Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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La culla del virus, perché. Parliamo di ambiente. La Liguria demagrisce i parchi, in Piemonte nasce Parco dell’Alta Borbera


La pandemia del coronavirus dunque sembra essersi sovrapposta a un’altra pandemia: quella dell’aria. E perchè dimenticare l’ambiente in cui viviamo ? Le scelte della politica, di chi ci governa anche in Regione ?  Utile qualche confronto e riflessione, senza vocazione di talebani ambientalisti. Forse non è stata data l’importanza che merita quanto è accaduto nel Comune di Urbe. Ma i liguri, i savonesi tra sono gli europei che chiedono un futuro sempre più ecosostenibile ? O sono tra gli oltranzisti alla Trump ?

di Alesben B.

Oggi le percentuali di verde pubblico sulla superficie della Regione Liguria restano piuttosto scarse; mentre la giunta Toti insiste su di una politica ambientale che penalizza fortemente le aree protette savonesi, la confinante Regione Piemonte amplia le stesse istituendo nuovi parchi.

Una ‘favola’ dal sapore squisitamente ambientale racconta l’istituzione di un nuovo parco naturale in Piemonte, voluto dal Comune di Carrega Ligure e dai tanti abitanti borberini che hanno visto nel parco una possibilità di rilancio del territorio

Ecco cosa sta accadendo proprio in questi giorni di grande risveglio del movimento ecologista. Il Comune di Urbe (incastonato tra le province di Savona-Genova e Alessandria) si vede negare dalla Regione Liguria, senza nessuna motivazione, la richiesta di entrare nel Parco del Beigua, mentre in un’area geografica poco distante, simile per tanti aspetti naturalistici, la Regione Piemonte istituisce il nuovo Parco dell’Alta Val Borbera: territorio di grande bellezza ambientale, teatro di importanti eventi storici, attraversato da quella Via del Sale che incrocia i Sentieri della Libertà, memoria dei Martiri della Benedicta.

La Regione Piemonte ha istituito nuove aree protette per 10 mila ettari con il nuovo Parco Naturale dell’Alta Val Borbera, voluto fortemente dal Comune di Carrega Ligure e appoggiato dalla raccolta di mille firme di cittadini che credono veramente nell’importanza della tutela ambientale. E’ interessante mettere a confronto le due realtà: Urbe e Val Borbera. Queste appartengono allo stesso tratto di Appennini liguri: quei monti che hanno visto crescere nei secoli bellissimi boschi di faggi e castagni. Due realtà economiche destinate a sviluppare interessanti progetti di eco-turismo.

Eppure la Regione del presidente Toti (in vetta nelle proiezioni – intenzioni di elettorali 2020), sul suo sito, proclama che “Il sistema dei parchi e delle aree naturalistiche liguri offre una efficace rassegna della straordinaria varietà ambientale della Liguria, comprendendo quasi il 12% del territorio regionale, per una superficie complessiva di circa 60 mila ettari. I parchi sono spesso collegati tra loro da sentieri attrezzati, percorribili a piedi, a cavallo o in bicicletta; il principale di questi itinerari, l’Alta Via dei Monti Liguri, attraversa per 400 chilometri la regione, percorrendo spesso il crinale montuoso, tra le vette e il mare, a ridosso di borghi e testimonianze storiche.”

Valpadana- Pare  che l’aria inquinata e in particolare le polveri sottili, favoriscano la virulenza di contagio da Covid-19, una correlazione diretta sulla quale si stanno effettuando ancora studi e analisi. Questo spiegherebbe infatti il contagio particolarmente elevato da Coronavirus sulla Valpadana, in particolare il rate innescato dai focolai lombardi. Non a caso Brescia e Bergamo sono le province più duramente colpite, province che di fatto risultano tra le mediamente più inquinate d’Italia.

Con una superficie di circa 47 820 km², è una delle più grandi pianure europee e la più grande dell’Europa meridionale, occupa buona parte dell’Italia settentrionale, dalle Alpi Occidentali al mare Adriatico, e ha all’incirca la forma di un triangolo. Quasi al centro scorre il fiume Po, che l’attraversa in direzione ovest-est. L’orografia della Valpadana: è una valle chiusa su tre lati da Alpi e Appennini dove l’inquinamento ristagna più a lungo anche a fronte di una riduzione delle emissioni.

