Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Cosa abbiamo fatto per salvare Antonello ? Il dramma di Pieve di Teco già in archivio


Antonello Pelassa, discendente di un’antica famiglia di pastori di Mendatica, era un montanaro educato, giudizioso, semplice,  ricco di virtù. Aveva 43 anni,  ora muratore, ora agricoltore, celibe e possidente. Al catasto di Imperia risulta intestatario di 85 unità immobiliari tra uliveti, vigneti, prati, boschi, per 176 mila mq e  210 mq. di immobili, in parte ereditati, altri acquistati anche di recente. Era rimasto, nel 2005, orfano di papà Mario guardia caccia con la passione per la pastorizia a cui era dedita la moglie Giuliana. Antonello abitava a Pieve di Teco, qui era cresciuto con i genitori e il fratello Pierangelo, ma il suo cuore e la passione li riservava a Valcona Sottana, storica ‘malga’ di Mendatica che custodisce una tradizione centenaria. Antonello si è sparato un colpo di fucile nella serata di venerdì 29 maggio, dopo aver telefonato ai carabinieri di Imperia. Un graduato si è precipitato, tutto inutile. Il giorno delle esequie, alle presenza di centinaia di persone, don Angelo De Canis, arciprete, ha posto un interrogativo:  “….Cosa abbiamo fatto per salvare Antonello?...”. Già, cosa abbiamo fatto !

Cosa ho fatto io, mendaighino di nascita, per scongiurare la tragedia? Nulla, vivo in Riviera e quassù la comunità locale è chiusa, diffidente, permalosa, confermano i servizi sociali del comprensorio.  Lui era un mio ‘lontano’ cugino, come era parente Alberto Pelassa, coetaneo di Antonello, giudizioso, laborioso, onesto che, dopo essersi disteso sul letto, si è sparato un colpo di pistola. Era il 14 giugno del 2011, lasciando nella disperazione la mamma inferma, il papà e la sorella. Un destino incomprensibile, sconvolgente, che il 24 maggio 2000, aveva spinto un altro cugino, Alberto Pelassa,  classe 1969, solare sottufficiale in servizio a Loano della Guardia di Finanza, a uccidersi con un’arma –  non quella di ordinanza – nella casa di Albenga dei genitori. In tutti i tre casi sembra superfluo ( e senza risposta) chiedersi le motivazioni. E’ sufficiente chiamare in causa il ‘macigno’ della depressione ? La prevenzione ? Oppure tutti, ripeto tutti, dovremmo chiederci cosa potevamo fare per scongiurare la morte violenta di Antonello, di Alberto? Solo colpa del destino ingrato o dell’ingiusta, presunta, solitudine?

Alberto Pelassa, cugino di Antonello, suicida il 14 giugno 2011

Per ragioni professionali, in 47 anni di cronaca di strada e a palazzo di giustizia, ho ‘raccontato’, scritto di decine di suicidi;  qualche  volta la vittima era un conoscente. Mai una storia uguale, quasi sempre, invece, un comune denominatore: la depressione più o meno sottovalutata, spesso trascurata, magari nascosta agli amici, ai parenti, ai conoscenti. Per ‘falso’ pudore ?

 

Come hanno dato la notizia del suicidio i giornali on line della provincia di Imperia

Negli anni ’70 e ’80 il suicidio faceva notizia, scalpore. Oggi, più opportunamente, è rilegato nelle notizie in breve. Spesso la pietas umana induce ad attribuire, anche se non è sempre così, il disperato gesto a ‘gravi problemi psichici‘. Non si approfondisce, non si scava, non ci si interroga. Per il codice penale il ‘reato è estinto per  morte del reo’, a meno che non emerga l’istigazione o l’aiuto. E l’omissione ? Chi approfondisce se il medico curante (almeno lui), oppure lo psichiatra, qualora si sia in cura,  abbiano svolto con diligenza , scienza e coscienza il loro dovere ?  Risposta: nessuno, a meno che i famigliari non si rivolgano ad un legale, all’autorità giudiziaria. E poi occorre provare il nesso di causalità, ovvero il suicida poteva essere ‘salvato’, come ha ‘invocato’ in via del tutto ipotetica il sacerdote  durante la cerimonia funebre nella parrocchia di San Nazario e Celso di Mendatica. La suggestiva chiesa dove era stato priore della confraternita il devoto nonno di Antonello, Giuseppin (Giuseppe) Pelassa; dove era stato battezzato lo zio, don Serafino, andato missionario in Sud America e  che ha dismesso l’abito sacerdotale.  Si racconta che tra le artistiche figure dipinte nell’edicola della chiesa sia raffigurato un trisnonno dei Pelassa ( ramo dei Gnancoi), essendo tra gli uomini più robusti e possenti del paese mentre è intento ad usare la mannaia. Un passato che non passa mai, momenti di storia di una tenace e benemerita comunità montanara.

