Se n’è andato davvero in silenzio, senza farsi troppo notare, in coerenza con il suo stile di vita e di lavoro. Nicolò Bozzo, generale in pensione dei carabinieri, è morto domenica 28 gennaio nella sua casa di Prà, in quella Genova che lo aveva visto nascere e dove aveva voluto tornare alla fine della sua carriera. Leggi anche un breve addio del vecchio cronista che per cinque anni ha ‘testimoniato’ il lavoro del comandante dal suo ufficio di corso Ricci a Savona e non solo. Leggi anche: mercoledì 7 febbraio è il compleanno di Hayet, tutti insieme a dedicarle una serata di amicizia e ricordo; dalle 18.30 fino a sera presso il circolo Mille Papaveri Rossi (SMS Lavagnola) in via Abate 2 a Savona.
Da giovane (era nato il 10 giugno 1934) voleva fare il vigile urbano e aveva scelto di svolgere il servizio militare nei carabinieri proprio per accumulare i punti necessari per entrare nella polizia municipale. Poi i casi della vita avevano voluto che Bozzo restasse nell’Arma e ne percorresse tutti i gradi, collaborando da vicino con il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa nella lotta contro le Brigate Rosse e venendo spesso in contrasto con i vertici della loggia P2, di cui fu strenuo oppositore e che annoverava tra le sue fila alcuni dei suoi diretti superiori.
A Bozzo sono legate alcune tra le inchieste più scottanti della nostra storia recente (da lui in parte raccontate nel libro-intervista “Nei secoli fedele allo Stato” scritto con Michele Ruggiero): basti pensare alla scoperta del covo BR di via Montenevoso e al “memoriale Moro” in esso contenuto o al “caso Teardo” di cui Bozzo fu protagonista con i magistrati Francantonio Granero e Michele Del Gaudio. E ancora, la sua presenza a Solenzara la notte della strage di Ustica – che permise al giudice Rosario Priore di scoprire il ruolo della base francese nella vicenda ed il fatto che qualcuno sapesse che quella sera vi sarebbe stato un conflitto aereo sul “punto Condor” molto prima del 27 giugno 1980 – o ancora la scoperta nel 1986 a Messina di un “armadio della vergogna” dove erano contenute le carte dimenticate della commissione antimafia presieduta da Francesco Cattanei, genovese e molto altro ancora.
Congedatosi dall’Arma dei carabinieri con il grado di generale comandante la divisione L”Pastrengo“, nel 1998 Bozzo aveva accettato la proposta del sindaco Giuseppe Pericu e fino al 2002 era stato comandante della Polizia municipale di Genova coronando, a distanza di oltre quarant’anni, il suo sogno di ragazzo. In quella veste aveva potuto assistere ai fatti di
piazza Alimonda, con la morte di Carlo Giuliani il 20 luglio 2001, e alla “macelleria messicana” nella scuola Diaz del giorno successivo. Due eventi tra i tanti accaduti in occasione del G8 di Genova, dalla cui organizzazione e gestione Bozzo e la polizia municipale furono, forse non a caso, completamente esclusi.
Legatissimo a Savona, dove era stato comandante provinciale dell’Arma dal 1982 ed il 1986 e della cui società storica “a Campanassa” fu per decenni socio eminente, a Nicolò Bozzo deve molto anche chi scrive. Fu lui, infatti (oltre a onorarmi della sua amicizia e a permettermi di svolgere insieme a lui una serie di incontri e convegni nelle scuole su alcuni tra i più oscuri fatti recenti della storia d’Italia) a indirizzarmi sulla strada giusta nell’analisi delle “bombe di Savona” e a fornirmi alcuni riferimenti essenziali per indagare e giungere a conclusioni significative sul mistero delle 12 esplosioni che sconvolsero Savona tra il ‘74 e il ‘75. Le sue indicazioni, che presupponevano un’apertura addirittura internazionale e il coinvolgimento di Gladio (già ipotizzato da Dalla Chiesa all’epoca delle esplosioni savonesi e successivamente confermato dallo stesso Bozzo) per una vicenda considerata da molti come una storia di paese, hanno trovato conferma nelle parole di altri protagonisti ai massimi livelli della “strategia della tensione” degli anni ’70, da entrambi i lati della barricata.
