Mario Adinolfi, quarantottenne personaggio ben noto alle cronache non solo televisive, non può essere ridotto a una sola definizione: è senza dubbio da decenni uno dei giornalisti più noti della sua generazione (quella dei “nati dopo il 1970”, come scrive spesso), ma è anche il primo blogger ad avere avuto spazio in tv e addirittura ad essere eletto in Parlamento, quando i grillini ancora non imperavano nelle aule di Montecitorio e di Palazzo Madama.
di Gianluca Valpondi
Bisogna almeno aggiungere che è uno scrittore molto amato dal pubblico che compra i suoi libri e parimenti odiato da chi non li ha letti. Poi è un giocatore di poker, tra i pochissimi italiani ad aver conquistato due tavoli finali al World Poker Tour e risultati importanti in tutti i circuiti internazionali, dall’European Poker Tour fino alle mitiche World Series of Poker di Las Vegas. La prima domanda è dunque obbligata.
Chi è Mario Adinolfi?
Un ex ragazzo quasi quarantanovenne, figlio di Ugo e Louise, marito di Silvia, padre di Livia, Clara e Joanna Benedetta. Se cerchi una definizione di chiunque, ricordalo bene: sono i legami familiari a definirci.
Parla più l’uomo politico, il fondatore e leader del Popolo della Famiglia, il direttore del quotidiano La Croce o lo scrittore autore di Voglio la mamma?
Parla il giornalista. Da trent’anni racconto la realtà per come la vedo, giorno dopo giorno, chi dal 2015 legge quotidianamente La Croce o compra i miei libri conosce bene il mio metodo. Se vuoi andare all’essenza del racconto di qualsiasi essere umano, scopri di chi è figlio e che relazioni familiari ha costruito nella vita.
L’essere umano è definito anche dal lavoro che fa. Lei, Adinolfi, che lavora fa?
Sono un giornalista iscritto all’albo dal 1991, professionista dal 3 settembre 1997 con premio Ilaria Alpi vinto per la migliore votazione d’esame alla prova d’abilitazione. Poiché per iscriverti all’albo devi dimostrare due anni di attività antecedente, batto la strada da giornalista dal 1989. Sono più di trent’anni ormai e ho versato talmente tanti contributi all’Istituto di previdenza dei giornalisti che mi manca poco alla pensione. Tra meno di quindici anni, se Dio vorrà e non mi toglierà prima da questa Terra, smetterò totalmente di lavorare. Sarà un bel giorno visto che ho cominciato che non ero ancora maggiorenne.
Ha avuto paura di morire durante l’epidemia di Covid?
Gli obesi come me sono stati continuamente indicati come categoria a rischio. Forse anche per questo mi sono infuriato quando il governo mandava in giro degli spot con Michele Mirabella che diceva “non è affatto facile il contagio”. Avevo studiato alcuni dati ed ero preoccupato già da fine febbraio, mentre Zingaretti andava a farsi gli aperitivi sui Navigli. Per fortuna si è beccato il Covid e ha capito che non era una bazzecola, così nel Lazio dove vivo io ci sono state le misure prudenziali che come Popolo della Famiglia abbiamo chiesto da subito utilizzando credo per primi in Italia la parola “lockdown”.
Dunque lei si è chiuso in casa?
Sì, ricordo chiaramente un’ultima uscita con Silvia il 29 febbraio e poi il 1 marzo sono andato a votare per le suppletive della Camera dove ero candidato per il PdF. Poi il 2 ho tenuto una conferenza a Viterbo e dal 3 marzo ho messo tutta la famiglia in lockdown, una settimana prima del primo dpcm di Conte. Sono uscito per una commissione il 18 maggio.
Che esperienza è stata il lockdown?
Inizialmente molto traumatica, ho trascorso la vita intera a muovermi moltissimo, non esisteva l’idea di una settimana da trascorrere in casa tutta intera. Mi sono ritrovato a vivere undici settimane consecutive in totale simbiosi con Silvia e le bambine. Semplicemente, mai successo. Ero preoccupato, anche molto, sulla tenuta dei rapporti. Invece è stata una esperienza meravigliosa e rivelatrice. Siamo una coppia e una famiglia affiatata e non, come invece sospettavo, una famiglia che funzionava perché io non stavo troppo tra i piedi.
