Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Milena Milani vagabonda dell’arte
La sua vocazione prima, la letteratura
E c’era Albisola, Libera Repubblica delle Arti


E’ stata una scrittrice che ha cantato soprattutto l’amore come inizio e fine del mistero umano, ma è stata anche una vagabonda dell’arte e giornalista di vaglia

 

                                                      di  Gianfranco Barcella

Milena Milani è nata il 24 Dicembre del 1917 a Savona, una bella città della Riviera di Ponente, dove “il mondo operaio – afferma la scrittrice- è sempre in fermento e nonostante tutto, ospita una classe media assai ricca”. Era un inverno freddissimo per la Liguria, perfino con la neve.

A Savona trascorre un’infanzia serena e alle scuole medie si dimostra subito brava  in italiano anche se per eccesso di fantasia, a volte va fuori tema. Per le equazioni, le radici quadrate e altre diavolerie numeriche si rivolge ad una compagna di classe di nome Berenice: naturalmente ricambia con i componimenti letterari.

Le prime escursioni in bicicletta sono ad Albisola, capitale dell’arte ceramica. In quegli anni, occuparsi di pittura, stare in mezzo ai pittori, andare nei loro studi era considerato scandaloso per una donna ed i suoi genitori non lo permettevano. Ma l’amore per l’arte come cosa dell’intelletto (secondo la definizione di Leonardo da Vinci) era destinato a trionfare perché sincero. Uno dei primi articoli che scrittrice in erba  pubblicò nella Terza Pagina di un quotidiano ligure, fu quello che riguardava la visita allo studio di un pittore che si chiamava G.B. De Salvo. C’era stato un concorso, con un premio in denaro e la giovane Milani lo vinse proprio con quell’articolo. Ne riportiamo alcuni brani: “Una delle sere che sentono già la primavera mi conduce allo studio di un artista savonese. C’è nell’aria delle strade vecchie della città un qualcosa di inesprimibile, di tenero, di malinconico che mi rende mite e assorta lontano. Vorrei tuffare l’anima chi sa dove e sentirmela più nuova, più fresca, ingentilita. Vie logore, vie care… Un vasto portone, una lunga scala armoniosa: sono giunta. Taccio, indugio dinanzi alle tele cercandone il ritmo nascosto e vibrante. Sorge così dal profondo un’intimità dolce con l’artista che è soprattutto poeta. Sento che quella pittura calma, serena, buona, tutta di pace, ma di una pace scaturita da una sofferenza infinita, mi commuove, mi comunica una sensazione incredibilmente nuova. C’è in me la stessa ansia di quegli alberi nudi nelle mattine livide d’inverno, di quegli alberi non mai così vivi e veri come quando cercano l’azzurro in un cielo opaco che non sa sentire l’invocazione disperata. Così in quella muta  ricerca impossibile, vedo l’artista, vedo De Salvo“.

In famiglia, manco a dirlo, successe il finimondo. Alla ragazza fu proibito di interessarsi di pittura e lei per tutta risposta si comprò tele e colori; si mise a dipingere di nascosto dai suoi, seguendo quel maestro molto più anziano di lei, il quale pensò bene di innamorasi della sua allieva. Addirittura decise di chiederla in sposa! Altro scandalo e Milena smise di vedere il maestro, seguitando a dipingere da sola, ma in mezzo ai paesaggi incominciò a mettere parole, scritte in grande e molto visibili. Più tardi intraprese anche la carriera di pittrice. Le sue mostre avevano un ammiratore, Lucio Fontana, inventore dello Spazialismo, il movimento al quale partecipò anche Milena, collaborando a stilarne il manifesto.

Era l’immediato dopoguerra: <il Maestro dei buchi e dei tagli> volle fare un cambio con lei, per un quadro sul quale la  Milani aveva scritto: “Le plus belle heure du jour” le regalò due stupendi vasi di terracotta con i suoi originalissimi buchi. Tutto ad Albisola era bello in quelle giornate per quegli artisti che corroborati dalle energie della giovinezza organizzavano anche mostre collettive delle loro opere, all’aperto. Lucio Fontana è diventato celebre nel mondo per la sua concezione dello spazio. Milena Milani, ispirata dalla lezione di un Apollinaire, dei Futuristi, di Magritte diede per prima, dignità alla parola sulle sue tele. Il critico d’arte francese Pierre Restany scrisse un testo su di lei, rivendicando la sua priorità storica un quel campo. Decine e decine di esposizioni hanno avvalorato, nel tempo, quella sensibile e felice intuizione pittorica che, com’era naturale, ha fatto scuola.

