Gabriele Carchidi, direttore del giornale online Iacchite.com, detiene un record difficilmente uguagliabile. Ha affrontato sinora ben 179 processi per diffamazione a mezzo stampa e condannato 17 volte in primo grado a pene detentive per complessivi 8 anni e mezzo di carcere (101 mesi), senza sospensione condizionale della pena. Ora la Cassazione annulla il carcere al giornalista. E’ la prima sentenza dopo la decisione interlocutoria della Corte Costituzionale in attesa della riforma in Parlamento. Leggi anche condannato ‘Il Fatto Quotidiano’ per un articolo di 10 anni fa sulle ‘relazioni pericolose di Dell’Utri’.
Il difensore ha pure invocato l’applicazione delle sentenze della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo in merito al carcere per giornalisti condannati per diffamazione, nell’esercizio della loro professione, purché non incitino all’odio e alla violenza.
Dal blog Giornalisti per la Costituzione
di Pierluigi Franz
Per la prima volta, dopo la decisione interlocutoria della Corte Costituzionale del 26 giugno scorso, la Cassazione ha annullato la condanna ad 8 mesi di carcere senza condizionale inflitta ad un giornalista calabrese per diffamazione. La decisione n. 26509 del 22 settembre 2020 della 5^ sezione penale della Suprema Corte (vedi testo completo scaricabile a fondo articolo) riveste particolare importanza in attesa della riforma in Parlamento che tra breve sarà esaminata dall’aula di palazzo Madama dopo essere stata approvata dalla Commissione Giustizia del Senato.
Protagonista della vicenda é il giornalista di Cosenza, Gabriele Carchidi, direttore del giornale online Iacchite.com, che vanta un record difficilmente uguagliabile: è stato infatti sottoposto sinora a ben 179 processi per diffamazione a mezzo stampa ed è stato già condannato 17 volte in primo grado a pene detentive per complessivi 8 anni e mezzo di carcere (101 mesi), senza sospensione condizionale della pena.
I dati sono stati rivelati da Ossigeno per l’informazione durante un convegno sull’impunità promosso in Senato il 25 ottobre 2019. Carchidi non é però andato in carcere perché sono ancora in corso i processi di appello e i ricorsi in Cassazione. E proprio in uno di questi processi il 9 luglio scorso il suo difensore, avvocato Nicola Mondelli, ha invocato l’applicazione delle sentenze della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo che a partire dal 17 dicembre 2004 (caso Cumpănă e Mazăre contro Romania) hanno costantemente circoscritto a casi del tutto eccezionali la possibilità del carcere alla diffamazione che implichi un’istigazione alla violenza o che convogli messaggi d’odio. La Suprema Corte ha accolto queste tesi ed ha annullato la condanna ad 8 mesi di carcere trasmettendo di nuovo l’incartamento processuale alla Corte d’appello di Catanzaro che dovrà rimodulare il trattamento sanzionatorio.
La Cassazione, presieduta da Maria Vessichelli, ha preso in particolare atto della recente decisione n. 132 con cui tre mesi fa i giudici di palazzo della Consulta hanno rinviato la loro sentenza definitiva a giugno 2021 per dare tempo al Parlamento di varare finalmente una riforma complessiva della diffamazione attesa ormai da più di 40 anni. Come è noto la Corte Costituzionale in un clima di «leale collaborazione istituzionale» ha auspicato la previsione di sanzioni penali non detentive, di rimedi civilistici e in generale riparatori adeguati (come, in primis, l’obbligo di rettifica) e di efficaci misure di carattere disciplinare.
