La Festa dei Limoni di Mentone trae origine dalla leggenda secondo la quale, prima di abbandonare l`Eden, Adamo ed Eva presero con se un frutto d`oro, temendo l`ira di Dio, Adamo convinse Eva a sotterrare questo frutto per nasconderlo. Dopo un lungo girovagare i due scorsero la Baia di Garavan, un luogo così splendido, quieto e fertile da somigliare all`Eden. Quello era il posto speciale che andavano cercando, Eva se ne innamorò e decise di seppellire là il frutto. Da allora i limoni cominciarono a crescere in questo angolo di `paradiso` e nacque così il mito del famoso limone di Menton, a cui la città dedica annualmente la Festa dei Limoni. Dal 17 febbraio al 7 marzo 2018.
Rubrica e raccolta documenti a cura di Rinaldo Sartore
Ponente Ligure terra di agrumi: “Citris pomarijs ornatissima”- Per avere raccolti abbondanti, il punto basilare era l’irrigazione e nel Ponente, si sa, le lunghe estati sono caratterizzate dalla siccità, tanto da indurre le autorità locali a varare vere e proprie leggi “aighe in deveu”, dove facevano fede i tocchi del campanile di San Siro che emetteva anche i quarti d’ora, anche di notte; tutto ciò per impedirne lo spreco.
Se i limoni erano piccoli non erano commerciabili, venivano torchiati per estrarre “l’agru” che serviva per fissare la tintura alla lana e alle stoffe. Oltre a Sanremo e Rapallo, che ebbero l’incontrastato dominio nel ‘600 e ‘700, esistevano altri centri di produzione. Nel levante la documentazione catastale del ‘600 dimostra che le piantagioni di agrumi erano discretamente diffuse nell’ambito del classico sistema della coltura promiscua, anche se non davano origine ad alcuna forma di organizzazione di tipo collettivo, come si era affermato a Sanremo, il comune gestiva la raccolta, la cernita sino alla vendita, tutto il prodotto veniva messo all’incanto dal Comune e la commercializzazione era “statalizzata” il proprietario non li poteva neanche raccogliere. Pensava a tutto il Comune, doveva solo innaffiare, concimare ed intascare i soldi.
Il comune a sua volta li vendeva all’asta, essendo “l’unico produttore”, non aveva concorrenti, i prezzi salivano a favore dei contadini e delle entrate fiscali. Sistema che per secoli fece la fortuna di Sanremo. Nel 1662 Sanremo produceva da 20 a 25 milioni di limoni. Esistono ancora i registri in grado di darvi la raccolta appezzamento per appezzamento della quantità di piante e dei limoni raccolti. L’anno di grazia e il 1756. Sanremo da solo aveva dalle 40.000 alle 50.000 piante.
Interessante sapere che i limoni di qualità “bignetta” erano ricercati per la maggior quantità di “Agro” e soprattutto perché non ammuffivano durante il trasporto; quest’ultimo pregio è dovuto al clima locale dove , ancora oggi, i limoni sanremesi raggrinziscono, ma non ammuffiscono. La maggior produzione era a Sanremo, Bordighera e Ventimiglia. Nella città di Ventimiglia la coltivazione degli agrumi ha raggiunto il massimo sviluppo a metà dell’800. Nel 1880 la raccolta dei limoni ammontava a 3.000.000 di pezzi. Ospedaletti sino al 1880 produceva 2.000.000 di limoni.
Bordighera, nel 1776, copiando gli Statuti di Sanremo, si dà una regolamentazione sulla coltura dei limoni, una conferma che il metodo sanremasco è valido, forte dei suoi quattro secoli di esperienza! Al giorno d’oggi le nostre leggi durano dal sorgere al tramonto del sole e soprattutto non producono ricchezza!
A Mentone, città del Ponente a tutti gli effetti, anche se sotto dominazione straniera per baratto, la cultura dei limoni inizia solo nel XVI secolo e la commercializzazione nel XVII secolo, I rapporti tra i Gismondi e Mentone sono numerosi per acquisti e spedizioni di limoni. Basti pensare che, per la festa dei citrones a Mentone Sanremo inviava limoni. Anche Monaco aveva rapporti con il “u Lundrin”( sto ricercandoli, spero di trovarli presto).
