Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

Settimanale d’informazione senza pubblicità, indipendente e non a scopo di lucro Tel. 350.1018572 blog@trucioli.it

La diocesi Albenga – Imperia, ‘buco’ da 5 milioni di €. Il tutor Borghetti non sapeva


Non è più tempo di scandali e chiacchiericci. L’attesa svolta è arrivata, forse non per tutti, anche se sorprese e novità (a volte brutte, a volte positive) continuano ad alimentare la cronaca, il dovere di informare i lettori. L’indiscrezione è di qualche settimana, ma non vogliamo appartenere agli incendiari sempre in azione. Siamo dalle parte di chi vuole costruire e non disfare. Il bilancio della diocesi che ha un amministratore (economo e direttore amministrativo) ha raggiunto un passivo che si aggira sui 5 milioni di €, in primis le banche. Un altro fulmine per il coadiutore monsignor Guglielmo Borghetti. Conosceva molto della realtà e dell’eredità, pare che però del ‘buco’ fosse all’oscuro. “Se domani mattina un creditore non vuol sentir ragioni e  vuole essere pagato, si può rischiare la bancarotta”. Il vescovo Mario Oliveri in 25 anni non si è intromesso, ha lasciato carta bianca, sulla fiducia. 

Il vescovo Oliveri, nel 2013, a Dolcendo, con don Giancarlo Cuneo

Non non è il caso di rimettere il dito nella piaga di una diocesi con 163 parrocchie, che si estende per 979 kmq: 134 sacerdoti secolari, 47 regolari, 22 diaconi permanenti.  36 sono  stranieri. Forse da cronisti e da cattolici possiamo rimproverarci per non aver fatto abbastanza affinchè non si arrivasse quasi in fondo al burrone. Articoli ed approfondimenti, spesso si sono limitati più agli aspetti ‘scandalistici’ e pruriginosi, piuttosto che analizzare cause, origini, possibili soluzioni, vie d’uscite (indolore?).

Pochi dubbi, la Curia, come accade in altre zone d’Italia (ci siamo occupati delle diocesi di Savona – Noli e di Acqui Terme), è stata un fortino dove non è mai stato facile accedere, sapere, poter informare i fedeli dell’andamento dei bilanci, dei consuntivi, del patrimonio immobiliare e non. Le possibili falle che si sono aperte, ingigantite. Avevamo cercato, per verità dei fatti, di conoscere qualcosa di più dopo che don Fiorenzo Gerini, origini a Vessalico, parroco di Peagna, amministratore ed economo accorto, prudente, guardingo, con antenne in più direzioni, aveva lasciato per ‘limiti d’età’. Una diocesi  finanziariamente in salute, si sosteneva in più sedi, nel ‘dare’ ed ‘avere’, passivo e attivo delle attività pastorali, nonostante il pesante fardello della crisi del Bel Paese, delle famiglie meno abbienti, del calo delle offerte.  Monsignor Gerini non era  ‘manager’ infallibile. La sua accortezza verso certe confraternite massoniche da cui ripeteva di voler ‘stare alla larga’, non avendo nulla a spartire con la comunione di Cristo e il Vangelo degli apostoli, in realtà ha avuto qualche falla.

L’Associazione Amici di Peagna – di cui il sacerdote è tesoriere, con molti meriti e qualche demerito nell’attività di promozione di ‘Casa Girardenghi‘ e ciò che rappresenta per la cultura ligure – poteva contare sulla presenza attiva di un paio di massoni e non sfugge che il loro ‘giuramento’ non faccia eccezioni verso il ruolo ed i doveri nei confronti del ‘maestro venerabile’.  Basti citare l’iter politico – amministrativo che negli anni avrebbe accompagnato l’operazione edilizia- immobiliare di ‘casa Girardenghi’, l’imprenditore cerialese Franco Murialdo, i rapporti con le amministrazioni che si sono succedute; i conflitti di interesse trasversali, gli esposti all’autorità giudiziaria senza seguito peraltro, fino alla cessione dei locali piano terra, oggi biblioteca – esposizione  – sala convegni. Un tempo stalla, fienile, frantoio, cantina, ma anche abitazione di una povera famiglia di pastori di Mendatica che spesso ospitavano, unici a Peagna, diseredati viandanti, mendicanti ai quali oltre ad un giaciglio offrivano un piatto di pasta, di minestra.  Uno degli aspetti sempre meticolosamente taciuto dagli storici che si sono avvicendati, sfoggiando  nonchalance.

Ci siamo occupati, in passato, del periodo in cui le sorti economiche e finanziarie della Curia erano stato affidate a don Tonino Suetta, sacerdote ispiratore e vicino a cooperative sociali dell’imperiese, già cappellano del carcere, poi attivissimo parroco di Borgio Verezzi, con un paio di operazioni edilizie – immobiliari all’insegna dell’opacità, tenuto conto dei risultati finali e di alcuni comprimari. Ci sono stati peraltro strascichi, polemiche, non tutto è filato liscio nei rapporti con parrocchiani. Per alcuni il parroco ha lasciato un’eredità da dimenticare, per altri il suo operato merita elogi e dovrebbe essere di buon esempio.