Si può dire che Albisola, la Libera Repubblica delle Arti ha avuto un principe: Tullio Mazzotti detto Tullio d’Albisola da F.T.Marinetti. Era nato sulle rive del Sansobbia nel 1899 e scomparve nel 1971. I suoi racconti che riguardavano Marinetti sulla spiaggia di Albisola facevano restare a bocca aperta. Racconta Milena: “Tullio aveva il culto dell’amicizia; con lui si passavano ore bellissime al bar Testa o da Pescetto dove andavamo a cena. Venivano spesso anche sua nipote Esa e suo marito, Rinaldo, entrambi ceramisti. Noi tutti ascoltavamo la storia di Pozzo Garitta (piazzetta al centro della vita artistica albisolese), dell’albero di fico “cresciuto disadorno come un bimbo”, o della ruota che girava, di quel tornio “arma artigiana della mia casa, della mia terra onesta” (così ha scritto Tullio)”.

Milena considerava obbligatorio far ammirare quel luogo affascinante, del tutto singolare, a tutti gli ospiti: spiaggia, mare, cielo stellato, vino nostralino, focaccia, pesto, torta pasqualina, fritture di pesci che si scioglievano in bocca, letture di versi, ceramiche degli artisti e la gioia della vita, della compagnia, dell’amicizia. Alle foci del Sansobbia, approdò come già accennato in precedenza, un artista rivoluzionario come Filippo Tommaso Marinetti. Erano gli anni del secondo futurismo, che avrebbero preparato il destino artistico di Albisola. Da Albisola però, la scrittrice era costretta a migrare per approdare a nuovi regni di bellezza. Quando venne il tempo di scegliere l’università, la giovine Milena partì per Roma, aiutata dalla madre, più che dal padre. Abitò in una pensione gestita da persone timorate di Dio ma i genitori non le fecero  mancare la loro vigile sorveglianza. Da studentessa diligente, la loro figlia frequentava le lezioni di Giuseppe Ungaretti ma soprattutto la terza saletta del Caffè Aragno dove vedeva Cardarelli che aveva eletto a suo Maestro anche se considerava la sua opera, troppo classica.

Lui e Ungaretti erano dei poeti già affermati che si odiavano cordialmente. Forse è vero che l’essere più invidioso è il poeta come sosteneva il Foscolo. Proprio grazie a Milena, negli Anni Sessanta, si incontrarono nuovamente con spirito più cordiale. Anche la televisione ha ripreso l’incontro dei due poeti che al Caffè, allora chiamato <Strega> di via Veneto, fanno la cosiddetta pace.

Il suo primo romanzo <Storia di Anna Drei>, anche se non è strettamente autobiografico ha come sfondo proprio la capitale, il cinema Barberini nell’immediato dopoguerra con personaggi che paiono avulsi da tutto, ma emblematici di tutto ciò che l’autrice provava nel suo animo in quel periodo. Per la precisione anche in una serie di <strisce>, uscite sul Notiziario di Cortina in fondo alla prima pagina, per tutta l’estate 1999, Milena  racconta  ancora di Roma, del caffè Aragno, di Cardarelli, di Sinisgalli, di Anna Magnani e Totò, Guttuso e Moravia, Bruno Barilli e Mussolini, Sibilla Aleramo e Paolo Monelli. Cita anche via Tasso dove i Tedeschi la convocarono.

Sono una testimonianza unica di un periodo memorabile per l’Italia, della caduta di Mussolini e del Fascismo, della speranze che la guerra finisse presto, subito deluse. Milena era la più giovane <allieva> di Cardarelli e da <Aragno> la chiamavano <la studentessa> Ascoltava con interesse il poeta che ogni tanto le parlava di un giovane veneziano che si chiamava Carlo Cardazzo,  l’uomo che avrebbe cambiato la sua vita. Una volta le confidò: “Questa sera non la posso incontrare, perché arriva quel collezionista da Venezia che mi invita a cena.”

