Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Il (famigerato) partigiano “Ardito”. Un nesso di sorprendenti coincidenze? I misteri delle Brigate ‘Briganti’ e ‘Baltera’. Le omonimie
C’erano anche don Pelle, Speranza, Urbani


Un partigiano di nome “Ardito”:c’è un nesso fra le sorprendenti coincidenze? I misteri delle Brigate “Briganti” e “Baltera”, innumerevoli casi di omonimia ed un romanzo. Una storia con personalità che hanno avuto ruoli di rilievo nella memoria resistenziale del dopoguerra, sebbene allora molto giovani: Don Angelo Pelle, Lelio Speranza e Giovanni Urbani.

  1. “Ardito” nei misteri delle Brigate garibaldine “Briganti” e “Baltera”

    Nell’Archivio del Partigiano “Ernesto”, Gino de Marco, è conservata una corrispondenza tra due comandi partigiani garibaldini in relazione in relazione a fatti avvenuti nell’alta Val Bormida savonese, vedere copia dell’originale. Sono passati 73 anni. Quell’8 febbraio 1945, nell’entroterra, faceva freddo, forse c’era la neve. Anche le formazioni Garibaldi, organizzate dal Partito Comunista Italiano (all’interno però vi militarono anche esponenti appartenenti al CLN e al partito socialista), operavano nelle montagne del savonese. Come elementi distintivi, i componenti delle brigate Garibaldi erano soliti indossare fazzoletti rossi al collo e stelle rosse sui copricapi. Forse, nonostante il comune denominatore ideologico, si manifestavano dissidi, intesi come frequenti casi di sconfinamento o di concorrenza tra le diverse bande rosse. Una conflittualità largamente sottovalutata dalla storiografia postbellica ma che si è conservata nella memoria collettiva. Ecco, forse, perché un ignoto scritturale del comando della 3^ Brigata d’Assalto “Libero Briganti” scrive al sovraordinato comando della 1^ Divisione “G. Bevilacqua” un lettera ad argomento: “Volontario Ardito“. E comunica che la 5^ Brigata d’Assalto “Baltera” (subordinata alla Divisione “G. Bevilacqua” come la Brigata “Libero Briganti”) ha affidato il comando di un distaccamento al volontario Ardito, creando una situazione di paradosso. Il predetto viene dichiarato – con prove di fatto – ricercato dalla “Briganti” per diserzione, truffa, disfattismo e spionaggio. In precedenza, la “Baltera” avrebbe per di più inviato il Vicecommissario Pio per convincere la “Briganti” a desistere dal compiere azioni di polizia nei confronti di Ardito e di suoi complici e quest’ultima – in linea di massima – avrebbe accettato, però, a patto che fosse riunito in assemblea il distaccamento comandato dall’imputato, per contestargli le sue malefatte e consentirgli di difendersi. Alla data della lettera, le suddette richieste non risultano ancora soddisfatte, il comandante e commissario sottoscrittori, Noce ed Abete, conservano il proprio punto di vista su Ardito e i suoi complici. E, forse, dal loro animo gravato da segreti ma ancora pieno di speranze, rotolava una sentenza, testualmente: E’ pericoloso averlo nelle nostre file. Deducetene la morale.

    Allo stato non sono disponibili evidenze circa la conclusione della vicenda, né sull’esatta identità di Ardito.

  2. 22 casi di nome di battaglia “Ardito” segnalati nella Banca dati del partigianato Ligure, vedere il link: https://www.ilsrec.it/database/introduzione.php

