«Il mondo virtuale dei megalomani». In ogni campo, ma soprattutto sui media, narcisismo e senso di onnipotenza oggi divampano nella frenesia dell’autocelebrazione. Il ritratto che ne fa l’illustratore Igor Belansky.
di Antonio Rossello
L’illustratore Igor Belansky, in una sua tavola in bianco e nero, ci propone l’immagine di un attempato vanesio, che si bea del suo colto e dorato permanere in un tempo atemporale, sospeso, immutabile, che scorre senza muoversi, e racchiude così il ritratto, in un eterno limbo.Potrebbe essere la rappresentazione della torre eburnea, estremo rifugio di un individuo che fu molto ambizioso sia in ambito professionale che amoroso, tanto da sopportare così male il fallimento da mettere in atto persino comportamenti mitomani per riuscire ad affermarsi. L’originale e complessa allegoria di un modus vivendi, descritta nei propri pensieri ed azioni attraverso un energico tratto grafico. Una recita senza epilogo, paragonabile a certe storie che ci possono capitare davanti agli occhi.
Ed è vero che megalomania e vanità sembrano più mai oggi pervadere ogni ambito di attività intellettuali e creative, ma non solo, e questo è ancora peggio. Dalla carta stampata ai social network, l’autocelebrazione costante ed insopportabile assume i contorni della megalomania, una manifestazione psicopatologica caratterizzata da un esagerato apprezzamento di sé e delle proprie capacità.
Da qui, soggetti che tipicamente assumono atteggiamenti di superiorità, tendendo a primeggiare e impegnandosi a compiere imprese sproporzionate rispetto alle proprie forze. Alla base può esservi un insano desiderio patologico di sentirsi degni di ammirazione al cospetto delle persone con cui si instaurano delle relazioni. Contrariamente a quello che si suppone, questi soggetti nascondono una fragilità estrema. La psicoterapia può costituire un valido rimedio a tale genere di problemi.
Non che in passato lo spettro della megalomania alitasse soltanto nel dibattito culturale o artistico, restando più che altro un fenomeno circoscritto ad élites, sicché nel nostro quotidiano eravamo abituati ad avere a che fare con “sbruffoni” in carne ed ossa, pronti a rendere noto vis à vis tutto a tutti senza remora alcuna, ma, da quando il mondo è profondamente cambiato grazie all’avvento dei nuovi media, questa è l’era del narcisismo digitale, un’epoca «social-mente» zeppa di seminatori di idiozia.
Prova ne sia la sostituzione di eruditi cenacoli e discussioni fino a tarda notte da parte del cicaleggio dei talkshow, nei quali personaggi illustri si attribuiscono da soli una rilevanza del tutto arbitraria o fanno sfoggio della propria vanità. Pure sui social, post e bacheche di piccole e grandi star sono puntualmente riempiti di recensioni ricevute, classifiche scalate, copie vendute, ristampe, premi e menzioni. La forza del curriculum pompato e talvolta inventato…
E, forse, per emulazione, la megalomania di tutti noi impazza, la sensazione di continui traguardi e autoriferimenti è più viva che mai, al punto che alcune ricerche hanno addirittura stabilito un nesso tra l’autocompiacimento di persone che passano tante ore sui social network e il loro ridotto tasso di empatia verso gli altri.
Non manca, inoltre, un particolare tipo di polemica social che tocca i nervi scoperti del variegato spazio dei mattatori virtuali, talmente incredibili da ricevere insulti sui propri profili e minacce private, derisioni da centinaia e centinaia di utenti. Un’iniziale satira che degenera in violenza mediatica, tanto può diventare l’accanimento dei commentatori che alla fine gli amministratori decidono di bloccare le utenze interessate.
Quindi, in questa che è solo la punta dell’iceberg, a livello di comunicazione imperversano, da una parte, una caccia minacciosa all’impostore e, dall’altra, una perenne e vibrante affermazione dell’io. Volendo ampliare la visuale, alla più evidente megalomania di chi è maggiormente seguito si affianca una tendenza generalizzata all’auto incensazione quotidiana, che sembra coinvolgere ognuno, tra uno status e l’altro. “Io faccio così, io dico che…, mia figlia è bellissima, mia, figlio è un campioncino di calcio, da giovane avevo una folta chioma, quanto è dolce il mio cane” e così via discorrendo. Piccole note stonate di un coro universale: quell’inno al “sé”, che spesso purtroppo non si esaurisce in sé stesso ma apre le porte ad una deriva preoccupante.
Ne danno conferma gli autorevoli studi con cui gli esperti periodicamente lanciano un allarme gravissimo: se da parte dei divi, l’io che fa mito di sé è schizofrenico e bipolare, alterna fasi di giubilo a fasi di massacro, finge, si imbelletta, si traveste da vincitore e poi la droga lo mangia, i soldi finiscono, il sesso diventa violenza, non vende abbastanza copie, fra i comuni mortali, ci sono miriadi di schianti dell’egocentrismo alimentato da falsi modelli che fanno sì che cattiveria, stupidità, razzismo siano le principali prerogative della maggioranza dei messaggi che circolano sul web.
Un vacuo atroce per il quale gli anni trascorrono e ci si accorge soltanto dopo di aver scritto “corbellerie”. Non ce n’eravamo già resi conto da soli?
In conclusione, i megalomani sono creature diffuse del presente che ci interrogano, uno specchio liscio dove guardarci, un uomo o una donna che uniscono onnipotenza e distruzione, tripudio del potere e affondo dell’io.
Come riconoscerli, come imparare a liberarsi dalla loro trappola, sono gli elementi alla base di un nostro percorso di crescita, uno strumento di conoscenza, di noi stessi e degli altri con i quali entriamo in relazione, imparando così a costruire esiti differenti rispetto alla sterile volontà di affermazione. O sopraffazione? Niente a che fare con il messaggio pasquale, insomma.
Antonio Rossello