Un giorno, un amico, Renato Giani, di professione critico  d’arte, disse a Milena che avrebbe organizzato per la Galleria del Cavallino, aperta da poco a Venezia da Cardazzo, una mostra di scrittori che dipingevano. Aveva invitato i massimi letterati del tempo tra i quali Moravia, Zavattini, Repaci, la Morante, Montale che amavano cimentarsi anche con tele e pennelli. A quei tempi la Milani non aveva ancora pubblicato alcun libro, scriveva soltanto poesie e qualche articolo ma era già stimata. Dipingeva anche per molte ore nella stanza della sua pensione in via Sistina. Accetta l’invito di Renato Giani a partecipare alla collettiva che si teneva a Venezia, da Cardazzo.

Milena spedì un piccolo dipinto, in cui c’erano anche parole e soprattutto la sua firma in grande. Lo vendette e riuscì a concedersi una vacanza a Capri. Nel 1944 , prima che finisse la guerra, pubblicò proprio a Venezia, per le Edizioni del Cavallino un primo libro di poesie dal titolo: “Ignoti furono i cieli”. Una selezione di quel volume, con lo stesso titolo è uscita nel gennaio 1999, in quaranta esemplari numerati per il Centro Internazionale della Grafica di Venezia, con disegni di Luca Crippa.

Dopo Roma si trasferisce così a Venezia e a Milano, ma ritorna sovente a Savona a trovare i genitori. D’altronde era una vagabonda dell’arte ma non ha mai smesso d’amare la sua terra ed i suoi piatti tipici, preparati nei piccoli ristoranti, custodi della cultura e delle tradizioni locali. Di certo quando ritornava in Liguria, assaporava molto volentieri la cucina locale che integrava i sapori di casa poiché aveva il padre di origine toscana e la madre piemontesi, legati allo loro cucina.

Milena pur essendo sempre stata legata al suo mare, <l’infinito in movimento>, ha amato la montagna, <il primo gradino verso il cielo>. Da ragazzina frequentava le Alpi Marittime, in estate, per fare gite e scalate; in inverno per sciare. Successivamente optò per le montagne del Veneto, scegliendo Cortina, una località di grande fascino mondano che sapeva offrire nel contempo anche la calda intimità del semplice paese, non snaturata da costruzioni irrispettose della sua intima natura di bellezza alpina. Le Dolomiti hanno sempre ispirato moltissimo la scrittrice. A Cortina ha inventato anche un caffè letterario,<Arnika Poesia>, dove ogni sera si declamano versi. Diventeranno  celebri anche gli week-end di poesia alla Terrazza Cortina. Nei soggiorni cortinesi, l’amore per i prodotti della tradizione diviene anche un’occasione letteraria. Fedele alla sua sensibilità per i valori religiosi andò alla festa della Madonna della Salute che si teneva in una chiesetta a Cadin di Sopra. Era con il signor Cinto Ghedina, il suo tipografo. Lui la accompagnò più tardi, terminata la funzione religiosa, presso una famiglia dove secondo l’usanza, si offrivano dolci ai visitatori. Si trattava dei carafoi (quelli che Venezia si chiamano galani), fatti di una pasta delicata e friabile fritti in olio di semi anch’esso leggero, spolverati di zucchero a velo.

Scrisse in seguito un racconto che fu pubblicato sul Gazzettino di Venezia, giornale al quale collaborava. Descrisse quella gente semplice, ospitale e simpatica che pur non avendola mai incontrata prima l’aveva accettata in casa come una benvenuta offrendole i dolci tipici dorati e croccanti. Era una giornata di neve e quei carafoi accompagnati da un buon vino fragolino, rimasero nella sua memoria come un sogno.