Durante una trasmissione televisiva di parecchi anni fa, ovvero alle 22 di venerdì 27 maggio 1977, dagli studi Fiera 2 di Milano, Enzo Tortora (1928-1988) diede il benvenuto ai telespettatori della Rete 2 a «Portobello». Così iniziò un programma che cambiò la storia della tv. Scritto dal conduttore con la sorella Anna e Angelo Citterio, ebbe ascolti record: 20-25 milioni di telespettatori a puntata, con picchi di 28 milioni. Tortora scelse il nome del programma ispirandosi a Portobello Road, la strada di Londra che ospita il noto mercatino. L’idea della trasmissione, infatti, era quella di fare incontrare tra loro chi vendeva, comprava, cercava qualcosa o qualcuno. Non solo idee ma anche bufale.

Troppa nebbia in pianura Padana? “Abbattiamo il Turchino“, la storica bufala di Portobello.

In questi giorni è tornata la fitta nebbia in pianura Padana, almeno nelle ore notturne, di sera e al mattino. E allora non può che tornarci alla mente la storica trasmissione del gennaio 1978 di “Portobello“, guidato magistralmente dal grande Enzo Tortora. Indimenticabile, infatti, la bizzarra idea di un milanese presentata in trasmissione proprio per sventare la nebbia della pianura Padana: abbattere il monte Turchino, che separa la pianura Padana dalla Liguria.
Mai nessuno ha risposto a questa clamorosa bufala, che oltre ad essere molto particolare già di per sé come idea, non ha alcun fondamento scientifico, nè risolverebbe davvero il “problema” della nebbia in Valpadana.

Il meteorologo Mario Giuliacci, dalle pagine del suo sito, http://www.meteogiuliacci.it/, ha deciso proprio di dare una risposta concreta e precisa a questo tipo di follia: “l’aria contenuta nella Pianura Padana si può immaginare come confinata in uno scatolone alto circa 15 km, lungo circa 400 km, largo 200 km. L’abbattimento del Turchino avrebbe creato in tale “scatolone” d’aria una fessura di circa 2 km2, ovvero una finestra ininfluente sul ricambio di aria in Val Padana. Infatti, fatte le dovute proporzioni, è come pretendere di ricambiare l’aria in un locale alto 15 cm,  lungo 4m e  largo 2m, con un foro di appena 1/10 di millimetro quadrato!“.

Ma a prescindere da tutto questo, siamo sicuri che la nebbia vada vista come un “problema”? Sicuramente dà fastidio alla viabilità sulle strade, ma è un fenomeno naturale, anche suggestivo e affascinante, che fa parte del nostro Pianeta così come ci è stato consegnato.

Il suo nome deriva da Padus, nome latino del Po. Il termine “Padania”, benché più recente, compare già nel 1903 in un articolo della Società Geografica Italiana scritto da Gian Lodovico Bertolini e intitolato Sulla permanenza del significato estensivo del nome di Lombardia, mentre pochi anni dopo il prof. Angelo Mariani pubblica per i tipi Hoepli un manuale dal titolo Geografia economico sociale dell’Italia in cui Padania si riferisce al territorio a nord dell’Appennino.

A nord-est, oltre l’Adige per alcuni, oltre la catena dei Colli Euganei e la laguna di Venezia per altri, la pianura assume la denominazione di pianura veneto-friulana. Queste due aree pianeggianti contigue sono separate dall’Europa Centrale dalla catena alpina, spartiacque geografico e climatico, e sono quindi considerate parte dell’Europa Meridionale, anche se la parte nord-orientale viene considerata mitteleuropea in talune fonti bibliografiche ovvero nella Comunità di lavoro Alpe Adria. Le Alpi, le Prealpi, i rilievi delle Langhe e del Monferrato delimitano quindi la pianura padana lungo i versanti nord, ovest e sud-ovest, il versante meridionale è invece chiuso dalla catena degli Appennini mentre a est è bagnata dall’Adriatico. A sud-est, invece, sembra che fino all’inizio della seconda metà del XX secolo, fosse ancora visibile una lastra di pietra verticale, accanto alla costa, nella zona estrema a sud della Romagna, a Cattolica, recante una scritta simile: “Qui comincia la Pianura Padana”.

Per definirla viene anche usato, sia pur raramente, il toponimo bassopiano padano. Altro termine entrato recentemente nell’uso comune è quello di Padania, che viene anche diversamente utilizzato in altri ambiti, come quello politico, per indicare un’area dell’Italia Settentrionale in parte coincidente con la pianura stessa. È bagnata, oltre che dal Po e dai suoi numerosi affluenti, anche da Adige, Brenta, Piave, Tagliamento, Reno e dai fiumi della Romagna nei loro bassi corsi dallo sbocco in pianura fino alla foce.Non sarebbe un caso infatti se il coronavirus è riuscito a procedere molto velocemente proprio in aree a grande concentrazione industriale , dove l’aria ha una qualità pessima.