Bozzo mi ha raccontato tutto questo, e molti altri episodi della sua carriera e della sua vita, senza alcuna sicumera o alterigia ma, anzi, con l’umiltà e la bonomia che contraddistinguono i veri protagonisti. Addio generale, e ti sia lieve la terra.
Massimo Macciò
SE L’INGRATITUDINE DIMENTICA UN AMICO…
Per un cronista di nera la gratitudine verso Nicolò Bozzo è doverosa e difficile spiegarne le ragioni più profonde. Chi per cinque anni, quasi ogni giorno, aveva con il comandante del Gruppo carabinieri della provincia di Savona un rapporto professionale, umano, di stima, può fare confronti sulla ‘statura morale’, sulla rettitudine, sulle capacità ed intuizioni di un uomo, di un ufficiale maestro nella scuola di vita verso se e verso gli altri.
Con la responsabilità ed i doveri di un comando, di una divisa dedita ad ‘obbedir tacendo’, sapeva parlare e dialogare, confrontarsi, senza mai negarsi a chi doveva invece ‘coprire’ la cronaca di una provincia. A volte quotidiane notizie di routine, scambio di informazioni, altre volte vicende sul filo di lana della delicatezza, riservatezza, da prendere con le molle si suole dire. Non per nascondere una storia, un’indagine che magari riguardava un potente, un personaggio noto, ma per rispetto dello Stato democratico e delle istituzioni. Bozzo rigoroso con se stesso, alla buona, ricco di umiltà e virtù che non amava esibire; come, per coerenza, non frequentava i ‘salotti bene della provincia’. Tutti uguali, ma senza supponenza. Incapace di rancore, men che meno arrogante, presuntuoso. Non usava il ‘potere’ di comandante per fini personali e non figurava tra sedotti dalle sirene.
Lo confesso, qualche dispiacere glie l’ho dato da cronista. Se hai una notizia vera la pubblichi, senza badare alle conseguenze, ripercussioni; accadde almeno un paio di volte. Cito quella volta che sfociò in uno scontro da prima pagina. Una ‘confidenza’ di Bozzo a proposito del questore Arrigo Molinari quando l’alto funzionario era all’apice della carriera e poteva contare su ottime entrature nella direzione di qualche quotidiano. Per quell’articolo si mossero il Comando generale dell’Arma ed il ministero degli Interni. Bozzo si ritrovò con un procedimento disciplinare, a mia volta fui interrogato, in via riservata prima, da un alto ufficiale. Voleva scoprire se fosse stato proprio Bozzo a rivelare notizie scabrose su Molinari. Al giornalista si può chiedere tutto, fuorché la sua fonte. Anche a costo di essere messo all’indice, emarginato.
Bozzo non era un informatore di comodo, non dava notizie di comodo, non gli interessava e non praticava l’esibizionismo. Io sono..io….Semmai: noi….noi….la squadra….Praticava il valore sociale dell’informazione come strumento di servizio verso la comunità. Nel rispetto della persona e dei principi fondanti di una democrazia. Non è forse casuale se l’unica associazione a cui si era orgogliosamente iscritto, a Savona, era “A Campanassa” ed aveva fatto parte del Consiglio direttivo e non possiamo credere si sia dimenticata di lui.
Caro generale, la sua fierezza e la pace dei giusti, dei Galantuomini, restino di conforto e di esempio ai suoi esemplari famigliari e a quanti l’hanno rispettata, stimata in vita. Un giorno da lassù riprenderemo un’altra cronaca, meno stressante e meno insidiosa. Senza preoccupazioni e orari assillanti. Ci mancherà una sola cosa: quelle passeggiate solitarie e riflessive, dopo una giornata di lavoro, nella Savona di notte. Buona notte generale…. ! (Luciano Corrado)