Milena non ha mai disdegnato gli incontri conviviali, organizzati dall’Accademia della Cucina in particolare quando fu presieduta dal conte – scrittore Giovanni Nuvoletti, marito di Clara Agnelli, suo caro amico. Ha sempre fatto tesoro di quanto lui diceva in occasioni dei pranzi conviviali ai quali era invitata. Erano fortunate  occasioni per incontrare altri illustri personaggi. Citiamo per tutti lo scrittore Orio Vergani con il quale si vide spesso alla trattoria Bagutta di Milano, Per inciso  fu proprio lui a ideare  l’Accademia della Cucina , insieme a Dino Villani, uomo intelligentissimo e raffinato.

Dopo la morte del padre Tullio nel 1964, Milena si trasferì con la madre ad Albisola, paese dell’arte che ospitò nella seconda metà del’900 il gotha degli artisti italiani e non solo. Resta famoso per la produzione di ceramica d’arte nei colori bianchi e blu. Non a caso Marinetti lo elesse capitale  della ceramica futurista, scrivendovi il suo manifesto. Il mare di Albisola resterà l’ultimo complice della sua umana inquietudine. Sin dagli anni dell’università la scrittrice, come residenza ufficiale, aveva scelto Roma, un luogo speciale per chi è nato in provincia. E così con la Città Eterna conservò sempre un bellissimo rapporto anche perché gradiva possedere un’automobile targata Roma. Stabilì dunque la sua residenza elettiva nella Capitale, ma amò moltissimo anche Milano, città nella quale trascorse venti anni con il compagno della sua vita, Carlo Cardazzo, scomparso nel 1963.  Insieme a lui infatti aprì la celebre Galleria del Naviglio in Via Manzoni.

Un’altra località importante nella vita della  Milani, come già accennato, è stata Venezia e ha vissuto principalmente nel sestiere di San Marco ma il suo ideale è sempre stato una casa con un’altana, una terrazza sopra i tetti dalla quale spaziare con lo sguardo verso orizzonti di sogno. Milena Milani è stata una scrittrice ligure dunque che, pur lontana dalla Liguria è  rimasta sempre legata al mare, ammaliata dal carattere salino e arioso della macchia mediterranea che sa evocare in ogni dove con la magia della parola, e incarnare nei personaggi che compongono la sua opera letteraria. Come già accennato, il suo primo libro di poesie dal titolo: “Ignoti furono i cieli”, rivela già questo carattere fermo e cristallino del paesaggio ancorato ai sentimenti più malinconici, sgorgati dalla condizione della solitudine e dalla sensibilità di donna in dissonanza con la vita, eppur avvinta alla sublime bellezza.

Nelle opere in prosa, ansie, dolori e gioie si allineano sempre in un ordine terso e fermo come i vagheggiamenti paesaggistici. I personaggi si ritagliano uno spazio di autenticità <letteraria>, quasi a specchio di un modulo autobiografico coraggioso e irripetibile. L’estate (Edizioni del Cavallino, Venezia, 1946) è una raccolta di racconti che ha ottenuto nel 1947, il premio Rosa di Brera. In quest’opera la scrittrice esprime il suo stupore per la scoperta della fisicità: le mani della ragazza che tiene alla sua pelle delicata, il corpo dei giovinetti che si tuffano, fatti ed episodi che rivelano un desiderio di fuga dal consueto. Negli undici racconti, contenuti nel volume, l’autrice dimostra una personalità accentuata e forte, in cui il tessuto sintattico e il disegno grafico sono adoperati con molta accortezza.

Il carattere della sua prosa che continuamente si spezza e si ricompone in cadenze veloci, risulta soprattutto in certi scorci che si potrebbero dire naturalistici. Quando nel 1947, viene pubblicato il primo romanzo di Milena Milani, dal titolo Storia di Anna Drei, come già citato in precedenza, Cardarelli le mandò una lettera, di sua iniziativa, in cui c’era questa frase:”Chi ti scoprirà?Il tempo sta certa”. ”Questo me  lo sono sempre ricordato; è parso come un augurio, era bello!”, commenta la scrittrice.

Ecco il testo integrale:“Cara Milena, il tuo romanzo l’ho letto d’un fiato. E’ un libro singolarissimo originale e terribile. Anna Drei è una specie di Saffo moderna? Quel gelo nelle vene di cui si discorre nel manoscritto di Anna Drei, fu già noto alla poetessa greca. E’ il gelo dell’amore, dei grandi erotici, dei celebri sensuali. Hai scritto con meravigliosa disinvoltura, una fortissima opera. La scrittura è leggera, melodica, felicissima. Chi ti scoprirà? il tempo sta certa. Tu avrai un nome. Lo afferma il tuo vecchio amico Vincenzo Cardarelli”.

