possedere zampe articolate” e il philum degli artropodi è il più vasto del regno animale in generale e sottomarino. Il corpo è segmentato con tre regioni: capo, torace e addome tutte e tre (salvo rari casi: paguri) rivestite da un esoscheletro duro a protezione. Nella crescita, l’animale perde la vecchia corazza e ne acquista una nuova con l’indurimento della cuticola sottostante la vecchia.Al sottordine dei decapodi natanti (sottordine di comodo) appartengono animali per lo più di piccola taglia, normalmente conosciuti come gamberi, sicuramente bentonici e quindi con movimenti adatti alla deambulazione sul substrato, ma capaci di movimenti assimilabili al nuoto verticale od orizzontale. Il gamberetto meccanico è un gamberetto di discreta taglia che vive normalmente, salvo i momenti di caccia, nelle anfrattuosità del substrato duro (prevalentemente roccioso).

Herbstia condyliata- Il corpo è triangolare ed è più sviluppato longitudinalmente che trasversalmente. Il rostro è composto da due spine corte ma separate. Sul carapace sono presenti poche spine dorsalmente, ma sono numerosi i tubercoli mammellonati. Il primo paio di arti è ben sviluppato e termina con chele robuste tenute in genere ripiegate verso la bocca. Si rinviene anche nei rizomi della prateria di Posidonia oceanica. Fino ad 80m. Il corpo è grigio-rossastro striato di blu, gli arti sono rossi. Raggiunge tra i 3-4 cm di larghezza. E’ amante delle zone meno illuminate e lo si può ritrovare quasi esclusivamente nelle zone buie delle grotte anche a notevole distanza dall’entrata. Può essere osservato soprattutto di notte e fugge rapidamente quando viene illuminato. Nelle grotte sono attivi anche di giorno, ma sempre in zone abbastanza buie.

Scyllarides latus [cicala di mare – magnosa]- Si trova nel Mediterraneo e Atlantico orientale dal Portogallo al Gambia Ha un corpo robusto, carapace quadrangolare, occhi abbastanza piccoli, coda tozza con margini dei segmenti addominali appuntiti e lunga circa quanto il resto del corpo. Caratteristiche sono le antenne trasformate in ampie palette anteriori che utilizza per staccare le patelle di cui è ghiotta dalla roccia.

Il margine delle palette per questa specie è tipicamente liscio e bordato di viola con una punta laterale. Il colore del dorso può essere o bruno-violaceo o rosso ruggine a macchie biancastre. E’ presente generalmente nei fondali rocciosi ricchi di anfratti da 10 fino a 100 m di profondità. Può raggiungere 45 cm di lunghezza. Ha abitudini notturne e durante il giorno si rifugia in grotte o anfratti. E’ una specie in via di rarefazione per via della pesca indiscriminata da parte dell’uomo. Questo crostaceo si presenta sostanzialmente indifeso e se minacciato si limita a scappare contraendosi e compiendo dei potenti balzi all’indietro. Si distingue dalla Magnosella (Scyllarus arctus) per le maggiori dimensioni, avere la coda lunga solo quanto il carapace e specialmente per avere i margini delle palette lisci e bordati di viola.

Cipree- Mar Mediterraneo e Atlantico dalla Spagna alle Canarie fino a Capo Verde. Molto comune in Sicilia. La colorazione di fondo è biancastra, con sottili ed indistinte variegature giallo brune sul dorso. Il margine è giallognolo ed è delimitato da una serie di fossette. La parte inferiore è giallo crema o bianco crema uniforme. Usa ricoprire con il mantello la conchiglia. La colorazione è diversa per le specie che vivono a sud rispetto all’areale più a nord.

Una delle 5 cipree del Mediterraneo, specie tipiche di fondi duri fino a 40mt. Specie tipica dei fondi duri, come le altre cipree hanno la particolare abitudine di ricoprire la conchiglia col mantello. Come le altre specie della stessa famiglia, sono molluschi sciafili, rifuggono dalla luce; questa è la ragione principale per i loro non frequenti ritrovamenti.

Ghiozzo Leopardo Thorogobius- Corpo subcilindrico, compresso lateralmente nella parte codale, ricoperto di squame mediane e ctenoidi, che non si estendono sulla testa e nella regione predorsale.

La testa è grossa, arrotondata, con muso più corto del diametro dell’occhio. Le narici anteriori si aprono all’estremità di un corto tubicino che non arriva al labbro superiore e che non ha appendici cutanee libere, quelle posteriori sono a forma di piccola fessura su una lieve prominenza. La bocca è obliqua con la mandibola appena prominente. In ambedue le mascelle si trovano strette fasce di denti villiformi fiancheggiate all’esterno e all’interno da serie irregolari di denti caniniformi più grandi.

La colorazione si basa su un fondo bianco paglierino con riflessi cilestrini e su cui spiccano delle macchie arancione vivo sul capo e sugli opercoli, mentre sui lati del corpo ve ne sono altre di maggiore grandezza e di colore bruno scuro. Sulla prima e sulla seconda dorsale vi sono fasce longitudinali aranciate. Due macchie arancio sono anche su ogni pettorale. E’ una specie che vive nelle acque costiere a profondità tra i 5 e i 40 metri, nelle grotte oscure o semibui. Possono raggiungere dimensioni di 13 cm

Ghiozzetto Di Marsiglia Gammogobius Steinitzi- Ghiozzetto non molto slanciato e di dimensioni contenute , con la parte anteriore del corpo un po’ più ingrossata. E’ ricoperto di scaglie, tranne la testa e l’area predorsale, e lungo la linea laterale ve ne sono da 27 a 37.

La testa è a punta, ma non appiattita. Gli occhi, molto ravvicinati fra loro, sono grandi, se rapportati alla testa. Gli esemplari che vivono su substrato di coralligeno, con corallo rosso, gorgonie, briozoi, hanno un colore predominante marrone-rossastro. La livrea è caratterizzata da 5-6 fasce marrone scuro grandi e nette, che sono separate da fasce più strette di colore azzurro,, che vanno dalla dorsale al zona ventrale.

Le dorsali, pigmentate di nero alla base, sono attraversate orizzontalmente da tenue fasce discontinue azzurrine, che in alto determinano una leggera marginatura. Le pettorali, leggermente sfumate in azzurro, e la codale sono quasi trasparenti.E’ una specie che frequenta fondi di sabbia grossolana o di coralligeno, fino a 40m di profondità. Si incontra più facilmente di notte e solo se disturbato da una prolungata osservazione rientra all’interno di cavità o altri rifugi.Sconosciuti il ciclo biologico e l’alimentazione. Non ha valore commerciale e, a causa delle sue abitudini e del suo habitat, è difficile pescarlo con sistemi tradizionali. Raggiunge eccezionalmente i 6.5 cm

Alesben B.

 


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