Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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L’inferno Corona-virus? E’ per i moderni
A 700 anni da Dante Alighieri:
‘Vexillia regis prodeunt inferni…’.


1321-2021: A 700 anni dalla morte di Dante Alighieri. Uno studioso, che intende rimanere anonimo, ha rinvenuto, rimasto ignoto fino ad oggi, un «XXXIV canto-bis dell’Inferno». Profezia? Previsione? Chi può saperlo! A leggerlo si scopre che l’uno, il «XXXIV originale» e l’altro, il «XXXIV-bis», procedono (prodeunt) sulle stesse rime.

INFERNO XXXIV                    INFERNO XXXIV-bis (pseudoDante)

«Vexilla regis prodeunt inferni            «Corona virus è per i moderni

verso di noi; però dinanzi mira»            uomini un vil malanno che s’aggira»

disse ‘l maestro mio «se tu ‘l discerni».     3    dicon gli esperti «che non merta scherni».

Come, quando una grossa nebbia spira        Se colpisce qualcun, più non respira:

o quando l’emisperio nostro annotta            s’infiltra ne’ polmoni ed è una lotta

par di lungi un molin che ‘l vento gira,     6    tal che pe ‘l male ognun soffre e delira.

Veder mi parve un tal dificio allotta;            A debellar scegli la giusta rotta:

poi per lo vento mi ristrinsi retro            per non trovarti in ciel appo San Pietro,

al duca mio, ché non lì era altra grotta.     9    encomiabile sia la tua condotta.

Già era, e con paura il metto in metro,        Non viaggiare sui bus, treni e la metro

là dove l’ombre tutte eran coperte            giacché le condizioni sono incerte

e trasparien come festuca in vetro:         12    e ‘l contagio, si sa, ti corre dietro.

altre sono a giacere; altre stanno erte,            Devi sempre seguir, qual un solerte

quella col capo e quella con le piante;        essere conscio e non già da ignorante,

altra, com’arco, il vólto a’ piè rinverte.    15    le regole che danno voci esperte:

Quando noi fummo fatti tanto avante,        le deve rispettare ogni abitante,

ch’al mio maestro piacque di mostrarmi        ch’esse efficaci son le sole armi

la creatura ch’ebbe il bel sembiante,        18    laonde non crollar da agonizzante.

Dinanzi mi si tolse e fe’ restarmi,            Non crediate che sieno falsi allarmi:

«Ecco Dite» dicendo,    «ed ecco il loco         a difender la vita ci vuol poco

ove convien che di fortezza t’armi» .        21    per far sì che la morte vi risparmi

Com’io divenni allor gelato e fioco,            Ciò che viviam non certo è un… videogioco,

nol dimandar, lettor, ch’ i’ non lo scrivo,        ma un fatto che pertiene ad ogni vivo,

però ch’ogni parlar sarebbe poco.        24    prima che venga imposto il coprifuoco.

Io non mori’, e non rimasi vivo:            Non si ridicolizzi ciò che scrivo

pensa oggimai per te, s’hai fior d’ingegno,        ché si tratta d’un dramma, e qui lo insegno,

qual io divenni, d’uno e d’altro privo.    27    che colpisce colui di senno privo.

Lo ‘mperador del doloroso regno            Chi vuol bere e mangiar sanza ritegno

da mezzo il petto uscia fuor de la ghiaccia;        e osservare non vuol la buona traccia,

e più con un gigante io mi convegno,        30    è d’obbligo inver tenerlo indegno

che’ giganti non fan con le sue braccia        al punto tal che non sol la pellaccia

vedi oggimai quant’esser dèe quel tutto        debba perdere lui, ma perda tutto

ch’ a così fatta parte si confaccia.        33    ei che per tutti è una real minaccia.

S’el fu sì bel com’elli è ora brutto,            La paura e il terror son dappertutto

e contra ‘l suo fattore alzò le ciglia            e a volte basta un battito di ciglia

ben dèe da lui proceder ogni lutto.        36    acciò che la psicosi abbia debutto.

Oh quanto parve a me gran maraviglia        Questo morbo che ammorba rassomiglia

quand’io vidi tre facce e la sua testa!            alla peste d’antàn così funesta

L’una dinanzi, e quella era vermiglia;    39    che col figlio colpiva pur la figlia,

l’altr’eran due, che s’aggiugnìeno a questa        la madre e il padre, e come qui si attesta,

sovresso ‘l mezzo di ciascuna spalla            l’avo e l’ava ch’avevan sulla spalla

e sé giugnìeno al luogo de la cresta:        42    i nipoti, il cui moto mai s’arresta.