Alla coltura dei limoni subentrò quella delle rose prima e tutti gli altri fiori dopo, quando nell’ultimo trentennio del 1800 la siccità ridusse notevolmente sia la produzione, sia la quantità di piante di limoni in quanto gli agrumi, oltre al calore, richiedono molta acqua. Nello stesso periodo inglesi e russi, sempre più numerosi, venivano a trascorrere lunghi periodi invernali a Sanremo e al rientro amavano portare nelle loro case gli stessi fiori che nei nostri giardini avevano ammirato in fioritura. Solo alcuni esempi di rosai: Safrano, Marie van Houtte, Général Schablikine. Questo fu lo stimolo che determinò l’inizio della floricoltura e la sostituzione della coltura dei limoni con i fiori.
Notizie tratte da “Sanremo com’era” e altri racconti apparsi su notiziari de “A famija sanremasca”
Sanremo nel ‘600: lo storico Andrea Gandolfo sul monopolio degli agrumi sanremesi di Bernardo Portelli
Una vicenda singolare della storia di Sanremo nel Seicento è probabilmente costituita dall’iniziativa del mercante veneziano Bernardo Portelli di istituire un monopolio nella commercializzazione degli agrumi sanremesi verso alcuni mercati italiani e stranieri. Nonostante il fallimento del progetto, l’iniziativa proposta da Portelli alle autorità comunali matuziane attesta indubbiamente il particolare sviluppo dell’agrumicoltura sanremese nell’età moderna. Per rievocare brevemente questa vicenda della nostra storia, lo storico Andrea Gandolfo ci ha inviato un suo breve contributo sull’argomento.
Nell’ambito della progressiva espansione della commercializzazione degli agrumi sanremesi, si colloca l’iniziativa assunta nel 1662 dal mercante veneziano Bernardo Portelli per monopolizzare l’esportazione degli agrumi sanremesi verso alcuni mercati italiani ed esteri. Nel maggio di quell’anno, infatti, Portelli, che possedeva una casa commerciale a Livorno, dove era largamente inserito nei traffici che vi si svolgevano, presentò al Consiglio Comunale di Sanremo una proposta che prevedeva l’acquisto annuale, per un periodo di dieci anni, di 20-25 milioni di limoni al prezzo prestabilito di 7,10 lire al migliaio per otto milioni di frutti alla tedesca e 4 lire per gli altri, a patto che gli fosse riservato il diritto esclusivo di esportarli a Livorno, Viareggio, Sestri Levante, nelle Fiandre e in Inghilterra e che la raccolta dei frutti alla tedesca destinati al mercato francese fosse subordinata alla sua preventiva autorizzazione. Il 29 maggio il Parlamento discusse la bozza di accordo proposta da Portelli, dichiarando «servizio pubblico» la vendita dei limoni al mercante veneziano ed incaricando quindi il Consiglio Comunale di stipulare al più presto il relativo contratto, che venne rogato il 14 giugno successivo.
In base a tale contratto, Portelli si impegnava ad acquistare annualmente dai padroni dei giardini 25 milioni di limoni mercantili a 6 lire ogni migliaio, 500.000 arance dolci all’anno, 30.000 arance agre a 3 lire al migliaio e tutti gli eventuali limoni di scarto a 1,4 lire per migliaio. Oltre a questi prezzi, il mercante di Livorno avrebbe dovuto pagare tutte le spese di raccolta, trasporto, imbarco e relative gabelle; provvedere al raccolto degli agrumi entro date prestabilite; servirsi solo di barche sanremesi per il trasporto dei prodotti fino a Livorno e Sestri Levante; impegnarsi a non inviare limoni alla tedesca in Francia; e fornire una cauzione di 15.000 pezzi da 8 reali. Portelli accettò inoltre di versare annualmente 300 lire a favore della cittadinanza sanremese e promise di corrisponderne altre 100 al commissario generale genovese, in cambio della facoltà di confezionare a suo piacimento quanti limoni avesse voluto nell’ambito dei 25 milioni concordati, e ad esportarli, in regime di privativa, in Francia, Inghilterra e Olanda, oltreché nel Granducato di Toscana e a Sestri Levante (ma in quest’ultima località solo per il traffico verso l’entroterra); le autorità comunali sanremesi conferirono infine a Portelli il diritto a usufruire del monopolio della fabbrica dell’agro entro la giurisdizione di Sanremo.