L’aria si mantiene pulita grazie alla superficie di verde pubblico e/o privato, e visto che l’Italia è un penisola, anche dalle acque sia marine che interne. Buone le acque del mare. Il 90,4% delle acque di balneazione è classificato come eccellente e solo 1,8% come scarso.
Su 82 Province, 50 detengono solo acque eccellenti, buone o sufficienti e, in particolare, 26 hanno tutte acque eccellenti. In generale, comunque, il numero di acque eccellenti supera l’80% del totale provinciale in 65 casi. La presenza della microalga potenzialmente tossica, Ostreopsis ovata, durante la stagione 2016, è stata riscontrata almeno una volta in 32 Province campione su 41, anche con episodi di fioriture, mentre il valore limite di abbondanza delle 10.000 cell/l è stato superato almeno una volta in 17 Province.
In un caso è stato emesso il divieto di balneazione (Ancona) come misura di gestione a tutela della salute del bagnante.

Poco, invece, il verde nelle città. Le percentuali di verde pubblico sulla superficie comunale restano piuttosto scarse, con valori inferiori al 5% in 96 dei 119 città analizzate, compresi i 3 nuovi comuni inclusi per la prima volta nel campione di quest’anno, nei quali il verde pubblico non incide più del 2% sul territorio. Solo in 11 aree urbane, prevalentemente del Nord, la percentuale di verde pubblico raggiunge valori superiori al 10%; i più alti si riscontrano nei comuni dell’arco alpino, in particolare a Sondrio (33%) e a Trento (29,7%).
La scarsa presenza di verde si riflette ovviamente sulla disponibilità pro capite, compresa fra i 10 e i 30 metri quadri per abitante nella metà dei comuni (compresa Guidonia Montecelio).
A Giugliano in Campania, invece, si registra il valore minimo (appena 2,2 metri quadri per abitante). In linea generale, le aree urbane “più verdi” sono quelle con una significativa presenza di aree protette: Messina, Venezia, Cagliari e L’Aquila.

Diminuiscono le aree agricole, altro importante tassello dell’infrastruttura verde comunale: il trend della superficie agricola utilizzata negli ultimi 30 anni è negativo in ben 100 dei 119 comuni indagati, con valori percentuali compresi tra il -1,4% di Viterbo e il -83,7% di Cagliari.

Ma l’Italia del verde, fino a metà degli anni ‘900 era presente in proporzioni massicce; incominciò un lento ed inesorabile declino dopo il 1942 anno in cui fu progettato il primo piano territoriale di coordinamento [L. 17-08-1942 n° 1150] strumento urbanistico a seguito di quello iniziato nel 1885 [L. 15-01-1885 n° 2892] nota come legge per il risanamento della città di Napoli, che fu predisposta in seguito alla grave epidemia di colera che colpì il capoluogo campano nel 1884.

Prima del 1942, il regime progettò la trasformazione paesistica e territoriale dell’Agro Pontino. Risale la bonifica al 1929-1935 e le conseguenti colonizzazione, appoderamento, e fondazioni di nuovi centri (Littoria, poi Latina, Pontinia, Aprilia, Sabaudia), caratterizzati da un’architettura di tipo razionalista e una quindicina di borghi rurali.

Le paludi pontine in età remota erano ricoperte da una estesa laguna che in seguito venne prosciugata, lasciando la fertile terra. I primi tentativi di bonifica storicamente accertati risalgono ai latini e sono testimoniati dal rinvenimento di un esteso sistema di drenaggio con cunicoli sotterranei, dotati di pozzi per bonificare il territorio pontino settentrionale.

Agro pontino – La bonifica delle paludi e il disboscamento delle foreste hanno distrutto nel giro di pochi anni questo ecosistema, al quale è subentrato uno nuovo. Gli ultimi lembi rimasti sono tutelati nel Parco nazionale del Circeo, sebbene quest’ultimo rispecchi solo in parte l’originario ambiente palustre. Per debellare la malaria, che fece una vera e propria strage fra i bonificatori, vennero piantati numerosi eucalipti, un albero tipico australiano che assorbe l’acqua dal terreno. L’eucalipto costituisce oggi una parte predominante nel paesaggio rurale dell’Agro. Inoltre si ricorse al DDT, che nel dopoguerra fu immesso massicciamente nei canali e nei bacini (dove l’anofele aveva ricominciato a riprodursi) soprattutto da parte militare alleata. Nei canali furono immesse specie di pesci, originari dell’America, che distrussero le uova e i nidi dell’anofele, ma, per mancanza di concorrenti, sono proliferate al punto da causare la forte riduzione anche delle altre specie acquatiche che erano riuscite a riprodursi e a vivere nei canali.

Alesben B.

 


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