E la destra parea tra bianca e gialla            Dapprima vien la zona detta gialla,

la sinistra a vedere era tal, quali            in cui son già presenti potenziali

vegnon di là onde ‘l Nilo s’avvalla.        45    quei germi per i quai la cerchia falla;

Sotto ciascuna uscivan due grand’ali,            e se rossa addiviene guai e mali

quanto si convenia a tanto uccello:            dilatano simìli a quel flagello

vele di mar non vid’io mai cotali.        48    che falcidiò in Egitto li animali

Non avean penne, ma di vispistrello            cogli uomini, ai quali ognor m’appello:

era lor modo; e quelle svolazzava,            non siamo più al tempo della clava

sì che tre venti si movean da ello.        51    per cui l’invito è all’uso del cervello.

Quindi Cocito tutto s’aggelava;            La convivenza in pace e sanza bava,

con sei occhi piangea, e per tre menti            sanza spruzzi, zampilli ed altri agenti

gocciava ‘ pianto e sanguinosa bava.        54     cause di polmonite che s’aggrava,

Da ogni bocca dirompea co’ denti            giulivi renderà tutti e contenti:

un peccatore, a guisa di maciulla,            siate ottimisti, basterà un nonnulla

sì che tre ne facea così dolenti        57    per cessar di tremar battendo i denti.

A quel dinanzi il mordere era nulla            S’ancor vi è chi col morbo si trastulla,

verso ‘l graffiar, che tal volta la schiena        credendo che sia cosa per cui pena

rimanea della pelle tutta brulla.        60    non s’ha da darsi perché sia fasulla,

«Quell’anima là su c’ha maggior pena»        ei sappia ch’ogni dì esso scatena

disse ‘l maestro, «è Giuda Scariotto,            di contagi e di morti un sì gran lotto

che ‘l capo ha dentro e fuor le gambe mena.    63    che interromper si può a malapena.

De li altri due c’hanno il capo di sotto,        Sol colui che nel capo è un po’ scemotto

quel che pende dal nero ceffo è Bruto:        arrischia danneggiar col proprio sputo

vedi come si torce non fa motto;        66    altrui, come la piova a gran dirotto,

e l’altro è Cassio che par sì membruto.        ché al giovane, a l’anzian com’a ‘l canuto

Ma la notte resurge, e oramai                l’ampliarsi di tai di gocce crea guai

è da partir, ché tutto avem veduto».        69    non lievi, ma nel modo più assoluto.

Com’a lui piacque, il collo li avvinghiai;        In ogni guisa s’eviti il viavai

ed el prese di tempo e luogo poste,            che aggrega troppa gente nelle soste:

e, quando l’ali fuoro aperte assai,        72    così il contagio non s’acquieta mai,

appigliò sé a le vellute coste:                s’acuiscono al peggio le batoste

di vello in vello giù discese poscia            che di molto perpetuano l’angoscia

tra ‘l folto pelo e le gelate croste.        75    per positive non aver risposte.

Quando noi fummo là dove la coscia            A mano a man che ‘l morbo un quid s’affloscia

si volge a punto in sul grosso de l’anche,        grazie a infermieri, medici e pur anche

lo duca, con fatica e con angoscia,        78    ai volontari la cui opra scroscia

volse la testa ov’elli avea le zanche,            d’impegno, zelo, scrupolo e neanche

ed aggrappossi al pel com’om che sale,        un attimo di sosta cerebrale

sì che ‘n inferno i’ credea tornar anche.    81    pur se la mente e schiena sono stanche:

«Attienti ben, ché per cotali scale»            si debbe dir, e ciò non è banale,

disse ‘l maestro ansando com’om lasso        a tutti loro ch’hanno il corpo lasso:

«conviensi dipartir da tanto male».        84    «La vostra dedizione è celestiale».

Poi uscì fuor per lo fóro d’un sasso,            Qualcuno spande, e con gran fracasso,

e pose me in su l’orlo a sedere;            ch’è già pronto un vaccino: da temere

appresso porse a me l’accorto passo.        87    sono le voci che fan tanto chiasso,

Io levai li occhi, e credetti vedere            ma basi serie non hanno né severe;

Lucifero com’io l’ave lasciato,            il lor valore è falso e millantato

e vidili le gambe in su tenere;            90    per cui gli annunci non son mai da bere!

e s’io divenni allora travagliato,            E se qualcuno viene accalappiato,

la gente grossa il pensi, che non vede            è bene che non presti mai sua fede

qual è quel punto ch’io aveva passato.    93    all’inganno ch’è stato concertato.