    La Banca dati del partigianato ligure è un progetto avviato nel 2016, e recentemente conclusosi, da parte del ILSREC – Istituto ligure per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea
    “Raimondo Ricci” con il contributo della Compagnia di San Paolo, Coop Liguria e le confederazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil, oltre ad altri soggetti partecipanti a vario titolo: Anpi provinciale di Genova, Istituti storici della Resistenza di Imperia, La Spezia, Savona. L’Archivio Centrale dello Stato ha messo a disposizione le pratiche e la documentazione, in esso conservate, relative al fondo Ricompart “Ufficio per il riconoscimento qualifiche e per le ricompense ai partigiani”, istituito nell’ immediato dopoguerra, per il censimento e l’assegnazione delle qualifiche partigiane. Si tratta della raccolta delle carte della Commissione regionale Ligure, incluse oltre 34.000 schede riepilogative inerenti ad altrettanti fascicoli comprensivi della documentazione prodotta per ogni singola richiesta. Il trattamento dei dati ha consentito di tracciare una serie di profili che si riferiscono ai combattenti e di delineare un quadro organico delle formazioni operanti nella Regione, inserendole nel contesto sociale, oltre che storico e geografico. Le schede contemplano i dati biografici, l’esperienza militare precedente all’8 settembre 1943, la carriera partigiana, la posizione rispetto alla RSI, unitamente ai dati concernenti l’eventuale ferimento, deportazione o detenzione e la qualifica attribuita dalla Commissione ligure: le informazioni contenute in ciascuna di esse, una volta ottimizzate, sono state riportate nei 42 campi testuali che compongono il singolo record. Ci si può quindi sbizzarrire a rintracciare quanto risulta relativamente ai personaggi più o meno noti della Resistenza ligure, di ogni formazione combattente e di ogni orientamento ideologico. Tanto per citarne alcuni, tra i tanti, di alcuni si è anche occupato il blog Trucioli, si ritrovano famosi eroi e caduti quali: Aldo Cascione “u Megu”, Silvio Bonfante “Cion”, Aldo Gastaldi “Bisagno” e Cristoforo Astengo; protagonisti di oscure vicende: Matteo Abbindi “il Biondino”; ulteriori personalità che hanno avuto ruoli di rilievo nella memoria resistenziale del dopoguerra, sebbene allora molto giovani: Don Angelo Pelle, Lelio Speranza e Giovanni Urbani.

    Tornando ad Ardito, curiosamente la ricerca attraverso la chiave “nome di battaglia = Ardito” restituisce 22 casi di partigiani di formazioni della Liguria, che si facevano chiamare con quell’appellativo, vedi sotto:

  3. Un’ipotesi.

    A questo punto, lungo tutto il corso della presente ricerca di microstoria, è possibile pagare un “pedaggio” non consentito all’epoca in cui era negare, presentare la Resistenza come fenomeno in chiaroscuro, dovendosi separare nettamente le inesattezze dalle ragioni.

    Dal libro “Ci chiamavano Briganti“, di Maurizio Calvo, vedi link: https://www.lafeltrinelli.it/libri/maurizio-calvo/ci-chiamavano-briganti/9788887730241, si evincono alcuni punti relativamente alla 3^ Brigata “Briganti”:

  4. nel novembre 1944, era già retta da Noce, Parodi GB, Quiliano 1915 (nella foto) ed Abete, Pastorino Carlo, Vado L. 1911, comandante e commissario rispettivamente, ed era allora composta da tre distaccamenti (Negri, Torcello, Bonaguro);
    1. la sua zona di influenza era da Pietra a Ceriale sino a Bardineto all’interno, in una zona quindi con quella in cui operava la Brigata “Baltera”, ossia: Osiglia – Bormida – Pallare – Plodio – Carcare – Murialdo – Massimino – Roccavignale – Cengio – Castelnuovo – Priero;
    2. nell’ottobre 44, il distaccamento Negri era comandato da un certo Ardito (Perrone Renzo, Borgio Verezzi, 1921), che tuttavia si dimostrava troppo autonomo e usciva molto spesso da zone di sua competenza, scontrandosi con altri distaccamenti o brigate (compresa la “Baltera”). Ardito/Perrone sino al 16.11.44 era al comando del distaccamento Negri. Il 13.10 si svolge il sequestro a Calizzano (zone della 5^ Brigata Baltera.) di merce presso un simpatizzante dei partigiani. A seguito di vibrate proteste di Bill e Leone, rispettivamente comandante e commissario della “Baltera”, viene concordata la restituzione ed il pagamento dei danni. Il 18.10 Ardito viene ricoverato per malattia ed il 21 viene sottolineata la necessità della sua sostituzione. Il 16/11/44 assume la carica di Capo di Stato Maggiore della Brigata, però da allora non se ne trova più traccia;
    3. nel suo organico figuravano, quali responsabili, anche ALDO, Pastorino Aldo, da Noli del 1924, e MICCIO o MICIO era Palevich Mihailo, iugoslavo nato nel 1913: entrambi erano del distaccamento Torcello.