Mario Giuseppe Pelassa, guardiacaccia, compianto papà di Antonello

E’ facile in queste circostanze, al di là della commozione e delle lacrime davanti alla bara baciata per l’ultima volta dalla mamma, dare spazio e sfogo alla retorica, al pietismo. Eppure, carissimo Antonello, da quel giorno nel mio animo serpeggia lo sconforto. Desolato di fronte alla rassegnazione, di fronte a chi ha già messo nel cassetto la tua sorte. Ho continuato a pormi le stesse domande, laceranti interrogativi. Il medico curante ha fatto fino in fondo il suo dovere ? Ho ascoltato il racconto di una conoscente che il 16 maggio aveva incontrato casualmente Antonello nella sede del vecchio ospedale di Pieve di Teco; appariva contrariato, il viso tirato : “Aveva dei fogli tra le mani, nervoso, brontolava per via del….”. Pare confermato, inoltre, che Antonello fosse in cura dallo psichiatra. Lo specialista  coscienzioso segue il paziente, si informa, se del caso avverte i servizi sociali. Tra le priorità anche quella sulla detenzione di armi. La prevenzione, insomma.

Sono triste e non mi do pace, caro Antonello,  per non essere stato capace a scrutare  il tuo animo semplice, buono, e smascherare  il tuo travaglio interiore.  Non meritavi di essere strappato alla vita anche perché eri un degno rappresentante di una comunità che da oltre 30 anni aspetta il rilancio socio-economico,  posti di lavoro per i giovani, svaniti con la morte ‘colposa’ di Monesi, con le promesse  reiterate dei voraci  mestieranti della politica. Alle parole, ai ciarlatani, agli affaristi, agli illusionisti, tu preferivi i fatti, la concretezza. In silenzio, senza vanterie, sei tra quelli che in questa vallata hai continuato a credere, investire i tuoi sudori, i piccoli risparmi.  Hai comprato uliveti a Pornassio dove costano meno di 4 euro il metro quadrato, rispetto alla Riviera del cemento, del degrado etico e morale,  degli sprechi e delle ingiustizie sociali, dove si pagano mediamente 30 euro il metro.  Hai valorizzato, anziché abbandonarli, i vigneti di Cosio d’Arroscia ricevuti in successione dal papà.  Hai acquistato e sistemato vecchi stabili e magazzini nella tua prediletta Valcona. Qui hai trascorso, a piantare patate, le ultime ore di vita. Qui ti ho incontrato mentre aiutavi amici a ristrutturare vecchie stalle, magazzini. La tua settimana spesso non conosceva domeniche o il sabato  sabbatico. Con orgoglio eri diventato proprietario, in alcuni casi con un record di oltre un centinaio di cointestatari, di boschi e poderi.

Ti ammiravo Antonello, per aver saputo resistere alla sirena di chi lascia la montagna in cerca di fortuna, di una vita felice, magari edonistica. Una mera illusione almeno per la qualità della vita stessa.  Ti ammiravo per la tua genuina semplicità, sapevi essere parsimonioso  con l’ideale del fare’, anziché la bramosia del conto in banca. Eppure mi raccontano che eri restio persino a varcare la soglia di un bar, mentre non ti tiravi indietro se bisognava fare una spesa, come si suol dire, in conto capitale.

E’ probabile che la tragedia di Antonello sia spazzata via dal tempo, abbiano il sopravvento i ‘senza memoria’. A piangere resterà una mamma  che non ha più lacrime, che darebbe la vita pur di riabbracciare la sua creatura. Nessuno vorrà sapere perchè di fronte alla tua depressione non abbiano provveduto a revocarti il permesso di detenzione del fucile.  E cosa sarebbe successo se anziché toglierti la vita, avessi compiuto una strage di innocenti?  E’ possibile che molti abbiano dimenticato la tragedia di San Bernardo di Mendatica (primi anni ’70) dove una mente malata è arrivato al punto di uccidere una madre di famiglia che le praticava la terapia intramuscolare.

Già, il mio paese natale che da un venerdì di luglio 2009  non ha più avuto notizie di Severino Sciandini, 84 anni, scapolo, visto vivo l’ultima volta mentre imboccava un sentiero nel bosco, a monte del paese.  Era andato a far provvista di legna ? Tutti o quasi assicuravano che dopo il forte impegno nelle ricerche, i poveri resti sarebbero stati ritrovati con la stagione della caccia al cinghiale. Ai primi di luglio sarà un anniversario taciuto, da smemorati. Intanto Antonello se n’è andato lasciando un incolmabile vuoto, ad iniziare da Valcona, per scendere a Mendatica, fino a Pieve di Teco dove ha lavorato come muratore e ‘bracciante agricolo’, dove ho incontrato increduli compagni e compagne di scuola. Resta l’amarezza  di un difficile dilemma irrisolto: poteva essere salvato ?

In un’Italia di masse di corrotti impuniti, persino a pochi chilometri da Mendatica;  c’è chi arrivava quassù e assaporava  applausi,  tappeti rossi e onorificenze, partecipazione alle feste patronali, alle processioni religiose, con personaggi tetragoni ad ogni vergogna, malati di cupidigia del potere. Antonello, un uomo pulito e dallo sguardo malinconico ci ha lasciato sgomenti, impietriti.  Che abisso di umanità, amici…

L. Cor.

Giuseppin Pelassa nel teccio di Valcona, primi anni ’80: era stato priore della Confraternita di Mendatica e consigliere comunale. Nonno paterno di Antonello

L.Corrado

L.Corrado

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