Il poeta  sosteneva che la Milani aveva descritto una protagonista molto incisiva che presentava come una scissione. Anna Drei era due creature: una terrena, l’altra celestiale. Questa è stata la caratteristica di molti personaggi creati dalla scrittrice ben identificabili nella loro ambivalenza interiore. La storia di Anna Drei è una storia amara, ma non triste; è un dramma intenso, a rapide battute, e racchiude con disperata intensità la vita di una giovane donna, quasi ancora una ragazza che ha carne e anima al vivo, scoperte come i tessuti di una ferita mai rimarginata. L’azione del romanzo si svolge a Roma entro le mura di una camera d’affitto, ma le vicende che preparano il dramma , spaziano in ampi cieli, in vista del mare. La ragazza di nome Giulio è uscito nel 1964. E fu subito sequestrato per i suoi contenuti <scandalosi>. Presentato allo Strega ottiene dieci voti. La prima parte del romanzo si snoda dunque tra Venezia, Cortina, (correva l’anno 1942, tempo di guerra e pertanto era meglio restare il più possibile al sicuro in montagna), anche se la ragazza frequentava ormai la seconda liceo) e Perugia, città nella quale è nato Lorenzo e lei vi aveva abitato, bambina.

“Era un ragazzo che mi aveva sempre dato- confessa Jules – un’impressione di grande forza e stabilità. Aveva le spalle larghe e tutto un torace robusto, ma il suo viso aveva un’espressione di dolcezza che non era reale”. Lorenzo aveva anche una sorella di nome Olga che aveva quattordici anni e anche due fratelli più piccoli. Claudio e Gregorio di cinque e sei anni. E’ stimolante il raffronto tra questo amore giovanile, rifugio, conforto e speranza del cuore e quello torbido e sensuale della governante che pare cercare emozioni erotiche per liberarsi dalla noia e dalle frustrazioni, tentanto a ogni approccio, di riconciliarsi con la vita. D’altronde l’aveva detto anche Voltaire:”Fai sempre qualcosa, se non vuoi suicidarti!” Jules è sempre più turbata dalle attenzioni di Lia tanto che porta a casa una nota di biasimo per il suo scarso rendimento scolastico.

Il tema fra l’amore saffico tra una governante e una minorenne suscitò scandalo e la magistratura intervenne portando l’autrice alla sbarra. Ungaretti non dimenticò la sua allieva e testimoniò a suo favore. Si è dimenticato che il pregio maggiore della poetica della Milani sta proprio nel suo sensuale naturalismo poetico. Qualche volta risuonano gli di certi versi di Verlaine, di pentimento e di riscatto, inneggianti alla bontà. Si può affermare ancora che l’atteggiamento dell’autrice verso la protagonista, Jules, come verso molti altri suoi personaggi femminili, sono frutto di una proiezione sofferta, forse ambigua da un lato, ma non di rado, nutrite di una certa condanna moralistica. In particolare ne La ragazza di nome Giulio tutto questo prevale sulla descrizione del paesaggio che pare anch’esso soffocato dall’inquietudine adolescenziale della protagonista. Jules confessa, in proposito: “Io preferivo quel mio mondo scontroso e bizzarro di vita, che voleva dire passare le giornate in inerzia, e guardare gli elementi, il mondo al di fuori di me. Se la pioggia veniva giù sottile, oppure furibonda, se la grandine vi si mischiava, se il mare si gonfiava d’ira sotto l’acqua, se subiva la pioggia distendendosi piatto e uguale, un tavolato grigio di piombo….”

E’ come la più tipica arte decadente, l’opera letteraria della Milani presume di <essere vista> e non solo letta. Quello che per i Romantici era affermazione violenta dell’io, per i Decandenti era l’analisi più raffinata dell’io; e aggiungerei arricchita di un’atmosfera musicale, pura, che porta l’eco del mondo greco.

Gianfranco Barcella

 


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G.F. Barcella

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