Secondo gli ermellini del “Palazzaccio” di piazza Cavour è evidente che la decisione dell’Alta Corte di piazza del Quirinale “fornisce una traccia esegetica di grande rilievo, che non può essere trascurata nell’ottica di una lettura costituzionalmente e convenzionalmente orientata del tema del trattamento sanzionatorio agitato dal ricorrente. Secondo la direttrice segnata dal quadro normativo e da quello giurisprudenziale evocato dalla Consulta ed in attesa delle determinazioni del legislatore e di quelle, eventuali, della Consulta stessa, allo stato la scelta di applicare la pena detentiva non può che passare per la valutazione della portata delle condotte diffamatorie addebitate all’imputato; ciò allo scopo di apprezzarne – o meno – l'”eccezionale gravità” così come delineata dai precedenti sopra riportati, in presenza della quale sarebbe consentita l’applicazione della pena detentiva. Se questa è la valutazione a farsi, è evidente che si tratta di una decisione che, implicando giudizi concernenti il merito della regiudicanda, spetta al Giudice di merito, il quale dovrà decidere se la meritevolezza della pena detentiva, peraltro non condizionalmente sospesa, discenda dall’inquadramento delle notizie divulgate dagli articoli pubblicati e reputate diffamatorie nell’ambito di quelle di particolare gravità per cui potrebbe ancora trovare applicazione la reclusione”.
Pierluigi Franz
Corte di Cassazione 5^ sezione Penale sentenza n. 26509 del 22 settembre 2020 (Presidente Maria VESSICHELLI, Relatore Paola BORRELLI) – Data Udienza: 09/07/2020.
In Cassazione condannati Il Fatto Quotidiano
l’articolista Lo Bianco e l’ex direttore responsabile Padellaro
Dopo 10 anni sentenza sulle ‘relazioni pericolose di Dell’Utri’
E’ diffamatorio per la Cassazione civile l’articolo “Le relazioni pericolose di Dell’Utri” pubblicato 10 anni fa dal giornale cartaceo ed on-line “Il Fatto Quotidiano”. Gli eredi del legale catanese Antonino Papalia avranno 30 mila euro di indennizzo.
Da www.franco abruzzo.it (Giornalisti per la Costituzione) – Per la Cassazione l’articolo “Le relazioni pericolose di Dell’Utri“, pubblicato 10 anni fa dal giornale cartaceo ed on-line “Il Fatto Quotidiano”, é diffamatorio nei confronti dell’avvocato catanese Antonino Papalia (poi deceduto). La 3^ sezione civile della Suprema Corte 2020 (Presidente Raffaele Frasca, relatore Chiara Graziosi) con ordinanza n. 21969 del 12 ottobre 2020, cliccare su http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snciv&id=./20201012/snciv@s30@a2020@n21969@tO.clean.pdf , ha infatti dato definitivamente ragione agli eredi del legale siciliano, confermando il precedente verdetto emesso due anni fa dalla Corte d’appello di Catania. Pertanto il “Fatto Quotidiano”, l’articolista Giuseppe Lo Bianco e l’allora direttore Antonio Padellaro sono stati condannati a rifondere 30 mila euro per danno non patrimoniale, nonché le spese processuali della controparte.
L’articolo, pubblicato dal giornale cartaceo ed on-line “Il Fatto Quotidiano” il 2 giugno 2010, riguardava in particolare un procedimento penale nei confronti di Marcello Dell’Utri per la strage di Capaci conclusosi con archiviazione del gip del Tribunale di Caltanissetta il 3 maggio 2002. Vi si dava atto della presenza di un riferimento a un bloc-notes sequestrato a Dell’Utri in cui era stato appunto scritto: “sono segnati numerosi contatti intrapresi dall’avvocato catanese Nino Papalia, indagato in passato dalla Dda di Catania per traffico d’armi. In una di queste … si legge: Avv. Papalia per candidature su Catania”.
I congiunti dell’avvocato avevano addotto che tale passo, in origine, era davvero presente nel suddetto decreto di archiviazione, ma che, su istanza avanzata dal legale il 22 luglio 2005 – cui era allegata una certificazione che l’istante non era mai stato indagato per traffico d’armi, né era mai stato indagato dalla DDA di Catania nel procedimento penale n. 6795/93 -, il gip nisseno aveva emesso un provvedimento di correzione che ne aveva disposto la cancellazione con conseguente annotazione sull’originale e allegazione al decreto per farne parte integrante; quindi la non veridicità della notizia pubblicata in ordine al defunto legale, già evidente al momento della pubblicazione sul giornale “Il Fatto Quotidiano”, avrebbe provocato grave pregiudizio all’immagine del Papalia – come avvocato e come cittadino – e a quella dei suoi congiunti.