Il contratto stipulato con l’amministrazione comunale sanremese risultò nel suo complesso particolarmente vantaggioso per il mercante veneziano, che si vedeva così assicurato il monopolio dell’esportazione degli agrumi verso alcuni mercati di fondamentale rilevanza sotto il profilo della domanda commerciale che vi faceva perno: l’Inghilterra, la Francia e l’Olanda per i limoni alla tedesca, e il Granducato di Toscana da Livorno e tutta l’Italia settentrionale da Sestri Levante per i limoni alla caravana e le arance. Il tentativo di Portelli di monopolizzare la commercializzazione degli agrumi sanremesi, oltre a minacciare la posizione di molti operatori commerciali del settore, non passò però inosservato presso le competenti autorità della Repubblica di Genova, a cui spettava la ratifica del trattato. Il Senato genovese impose infatti al mercante di Livorno alcune clausole aggiuntive a quanto già pattuito, che risultarono particolarmente gravose: il versamento di una regalìa annuale di 10.000 lire, la copertura del fabbisogno della capitale a prezzi poco convenienti; l’acquisto dell’eccedenza dei limoni raccolti a Santa Margherita, e l’obbligo di vendere esclusivamente a mercanti fiamminghi e inglesi i limoni destinati alle Fiandre, all’Inghilterra e all’Olanda ad un prezzo non superiore alle 18 lire per cassa. Con l’inserimento di queste clausole, la ratifica all’accordo venne finalmente concessa il 25 agosto 1662, ma subito emersero, a livello locale, gravi contrasti e resistenze alla sua pratica attuazione da parte di numerosi mercanti e amministratori sanremesi, che, di fatto, fecero naufragare il progetto.
Probabilmente scoraggiato dai nuovi oneri imposti dal Senato genovese, il 4 settembre Portelli cedette il contratto al nobile genovese Giuseppe Monteverde, che lo stesso giorno si associò al notaio Giovanni Battista Bottino, uno dei due consiglieri comunali sanremesi che aveva siglato il contratto con il mercante veneziano. All’interno del Consiglio Comunale sorsero però ben presto notevoli divergenze di interessi intorno all’operazione in discussione, che riguardava l’attività economica locale più importante e sembrava sul punto di realizzarsi. Si formò subito una strenua opposizione, costituita da diversi consiglieri che è facile identificare con i più influenti maggiorenti di Sanremo, che vedevano nel prospettato monopolio un grave danno alle loro stesse attività. Prendendo a pretesto dei difetti di forma e di sostanza, l’opposizione riuscì a indurre l’intero Consiglio e i sindaci a respingere le pressanti richieste di Monteverde perché si desse esecuzione al contratto. La successiva vertenza giudiziaria fu sottoposta al giudizio del Senato genovese, che, dopo aver esaminato le ragioni delle due parti, emise una sentenza sfavorevole a Monteverde.
Questa vicenda, conclusasi con un nulla di fatto, induce comunque a supporre che, per quanto concerneva la domanda commerciale, i mercanti sanremesi esportatori di agrumi fossero troppo numerosi o comunque di forza troppo equivalente perché potesse accadere che uno prevalesse sugli altri. Del resto, lo stesso entusiasmo con cui l’operazione proposta da Portelli venne accolta in un primo momento, derivava probabilmente dalla presunzione che il collocamento garantito di una notevole quantità di frutti e la stabilità del prezzo avrebbero assicurato guadagni sostanziosi e sicuri ai proprietari degli agrumeti. Il contratto stipulato con il mercante veneziano fece inoltre intravvedere la possibilità di disciplinare l’offerta, attenuando la concorrenza tra i produttori e mettendoli in condizioni paritarie nei confronti della domanda. A tali esigenze, sentite soprattutto dai proprietari più piccoli, il Comune guardò sempre con particolare interesse e sollecitudine, anche dopo il fallimento dell’affare proposto da Portelli.