Per la cronaca provinciale, a volte nazionale (dal maxi processo Teardo, alla Corte d’Assise per la mantide di Cairo Montenotte e delitto Brin, alla strage di Giustenice, alla Janstar col suo misterioso carico di armi) il tribunale di Savona non è mai stato avaro di notizie. Anzi, contribuisce alla diffusione delle copie in edicola, dei lettori su giornali on line, aggiornati spesso di ora in ora, minuto dopo minuto. Nei mesi scorsi la nomina del Csm a presidente del tribunale di Lorena Canaparo, poi la ‘promozione’ di Alberto Princiotta a presidente della sezione civile e Marco Canepa al ‘penale’. Per completezza di informazione, seppure con ritardo, pare doveroso ricordare il commiato di Caterina Fiumanò che negli ultimi anni presiedeva il collegio penale, da ultimo la presidenza del tribunale resasi vacante con il pensionamento del giudice Soave.
Iniziamo proprio dalla d.ssa Fiumanò – dimenticata dai media non certo per inimicizia – che ha trascorso gran parte della sua carriera togata proprio a Savona. Il bollettino ufficiale del Ministero di Grazia e Giustizia, del 2009, riportava: “Decreta il conferimento delle funzioni semidirettive giudicanti di primo grado alla dott.ssa Caterina Fiumanò, nata a Cosenza il 22 gennaio 1951, magistrato ordinario di settima valutazione di professionalità, attualmente consigliere della Corte di Appello di Genova e la destinazione della medesima, a sua domanda, al Tribunale di Savona con funzioni di presidente di sezione.”
Esordio, a Savona, a palazzo Santa Chiara fine anni ’70, poi nella nuova sede. Un disastro quanto a struttura, era il progetto di una moderna serra destinata a Sanremo, ma a Savona, anni ’80, si è trasformato in Palazzo di Giustizia. Una voragine senza fondo e neppure a norma come è emerso. Un progetto destinato al mercato dei Fiori di Sanremo e traslato nella città della Torretta documentò Carlo Cerva da presidente di A Campanassa. Chi ha assistito alla cerimonia inaugurale, con qualche assenza significativa istituzionale, ricorderà che si ascoltarono elogi rivolti a tutti coloro (politici e non) che avevano reso possibile la realizzazione.
Chi aveva azzardato qualche interrogativo – che negli anni si rivelerà ‘profetico’ – era accomunato ai ‘contestatori di vocazione’. Tre inchieste, un processo con ‘tutti assolti’, si sono conclusi con la ‘verità giudiziaria’, le palificazioni da rafforzare, le vetrate da risistemare, un rimedio forse da palliativo alle frequenti infiltrazioni, ai laghi d’acqua, spifferi, impianto in tilt di condizionamento d’aria, ascensori bloccati, fino a dover aumentare di un piano volumi e spazi per far posto alle esigenze logistiche dopo la soppressione del tribunale di Albenga, prima inaugurato e poi soppresso.
Caterina Fiumanò, mai da protagonista (non era lei a presiedere il tribunale negli anni cruciali della costruzione), ha vissuto da testimone la storia, le carenze, i carichi di lavoro (spesso giornate lunghissime, da mattino a sera inoltrata), processi e mega processi, dal collegio giudicante, a giudice a latere, ora estensore delle motivazioni di sentenza, fino a presiedere la Corte d’assise per i reati più gravi (omicidi soprattutto). Toccò a lei, solo per citare una vicenda clamorosa anche per la risonanza mediatica nazionale, persino Europea, far parte del collegio che giudicò il ‘clan Teardo‘ (12 alla sbarra e detenuti), con l’aula bunker trasferita nel palazzetto dello sport di via delle Trincee. Presiedeva Gennaro Avolio, sempre rigoroso e burbero in aula, al suo primo eclatante ‘processo’ per reati della sfera politica e pubblica amministrazione. Avolio che in udienza riusciva anche ad alzare la voce, diciamolo pure rivolgersi con l’urlo ad imputati, a difensori o al vociare (reazione) dei presenti oltre le transenne. Giudice relatore, con una sentenza da annali di giustizia, fu dr. Vincenzo Ferro, con carriera a Genova e in Cassazione, il figlio Giovan Battista è sostituto procuratore a Savona, oltre che ottimo maratoneta.
