Utile chiarire quo-unde e, soprattutto, quo, dove andiamo… Draghi non è Monti. Non ci si salva senza la crescita economica. 1652 miliardi di euro; 160 miliardi di euro circa rispetto al 2019. Un crollo inaudito per il PIL italiano nel 2020. Un vero disastro, che riporta la nostra economia a livelli da anni ’90.
di Sergio Bevilacqua
Sembra un gioco di parole, ma fino a che non capiremo profondamente come sta andando la natura, la biologia economica mondiale, non potremo nè prendere decisioni nè capire quali sono decisioni razionali e proficue.
L’economia mondiale si è concentrata, cosa che avviene sempre, una delle poche vere regole generali dell’economia industriale, quando i prodotti maturano:
A. le economie di scala (dimensioni industriali) diventano vitali e
B. la presenza capillare su tutti i mercati (liberalizzazione della concorrenza ovunque) altrettanto.
Ecco la globalizzazione, cui si somma la moltiplicazione dell’umanità (antropocene) e la rivoluzione comunicazionale che mette potenzialmente in contatto tutti con tutti. Perchè le privatizzazioni e liberalizzazioni di servizi e attività pubblici del Governo Monti non hanno dato i frutti sperati, e cioè un miglioramento dei servizi e un abbassamento dei costi, almeno nelle proporzioni attese?
Primo, perchè la liberalizzazione ha portato in Italia i player globali, quelli che il percorso A., B. sopra avevano già compiuto al meglio. Qui, la interpretazione del ruolo di soggetti politico-economici sovranazionali (il Bilderberg, Goldman Sachs, il Partito Comunista Cinese, Microsoft, ecc.) può trovare fondamenti, riguardo all’operato di politici repubblicani: è stata questa una delle critiche più forti portate a Monti (e oggi anche una ombra popolare su Draghi).
Ma la corretta interpretazione è la seguente, e chi opera davvero in economia, e non altrettanto chi ne parla da cattedre e biblioteche, lo sa:
1. le dimensioni della concentrazione in qualsiasi settore della manifattura e dei servizi è un fatto naturale, da prendere come tale;
2. aprire un ambito protetto di economia, ad esempio uno storico “contenitore giuridico” di servizi da parte dello Stato, e metterlo sul mercato, significa esporlo prima di tutto all’offerta globale, e quasi certamente, per le dimensioni del business, a una strenua offensiva sistemica per accaparrarselo da parte dei leader mondiali. Portando miglioramenti nei servizi (ad esempio, in particolare al B to B) ma non posti di lavoro necessariamente né mantenimento di PIL alla Repubblica di turno.
Dunque, a parte il fuoco-di-paglia sui conti pubblici del piano patrimoniale, con la vendita di assets, facoltà commerciali e di servizio nel bilancio dell’anno e un astuto (perché progressivo e utile allo smaltimento di magazzini mezzi obsoleti da parte dei leader mondiali piombati qui) miglioramento dei servizi (non meccanico, oltretutto), le privatizzazioni e le liberalizzazioni di settori di servizi hanno aumentato molto la integrazione dell’Italia col mondo (fattore inarrestabile e, in fondo, virtuoso) ma non sono avvenute le ipotesi ottimistiche che la semplice teoria ispirava, cioè maggiore concorrenza, veloce miglioramento dei servizi e promozione di aziende italiane con la competizione.
Qui sono state dette forse bugie da una parte e di certo scemenze dall’altra, con ancora i “tardo-sovranisti” che insistono, per deficit culturale e professionale macroeconomico, con vetusti concetti di autarchia passeista, nostalgica, contro il vero programma di valorizzazione della Repubblica Italiana, che passa attraverso la natura ineludubile ed estensiva dell’economia della globalizzazione e dell’antropocene mediatizzato ed il suo ruolo in esso (Economia Turistica Integrata e industria identitaria, che sono prodotti/mercato da mercato globale ed efficienza dell’industria classica ornai indotta dal traino dell’Europa e non altro).
Ogni prodotto Italia-based (è un segmento più efficiente e importante per il benessere del popolo italiano del generico Made-in-Italy) deve essere sostenuto con lucidità di business anche dallo Stato, senza incorrere nelle sanzioni al sostegno pubblico, ma non rinunciando alla funzione sostanziale che coincide con fatti culturali, importantissimo elemento marketing.
Come i tulipani per l’Olanda, dove Shell (come fosse Eni per l’Italia) sa benissimo come cavarsela da sola, e meglio che con l’aiuto (mai assente, peraltro…) dello Stato.
Quest’onda è ormai passata e Draghi ha tutto sommato un compito non troppo arduo, in economia: la strategia è chiarissima. Può e deve puntare sullo sviluppo dell’economia italiana, che può avvenire soltanto, nelle dimensioni necessarie, con:
1. Economia Turistica Integrata, soprattutto al Sud
2. Industria Identitaria, Sud e Nord
3. Efficienza dell’industria tradizionale legata al carro europeo, al Nord.
E l’Italia potrà ancora una volta sorprendere il mondo, recuperare i 160 miliardi del buco 2020 e crescere di alte 500 a medio e lungo termine, mettendo quasi a posto i conti…
Ma….solo così. La strada è chiara, stretta e obbligata. E, se si sbaglia, dovremo imparare a considerarci “diversamente italiani“: non è bello, ma la storia ci mostra in quanti modi diversi siamo stati italiani…
E il vero nodo attuale è il valore di questo Stato e di questa Repubblica: 300000 euro di patrimonio (un bell’appartamento per ogni famiglia italiana) e 60000 euro di servizi all’anno.
Riusciremmo a riaverli, in mani altrui?
Quando Maria Teresa è arrivata a Milano prendendo il posto degli spagnoli ha regalato a ciascuna famiglia borghese milanese un palco al nuovo teatro alla Scala, fatto da lei costruire ed inaugurato con “L’Europa riconosciuta” di Salieri...
Draghi deve essere lo sviluppo, che fa bene a noi e all’Europa nostra, non Monti 1-bis e l’inutile (ormai) austerity. Lo stesso Monti, peraltro, a suo tempo era per il “Monti-2, lo sviluppo”. Se quel bruscamente interrotto. L’alternativa è “diversamente italiani” e, temo, di sicuro non più felici, anche “con palco”.
Sergio Bevilacqua