Tra i nominativi riportati nell’elenco suddetto, proprio al Perrone, per via del suo comportamento, si potrebbe pensare riguardo a quanto dichiarato sulla sopracitata lettera del febbraio 1945. Come di seguito risulta censito nella Banca dati del partigianato ligure.


E già emergono discrepanze inerenti il luogo di nascita, Calizzano non Borgio Verezzi, e l’appartenenza, la 4^ Brigata “Cristoni” non, come cita la lettera, la 5^ Brigata “Baltera”, (successivamente denominata “Fratelli Figuccio”, ovvero in memoria dei partigiani combattenti Jim e Stiv, Pasquale Figuccio,25 anni, e Stefano Figuccio, 20 anni, del Comando della V Brigata d’assalto Garibaldi “Baltera” caduti in combattimento il 20 gennaio 1945, ad Altare), di cui, nella lista, l’unico a risultare appartenente è tal Alessandro Lavini.

Gli elementi rilevati possono lasciare tuttavia spazio soltanto a congetture, ad attribuzioni fatte a livello di ipotesi, perché come abbiamo visto pare che “Ardito” fosse un nome che andava per la maggiore a quei tempi. Non è poi da escludere che, stanti i capi di imputazione, il famigerato Ardito sia stato giustiziato e, come soleva in questi casi, se siano fatte perdere le tracce per evidenti ragioni. Quindi egli potrebbe non essere nemmeno il Lavini, secondo la cui scheda della Banca dati del partigianato ligure, di sotto riportata, caduto per impiccagione il 5 aprile 1945, come vedremo, per mano fascista. Un epilogo tragico ed eroico, che, risultati troppo stretti i panni dello storico per addentrarsi nei meandri della natura umana, si riterrebbe in teoria incompatibile con la sorte di uno che era sospettato di non essere certo uno stinco di santo.


Un articolo dal titolo “Alessandro Lavini: un canalese morto da partigiano in provincia di Savona” apparso il 15 gennaio 2018 sul blog “SaRa Stampa“, vedi link: https://sarastampa.wordpress.com/2018/01/15/alessandro-lavini-un-canalese-morto-da-partigiano-in-provincia-di-savona/ , dettaglia la vicenda di questo partigiano, a cui è stata dedicata in memoria una lapide sul luogo della morte. Alessandro Lavini, nato a Canale Monterano il 18 marzo 1920, nella primavera del 1945 si trovava in Liguria e stava cercando in qualche modo di tornare a casa. Faceva parte della quinta “Brigata partigiana Baltera” ed il suo cospirativo era “Ardito”. Il 4 aprile del 1945. Purtroppo, Alessandro si sentì male e si fece aiutare da un suo amico medico. Si trovavano entrambi nei pressi di Millesimo e vennero a sapere che di lì a poco ci sarebbe stato un rastrellamento imponente. La notizia sconvolse i loro piani e, così, insieme decisero di correre a dare l’allarme ai loro compagni ma non riuscirono a raggiungerli, venendo catturati dai fascisti in località Acquafredda (oggi una frazione del Comune di Millesimo) e il 5 aprile del 1945 furono impiccati. Vennero quindi lasciati “ad esempio” nella piazza del paese per ben tre giorni.

  1. Un libro. Ultima coincidenza, senza volervi trovare un nesso forzato, è stato pubblicato proprio quest’anno per la prolifica penna di Giuseppe Carlo Delli Santi – già proprietario a Milano di un’Agenzia di pubblicità, poi giornalista free-lance per Il Sole 24 Ore e altri, ha scritto 36 libri, la maggior parte romanzi, come pure raccolte di poesie, sceneggiature e racconti -, un volume dal titolo:Il mio nome è Partigiano Ardito – La resistenza ligure fra luci ed ombre”, v. link: https://ilmiolibro.kataweb.it/libro/narrativa/377309/il-mio-nome-partigiano-ardito-2/

    Sulla scia di tutte le questioni, intricate e ancora avvolte da un cupo alone, la sinossi dell’opera risuona in maniera eloquente: «Partigiani, Repubblichini, ambienti e azioni di una guerra civile ancor oggi divisiva. La Liguria è stata senza dubbio una delle zone più importanti per la Resistenza. Qui e nel contesto degli anni dal ’41 al ’45 vivono, si muovano e si amano e, sì, combattono, due ragazzi, Ardito e Giada, se si vuole “partigiani per caso”».


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