Il giudice, il presidente Fiumanò era allergica al protagonismo, alla visibilità mediatica (“….il nostro ‘podio’ sono le sentenze….i decreti….le ordinanze….i provvedimenti cautelari….le assoluzioni….il rigetto di istanze dei legali….”). Con il cronista di giudiziaria non si sottraeva, comunque, alla richiesta di un chiarimento, approfondimento. Insomma non alzava un muro all’informazione per motivi di giustizia. Non era neppure giudice arrendevole e quando lo riteneva utile ‘mostrava i muscoli’ , nessuno escluso. Senza alterigia o arroganza; da testimoni vorremmo aggiungere, non influenzabile dal contesto esterno e dal clima che, a volte, si creava attorno ai processi.
Mai coinvolta – e palazzo di giustizia è stato spesso teatro – in vicende poco commendevoli per un giudice che rappresenta la legge, deve comunque dare il buon esempio, con un obbligo etico, frequentazioni incluse, nella città e nella provincia in cui esercita e vive. Estranea ai salotti, ai locali mondani. Non si fatta coinvolgere in faide, tra colleghi, che pure non sono mancate. Certo, anche il giudice Fiumanò aveva ed ha le sue idee politiche, apparteneva ad una corrente del sindacato, aveva la sua concezione di società, possiamo azzardare progressista, simpatie a sinistra, al sociale, verso i più deboli., Non sappiamo se quando ha lasciato il ‘palazzo’ sia stata festeggiata, come solitamente accade. Alle sue spalle un’eredità morale ed un’etica non comuni. Il dovere e il sacrificio anche a scapito della famiglia senza squilli di tromba. La stima per come ha servito la comunità, la giustizia.
Una promozione, o meglio una responsabilità in più, diremmo, per un vero stacanovista, mastino togato del tribunale. Alberto Princiotta che dopo l’esordio in Sicilia, in zona di mafia, con ‘fascicoli di mafia’, anche delicati, quando ancora non erano all’ordine del giorno dei media nazionali, è tornato a Savona nella città dove ha studiato, è cresciuto tra le mura della prefettura. Papà prefetto, Aldo Princiotta che visse momenti difficili, ma poteva esibire l’elogio (con telegramma) ed il riconoscimento del presidente Sandro Pertini negli anni che seguirono la stagione delle ‘bombe di Savona‘ (rimaste senza colpevoli). Il figlio Alberto che da studente universitario uscì a testa alta, scagionato senza ombre, da un’indagine alla quale hanno lavorato, con grande scrupolo e meticolosità, tre giudici genovesi: Scardulla, Squadrito e Virdis.
Alberto Princiotta già pretore alla pretura penale nella sede attuale, poi alla pretura di Albenga, quindi con la soppressione delle pretura, giudice del tribunale che si è occupato soprattutto di contenzioso civile, fallimentare e per alcuni anni ha svolto pure il ruolo di coordinatore della sezione di Albenga. E’ tornato a Savona, al civile, sulla scrivania processi spesso importanti, delicati, che quasi sempre non hanno echi di stampa perchè i dibattimenti non sono pubblici. Il processo civile, soprattutto con il nuovo codice, ha un iter in gran parte di produzioni legali, lista dei testimoni perlopiù ridotta e concordata. Molte delle sentenze emesse dal dr. Princiotta, confermano le statistiche, resistono sia in Corte d’appello, sia in Cassazione. Non c’è solo l’esperienza, conta il livello di preparazione giuridica, di analisi, di approfondimento e ‘distacco’ anche di fronte a storie molto complesse e che a volte sono fonte, controversia, di interessi economici notevoli tra le parti in causa. C’è la scelta dei periti, dei consulenti, altro aspetto delicato. Princiotta è stato presidente della sezione savonese dell’Associazione nazionale magistrati (Anm). Cinque i magistrati che aspiravano alla nomina di presidente del Tribunale di Savona, vacante con il pensionamento per raggiunti limiti di età del dr. Giovanni Soave: Giovanni Zerilli, Lorena Caneparo, Marcello Bruno, Alberto Princiotta e Domenico Pellegrini, già Pm alla procura delle Repubblica della pretura di Savona, ora giudice a Genova e il più votato all’interno della lista di “Area”, la corrente di sinistra.
Princiotta che, tra fascicoli sulla scrivania e quelli che porta a casa per smaltire il lavoro, trova il tempo di leggere libri, dedicarsi all’Hopus Dei, agli affetti famigliari e sempre a debita distanza da circoli elitari, da beghe politiche, da quell’affarismo che certo non manca nella nostra provincia e sgomita per il potere che conta.
E da ultimo, solo per nostro limite di curriculum, la nomina del giudice Marco Canepa a presidente della sezione penale (era ricoperta dalla Fiumanò) attraverso il concorso di magistratura. (l.c.)