Non c’era il gonfalone del Comune rappresentato dall’assessore Remo Zaccaria. La chiesa parrocchiale avrebbe dovuto essere strapiena. In prima fila, a dare buon esempio di gratitudine morale ed umana, erano assenti molti rappresentanti del consiglio comunale di oggi e di ieri. Loano debitrice del prof. Antonio Arecco, 92 anni, ‘gigante’ mite e schivo di storica locale, di quella cultura che non fa crescere il conto in banca, ma rende una comunità più ricca attraverso la passione civile, il seme degli antenati, il suo dialetto (in estinzione), le tradizioni, la riscoperta del passato, il ricordo dei figli più illustri. Arecco, nativo di Celle Ligure, ha trascorso gran parte della sua esistenza a Loano. Salendo in cattedra per insegnare materie letterarie a migliaia di studenti. Seduto alla macchina da scrivere per non mancare all’appuntamento mensile con la prediletta ‘Gazzetta di Loano’; fiero di collaborare al periodico ‘laico’ che vanta il primato della longevità provinciale (fondata nel 1928). Arecco ha curato la storia della chiesa ingauna dalle origini del Quattrocento e la storia della diocesi di Albenga – Imperia, dei suoi vescovi dal XV secolo all’attuazione del Concilio Tridentino. Eppure in chiesa non c’erano vescovi, neppure l’Emerito Mario Oliveri al quale aveva consegnato il prezioso lavoro.
Durante le esequie nel Duomo di San Giovanni Battista, dopo il ricordo pastorale e personale del parroco, canonico e vicario foraneo Edmondo Bianco, ha preso la parola Riccardo Ferrari, un semplice cittadino, ancorché autore di due libri, presidente della Fondazione Simone Stella – Leone Grossi (asilo nido e scuola materna). Ferrari ha parlato a braccio, senza seguire traccia scritta. Ha potuto farlo perché è tra i loanesi che nei confronti del prof. Arecco nutrivano sentimento di ammirazione, rispetto, riconoscenza; tra le persone che negli anni hanno seguito, apprezzato, fatto tesoro della imponente produzione storica e culturale dell’insigne studioso. Arecco non era un battagliero, un radicale, non pungeva, non graffiava negli scritti riservati alla sua Loano, nel bene e nel male. Riusciva persino a non essere di parte, anche se aveva una certa avversità verso ogni forma di contestazione e non aveva tutti i torti. Insomma, possiamo dire che nella sua enciclopedica produzione, ora da storico, studioso di talento, ora cronista dei tempi, preferiva essere convincente, accomodante, moderato nei toni e nella forma, piuttosto che apparire censore. Mai una parola di troppo, mai sul palco per rimproverare, polemizzare, semmai faceva opera di informazione. Alle chiacchiere preferiva scrivere, essere positivo, preciso, credibile. Lo fu anche quando il direttore del Secolo XIX Piero Ottone e il suo staff decisero che occorreva dare una sterzata di rinnovamento alle cronache provinciali, affidando la responsabilità della zona da Andora a Spotorno, con entroterra, ad un giovane giornalista, Luciano Corrado, destinato a reggere la redazione di Albenga. Una scelta vincente con portò il giornale ad una storica impennante nella diffusione in edicola. E Arecco che per dieci anni era stato diligente corrispondente di cronaca locale, rimase nella veste di collaboratore esperto. Come accadde ad altri ‘storici’ corrispondenti della vecchia guardia: Beniscelli (Alassio), Fassino (Albenga), Barbaria (Ortovero), Noberasco (Ceriale), Seppone (Pietra Ligure), Nari (Borgio Verezzi).
Difficile anche se non impossibile quantificare l’eredità culturale e storica di Arecco scrittore e documentarista nel corso dei decenni. Una vita spesa tra insegnamento, ricerche storiche, analisi, ascolto, relazioni a convegni, studio del dialetto. Tra gli immancabili all’appuntamento annuale della Fiera del Libro di Peagna. Il presidente dell’Associazione ‘Amici di Peagna’, Stefano Roascio, ha ricordato la perdita di una delle voci più autorevoli nel panorama della storia locale. Non sappiamo se Arecco abbia espresso delle volontà testamentarie a proposito del suo patrimonio letterario. Certamente Loano che non sempre brilla nel valorizzare personalità benemerite, ha un grosso debito di riconoscenza per quanto Antonio Arecco ha saputo realizzare con i suoi libri, arricchendo Loano storica, attraverso i secoli e ultimi decenni, di una voce e di una testimonianza colta, scrupolosa, certosina, di grande capacità, di rigoroso rispetto della qualità e della verità.