Nervosismo poco? Abbiamo letto tutti le litigate con il ministro Speranza per lo spot che ha citato, con Malena, con Rula Jebreal per il caso Sivia Romano…
Non è che ho passato il tempo ad arrabbiarmi, ho scritto tutti i giorni pacifici editoriali per il mio quotidiano La Croce, ho intrattenuto piacevoli dirette social con personaggi vari che vanno dal cardinale Matteo Zuppi alla splendida Federica Panicucci, ho fatto cinquanta puntate della mia tranquilla rassegna mattutina Stampa&Vangelo, ho prodotto proposte concrete per la soluzione dei bisogni economici delle famiglie chiedendo l’helicopter money. Ho alzato la voce solo per “cause” giuste: per chiedere il lockdown al posto della sottovalutazione del problema Covid e se mi avessero dato retta a febbraio anziché il 9 marzo avremmo salvato migliaia di vite; per lanciare l’allarme sul dilagare della pornografia, dopo aver visto le Iene dedicare 35 minuti di servizio ridanciano e legittimante a Malena, quando io credo che sia una tragedia che i giovanissimi formino il proprio immaginario sessuale con il porno on line; per dire a Rula Jebreal, intervistata da Famiglia Cristiana, che affermare che Silvia Romano stava vivendo in Italia nella paura “esattamente” come aveva vissuto prigioniera in Somalia, è un grave insulto al nostro Paese e non il primo che ci siamo fatti rivolgere da quella signora.
Addirittura prendersela con Famiglia Cristiana, un leader cattolico come lei?
Ci sono frange del mondo cattolico che mi detestano. Un giornalista di Famiglia Cristiana, sollecitato da un dirigente del Popolo della Famiglia, ha inviato una risposta molto piccata che non riuscendo a dire nulla sul merito delle mie osservazioni ricorreva ad una sequela di insulti e alla definizione di “pokerista” ripetuta tre volte. Ho capito di aver centrato il bersaglio e di aver detto la verità. Il cristiano sa che dire la verità provoca risentimento. E non se ne cura. Chi vuole insistere troverà comunque una resistenza coriacea. La barzelletta che mi diverte e mi rappresenta di più è quella di Gigi Proietti sul “cavaliere nero” a cui è meglio non rompere troppo le scatole, perché di qui non si passa.
A proposito: pokerista e cristiano, si può fare?
Pokerista e cattolico, divorziato a cattolico, risposato a Las Vegas e cattolico, obeso (e dunque goloso) e cattolico. Espongo con evidenza tutti i miei lati controversi, non rinuncio alla vita che mi ha attraversato e reso quel che sono. Per inciso, mi è utile che ci si senta migliori di me: agevola la forma della mia comunicazione, se fossi un santo altero e distante sarebbe assai meno efficace. Per quanto riguarda il poker, poi, non ho mai capito il problema: è un’abilità che considero fondamentale nella vita, l’ho insegnato alle mie figlie, aiuta a capire come prendere le decisioni quando le informazioni sono incomplete. Sono anche un grande scommettitore, l’intelligenza aiuta a vedere il futuro: da quindici anni con un gruppo sempre più vasto di amici scommettiamo sugli eventi sportivi (l’abbiamo chiamata Scommessa Collettiva e anzi ora dopo il Covid riapriamo gli accessi al gruppo, chi vuole può scrivere a adinolfi@gmail.com per entrare) e non c’è annata che non chiudiamo con profitto, anche molto significativo.
Lei si sente un profeta?
Ripeto, l’intelligenza aiuta a capire gli avvenimenti prima che si producono. Il docente universitario Gabriele Maestri ha da poco pubblicato uno studio sull’intuizione che con quello stesso gruppo d’amici della Scommessa Collettiva avemmo nel 2001, fondando un partito che si chiamava Democrazia Diretta con simbolo la chiocciola di internet che puntava tutto sulla disintermediazione garantita dal web che avrebbe abbattuto la figura del politico professionista producendo una rivoluzione dal basso. Con una dozzina d’anni d’anticipo eravamo arrivati alle teorie che avrebbero poi portato il M5S a entrare trionfalmente in Parlamento. Su un altro fronte, quando scrissi Voglio la mamma per difendere la famiglia naturale dall’assalto di orrori come l’utero in affitto, nessuno immaginava che un milione di persone avrebbero affollato piazza San Giovanni e il Circo Massimo per i due Family Day del 2015 e 2016. Se il Signore mi ha dato un dono è quello di capire prima quel che accadrà. Mia figlia Clara sintetizza così: “Papà non dirmi che domani la maestra mi interroga, altrimenti sicuramente succede”.
Perché ha tanti “haters”?