«Lèvati su» disse ‘l maestro «in piede:        Sol credi allo studioso che procede

la via è lunga e ‘l cammino è malvagio,        mai con la fretta, ma sicuro e adagio

e già il sole a mezza terza riede».        96    per scienza e competenza che possiede.

Non era caminata di palagio                Ciò te lo dico sanz’alcun disagio:

là ‘v’ eravam, ma natural burella            «Lettore mio, non è una bagattella

ch’avea mal suolo e di lume disagio.        99    soccombere qual ostia del contagio!

«Prima ch’io de l’abisso mi divella,            Nato tu sei sotto cattiva stella,

maestro mio,» diss’io quando fui dritto,        se non segui le norme e il buon diritto

«a trarmi d’erro un poco mi favella.        102    ché ritrovarti puoi su ‘na barella».

Ov’è la ghiaccia? E questi com’è fitto        Ogn’uom debbe obbedire ad tristo editto

sì sottosopra? E come, in sì poc’ora,            e rimaner ben chiuso in sua dimora

da sera a mane ha fatto il sol tragitto?»    105    per non esser dal vil morbo trafitto.

Ed elli a me: «Tu imagini ancora            Igiene e profilassi son tuttora

d’esser di là dal centro, ov’io mi presi        le armi per restare vivi e illesi

al pel del vermo reo che ‘l mondo fóra.    108    dal flagello ch’ovunque infuria e affiora.

Di là fosti cotanto quant’io scesi;            I giorni di clausura sien ben spesi

quand’io mi volsi, tu passasti ‘l punto        in famiglia coi figli che dan spunto

al qual si traggon d’ogni parte i pesi:        111    di gioia: essi non sono mai scortesi.

e se’ or sotto l’emisperio giunto            La vita in casa, quello è il vero punto,

ch’è opposito a quel che la gran secca        si viva in armonia o fa cilecca

coverchia, e, sotto ‘l cui colmo, consunto    114    se il buon accordo, ahinoi, non vien raggiunto.

fu l’uom che nacque e visse sanza pecca:        Musica, arte, giochi e un… lecca lecca

tu hai li piedi in su picciola spera            rendono l’esistenza più leggera:

che l’altra faccia fa de la Giudecca.        117    schema di attività che qui ci azzecca.

Qui è da man, quando di là è sera:            Havvi una cura in cui ognuno spera?

e questi, che ne fe’ scala col pelo,            Dal propoli e dal timo, lo rivelo,

fitto è ancora sì come prim’era:        120    l’aiuto per uscir de la bufera:

Da questa parte cadde giù dal cielo;            l’Antica Farmacia del Carmelo

e la terra, che pria di qua si sporse            è prodiga e ricca di risorse

per paura di lui fe’ del mar velo,        123    valide come quelle del Vangelo,

e venne a l’emisperio nostro; e forse            a cui per i miracoli ricorse

per fuggir lui lasciò qui ‘l luogo vòto            nei gravi rischi il popolo devoto

quella ch’appar di qua,e su ricorse».        126    allor che la salvezza vera scorse.

Luogo è la giú da Belzebú remoto            Ma tu non confidar in elli in toto,

tanto quanto la tomba si distende,            con elli tutt’al più ci si difende

che non per vista, ma per suono è noto    129    ché il vaccin che sonfigge ancora è ignoto.

d’un ruscelletto che quivi discende            Finora il morbo vil anco si estende:

per la buca d’un sasso, ch’elli ha róso,        noi lo vedrem scemar col tempo afoso

col corso ch’elli avvolge, e poco pende.    132    ché il virus col calor non si riaccende.

Lo duca ed io per quel cammino ascoso        Ognun de la salute più è bramoso

intrammo a ritornar nel chiaro mondo;        che il mal che c’ha colpiti scuro e immondo:

e sanza cura aver d’alcun riposo,        135    tutti in attesa siam del dì gaudioso

salimmo su, el primo e io secondo,            che fine abbi esto finimondo

tanto ch’i’ vidi de le cose belle            tal che si possa escir da nostre celle

che porta ‘l ciel, per un pertugio tondo:    138     e liberi vagare per lo mondo

e quindi uscimmo a riveder le stelle.            e insieme ancor gioir sotto le stelle.

                (D.A.)                            (B.H.)



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B. Poggio

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