Non possiamo immaginare come avrebbe commentato se avesse letto, come ha scritto il direttore di Ivg.it, che “Arecco per un certo periodo aveva abitato a Sanda, frazione di Ceriale…” Anzichè di Celle Ligure. Non possiamo immaginare come avrebbe commentato leggendo che il suo ‘trapasso’ è stato annunciato sugli organi di stampa liguri con titolini e testi brevi, non già come meritava la grave perdita di un cittadino della sua caratura. E si poteva aggiungere che apparteneva ad una famiglia umile e dignitosa. Anche lui ha avuto un’esperienza in Seminario. Aveva abitato nelle ‘Case Fanfani’ dei Gazzi Alti di Loano. E successivamente si era trasferito in un alloggio della via Aurelia (palazzo Panizza) dove ha convissuto con Ada, taciturna consorte, pure lei insegnante. Un fratello muratore è mancato un paio d’anni fa e viveva a Borghetto S. Spirito; ha lasciato una sorella, Angela, i nipoti in lacrime.
Leggendo la rassegna stampa che dava notizia del triste lutto quasi nessuno ha accennato al forte legame di Arecco, fino agli ultimi giorni di vita, con la Gazzetta di Loano. L’ultima testimonianza di altruismo e servizio verso la comunità tutta. Un lungo amore del quale non si era mai stancato, alla stregua di una missione. Grazie esimio prof. Arecco per l’insegnamento e l’etica esistenziale, scuola di virtù. A cominciare da una solida e rara rettitudine, forse alla ricerca di quella Loano della cultura e della democrazia incapace di rinnovarsi per una salutare alternanza. (l.cor.)
L’INTERVENTO – RICORDO IN CHIESA PRONUNCIATO DA RICCARDO FERRARI (u Cabàn)
Come ogni venerdì mattina mi reco al cimitero di Loano per recitare una preghiera per i defunti; stavo uscendo e nei pressi della panchina posta all’ingresso vedo sostare una figura amica. Era seduto con le braccia in conserta, il suo cappellino leggermente più piccolo della testa. Riconobbi subito quella figura: era il prof. Arecco. Salutai, mi disse di sedere qualche minuto accanto a lui. Era stato, come spesso faceva, a leggere le epitaffi incise su alcune tombe di vecchie famiglie loanesi. Il mio maestro di dialetto, l’uomo che da tanti anni, ero ancora un giovinetto, mi aveva guidato nello studio e nella conoscenza del nostro antico dialetto. Ricordai al prof. i periodi in cui, sotto la sua guida, con alcuni amici ed amiche avevamo fondato il gruppo “barchezandu in te Loa” poi sfociato nel più moderno “ciatezandu in te Loa“. Gli albori delle nostre uscite pubbliche, al convento dei padri cappuccini, in seguito nei locali della biblioteca comunale ed infine la serata per la chiusura definitiva dell’ultimo cinema di Loano, “u Luanese”. Circa cinquecento persone, per lo più loanesi, avevano assistito alle nostre parlate dialettali. <Ferrari, stè cose i muian…..zueni chi parlan u dialettu u ghe n’è ciu pochi>. Avevo collaborato con lui, in piccolissima parte, ad alcune ricerche sulla marineria loanese nei secoli d’oro della vela, era uno storico del museo del mare, le sue moltissime ricerche storiche, religiose lo avevano portato ad essere punto di riferimento per noi che amiamo la nostra Liguria e la nostra Loano. Mirabile la pubblicazione dello statuto dei Principi Doria, trascritto in latino ed italiano macheronico. Mi propose di organizzare ancora un serata del dialetto e precisò, sarà l’ultima.
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