Credo sia una percezione distorta causata dai social. La trasmissione Le Iene un paio di anni fa mi mise a confronto con uno di questi che scrivevano cose orribili sul mio conto, dopo tre minuti era lì a scusarsi e gli tenevo la mano per consolarlo. In tanti anni di “visibilità” gli episodi di insulto si contano sulle dita di una mano, mentre ogni giorno rispondo a frasi di incoraggiamento e richieste di selfie.
Già, la “visibilità”. C’è chi pensa che lei non sia autentico, che tutto quello che fa in realtà lei lo faccia solo per farsi notare.
La visibilità è una gran rottura di scatole, non provoca vantaggi, ti costringe a vivere sulla difensiva, coinvolge nell’idea che chiunque possa giudicarti senza conoscerti anche i tuoi familiari. Mica ci guadagni niente se finisci cento volte su Dagospia. Se mia figlia trova all’università il docente a contratto che le fa l’esame e per qualsiasi ragione si pensa a me ostile, la fa pagare a lei. Io rifiuto il novanta per cento degli inviti ad apparire, faccio zero vita mondana, non coltivo relazioni, sono brusco e burbero con molti, sul mio profilo whatsapp c’è scritto “solo cose urgenti”. Poi, mi interessa dire delle cose. Per le mie idee, sì, cerco il modo per renderle visibili. Perché sono idee urticanti e il primo istinto degli interlocutori di sistema è silenziarle. Allora faccio in modo che non possano esserlo. E allora bene se finisco cento volte su Dagospia e in radio e in televisione. Se poi credono che io stesso non creda in quel che dico, fatti loro. Anzi, è un elemento che facilita la comunicazione. Sempre quello il segreto: farli sentire migliori di te, metterli nella condizione di poterti giudicare.
Lei è così cattolico come dice?
Recito il Credo con convinzione. Poi, come tutti, sono peccatore. Ma fin da bambino quando facevo il chierichetto dai salesiani di Testaccio e poi da ragazzo quando i miei, con sacrifici immensi di cui non sarò mai loro abbastanza grato, mi mandarono dai Fratelli delle Scuole Cristiane da cui scaturì la militanza nella Democrazia Cristiana e alla guida delle liste studentesche di Presenza Cristiana, ho avuto chiaro che solo il rapporto con Cristo vero e concreto ti salva dall’insensatezza che si impadronirebbe del mondo se Lui sparisse. Ho imparato che nella vita conta solo quello che dura: il mio ristrettissimo gruppo di veri amici è composto da persone che frequento da decenni, l’amore per la Juve e la politica e la parola ce l’ho da quarant’anni, la bimillenaria durata della Chiesa mi tranquillizza molto sulla radice veritiera che la nutre.
Non poteva essere più ligio ai doveri del buon cristiano? Che so, non divorziare ad esempio?
La vita non è una linea retta. Ci sono inciampi e cadute. C’è l’incontro con il dolore, quello capita a tutti, per alcuni interviene anche la disperazione. Ho dovuto attraversare anche quella, l’ho raccontata nel mio primo romanzo Email, il mio libro più bello e per questo meno letto. Sono comunque grato a Dio per non aver consentito che mi ci perdessi dentro.
Progetti per il futuro?
Molti sorridono quando lo dico, ma l’obiettivo è portare il Popolo della Famiglia al governo del Paese. L’Italia ha bisogno di idee nuove e il PdF ne è portatore, l’investimento per ripartire deve essere sull’unica cosa che conta per i nostri connazionali. Chiedetelo a ognuno e la stragrande maggioranza vi risponderà: la famiglia. La tutela della vita nascente, degli anziani e dei disabili, dei più deboli in generale attraverso quella straordinaria società naturale che si chiama famiglia, mi pare un’idea nuova e insieme antica, certamente fondamentale. Porta con sé numerose questioni decisive: natalità, impresa familiare, libertà educativa, libertà religiosa. Vere e proprie emergenze, lo si è capito nelle settimane del Covid. I 173 miliardi dell’Europa devono essere riversati tutti sulla famiglia e sull’impresa familiare italiana, mettendo al centro le donne con il reddito di maternità e l’indennità Covid per il sovraccarico da lavoro che hanno sostenuto nei mesi del lockdown. Siamo necessari al governo del Paese e alternativi agli sciocchi che rischiano per insipienza di portare l’Italia al disastro. Nel 2018 prendemmo 220mila voti, alle prossime politiche saranno almeno un milione e eleggeremo un drappello determinante di parlamentari. Si ricordi cosa dice la mia Clara: se lo dico, prima o poi succede.
Gianluca Valpondi