In questi giorni la rivista online di archeologia: Archeomedia (www.archeomedia.net) riprendeva integralmente un articolo apparso sulla Stampa del 10 maggio u.s. in cui il giornalista Giò Barbera riportava la grave situazione del sito archeologico di San Clemente di Albenga, dove sono stati trovati importanti resti romani a cui nei secoli si sono succeduti insediamenti paleocrstiani a cominciare da una importante necropoli.
di Danilo Bruno
Un depliant predisposto durante il funzionamento del programma comunitario Accessit dalla Regione Liguria e dalla competente Sovrintendenza ( a tale progetto partecipò pure il Comune di Noli con l’antica strada romana di Voze, progettatta dal sottoscritto e Dionigi Fasce della Cooperativa Tracce) descrive con particolare cura ” l’area in cui sorgono le terme e la chiesa di San Clemente faceva parte del suburbio di Albingaunum,sviluppatosi a partire dalla prima età imperiale nella breve piana posta a sud della città antica, nelle vicinanze della cia Iulia Augusta.la zona è oggi attraversata dal Centa,il quale anticamente (fino al XIII secolo) scorreva invece a nord della città.Nel corso del tempo,dopo la sua edificazione,la chiesa di San Clemente fu sottoposta a continue trasformazioni,anche per adattarne l’accessibilità a seguito del progressivo innalzamento del livello del suolo circostante dovuto agli apporti alluvionali del Centa.Nella sua ultima fase di vita,la chiesa chiusa da un rozzo muro trasversale, fu accorciata drasticamente all’altezza dell’abside e trasformata in una semplice cappella campestre.Il fonte battesimale,inqudrabile fra il V ed il VI secolo,riveste eccezionale importanza per le implicazioni con la storia più antica della diocesi di Albenga e non desta sorpresa che un complesso battesimale sia stato impostato su un edificio termale romano,dato che il rituale antico prevedeva l’immersione del catecumeno”.
A questo punto bisogna tornare un momento all’articolo a cui ci si si riferiva ove si descrive una gravissima situazione derivante dalle piene del fiume Centa,che nel 2019 e nel 2020 hanno portato alla cancellazione di ciò che era stato posto a difesa del sito e soprattutto hanno abbattuto la facciata e fatto collassare in acqua parte dei resti di età romana posti a monte dell’edificio cristiano.
La Soprintendenza competente ha quindi deciso nel marzo di quest’anno di avviare una intensa campagna di scavi con finanziamento ministeriale al fine di avere un quadro conoscitivo completo e preciso dell’intera area in particolare in periodo medievale, affidando la direzione dei lavori alla dott.ssa Marta Conventi ,funzionaria archeologa e l’esecuzione alla società Regio IX Liguria Archeologica,di cui posso attestare la competenza e la capacità scientifica.A questo punto sorgono due auspici,che potrebbero chiedere anche l’intervento del Comune:
a) il materiale di scavo ed in particolare le testimonianze più importanti dovrebbero essere portate in mostra per conoscere il sito e magari un domani definitivamente sistemate nel futuro Museo Archeologico di Albenga o in una sezione del Museo Civico Ingauno anche allo scopo di capire l’evoluzione della città.Qui in particolare dovrebbe essere il Comune a far sentire le proprie ragioni collettive poiché la valorizzazione,che segue e affianca la tutela, è un compito comunale e sarebbe interessante capire se sia possibile , ad esempio,staccare il mosaico ritrovato nelle antiche terme ed esporlo al pubblico;
b) Io anni fa partecipai, come storico incaricato direttamente dalla CAIRE di Reggio Emilia , alla stesura delle pagine concernenti la storia di Albenga inserite poi nel progetto di PUC ed anni prima descrissi una bibliografia ingauna , che trovò spazio in una rivista a stampa in allora diretta dal consigliere regionale Buscaglia. Ciò che mi colpì a fronte della ricchezza degli archivi ingauni e soprattutto della ricca messe di materiale documentario ben conservato e accessibile grazie all’intervento della locale sezione dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri,che curava l’archivio storico ingauno, era una sorta di ritrosia della città dalla nascita del Comune medievale a trovare sbocchi sul mare ma piuttosto si cercò di volgersi verso le aree interne quasi che la marineria fosse un dato secondario rispetto alla situazione economica cittadina.
Si trattava ovviamente solo di una prima lettura documentale,che non significava l’assenza di una cultura marinara in Albenga ma che piuttosto i locali ceti dirigenti si fossero volti nel tempo verso la rendita fondiaria più che al mare,differenziandosi da altre città liguri.
Probabilmente da San Clemente e dallo studio dell’insediamento del Monte potrebbero uscire elementi nuovi,che potrebbero contribuire a scrivere nuove pagine di una città,sicuramente unica in Liguria e che soprattutto conserva nella sua struttura urbanistica entro le mura l’antico assetto romano con il Cardo e il Decumano.
Danilo Bruno