Chi può dare una risposta disinteressata ? Il successore, l’economo diocesano ? Ci eravamo illusi che don Suetta dopo aver preso possesso del delicato ed impegnativo ufficio di don Gerini, aprisse ad una maggiore trasparenza, da nuova generazione. Coinvolgere i fedeli, oltre ai parroci, nella realtà e difficoltà in cui si trovavano  ad operare molte parrocchie, lo stesso bilancio della Diocesi nel suo complesso. Pare che Suetta fosse molto rigoroso nel chiedere ai parroci rendiconti sistematici, compilazione di dati, statistiche, rimborsi di presunti prestiti, piuttosto che promuovere un risanamento graduale e costante delle finanze diocesane. Valutare i rami secchi, possibili doppioni, zone d’ombra. Evitare, ad esempio, che un parroco (è accaduto a Pornassio) abbia dovuto  ‘staccare’ la luce in chiesa e nelle opere parrocchiali perchè non riusciva a pagare la bolletta Enel. Cosi i parrocchiani, in silenzio, tra mormorii, hanno convissuto per qualche tempo con l’illuminazione ridotta.  Altre situazioni più o meno difficili e particolari emergono quà e là.  Elencarle è utile? Fa chiarezza? Nel periodo dell’amministrazione Suetta si è fatto un passo più lungo della gamba? modo di dire popolare. Si sono affrontati interventi e costi di opere confidando nella ‘bontà’ degli istituti di credito, in particolare della Carige, storica banca della curia? A quanto ammonta, a proposito, la reale esposizione bancaria ? Prima voce del deficit.

Tutto sommato gli interessi  passivi sono da un paio danni ai minimi storici, l’euribor dei mutui variabili mai così basso. Eppure si parla di costante affanno per gli uffici amministrativi diocesani. Si era cercato pure di mettere mano al patrimonio immobiliare, vendendo il complesso Santa Maria Bel Fiore di Peagna. Già di proprietà di don Angelo Denegri, originario di Pieve di Teco ed al quale il Comune ha dedicato uno slargo. La richiesta era di 6 milioni di euro. Ci sono stati contatti con un solido imprenditore imperiese e con un collega di Ceriale, ma il nodo non sciolto resta la trasformazione urbanistica, tutta in salita. Andrà in porto, una eventuale variante, dopo che in Regione si sono insediati i più malleabili esponenti del centro destra, sensibili a far ripartire l’edilizia ?

Il neo assessore Marco Scajola, a parole, ha indicato la soluzione condivisibile e socialmente utile: dare priorità al recupero del patrimonio edilizio esistente. Si è già distrutto troppo, in Liguria, ai danni dell’agricoltura, del verde considerato come patrimonio ambientale e del Creato, del turismo, di un’industria delle vacanze di qualità che non si riduca al mordi e fuggi, ai fini settimana intasati, ai signori che vorrebbero regalarci altre seconde case vuote 11 mesi l’anno.

Don Antonio Suetta vescovo di Ventimiglia

Don Suetta, promosso vescovo di Ventimiglia, tra un tripudio di applausi, di buona stampa, come commenterebbe i bilanci della diocesi? Loanese, figlio di onesti agricoltori, un fratello funzionario di banca ad Albenga, ha lasciato il peso, le grane, i grattacapi ad uno dei ‘pupilli’ del vescovo Mario Oliveri e del cardinale Bagnasco, dalla cui diocesi i gemelli Cuneo provengono. Chi frequenta gli ambienti curiali non ha difficoltà ad ammettere che se l’inizio pareva ‘normale’, via via il percorso del canonico Giancarlo Cuneo ha incontrato montagne russe, problematiche, tensioni. Con la capacità di non scoperchiare la pentola in ebollizione. Del resto i bilanci non c’entrano con la missione del buon pastore, semmai la cruda realtà della matematica e quando necessario il rigore. La riservatezza è utile come per ogni azienda, tuttavia in questo caso far passare il messaggio di una diocesi aperta e trasparente, anche sul fronte del suo ‘portafogli’, sarebbe di stimolo, di aiuto verso le tante persone di buon cuore. Non solo,  motivo di impegno affinchè chi appartiene alla comunità cattolica si faccia carico, con più diligenza e generosità, dei bisogni di parrocchie e della diocesi.  Si pensi soltanto all’operato in costante crescita della benemerita Caritas, verso tutti i bisognosi, nessuno escluso. In Germania i cattolici, i cittadini contribuenti, possono scegliere a chi devolvere una percentuale del proprio stipendio, pensione, o reddito. Per avere un’idea con 3 mila euro lordi al mese, la ‘tassa’ per la chiesa si aggira sui 300 euro.  Non è poco, ogni contribuente si sente più coinvolto e dunque partecipe.

In Italia c’è un libero contributo, assai più basso. Ci sono le ‘messe pagate‘, i matrimoni, i funerali, i battesimi.  Non esiste un tariffario, offerta spontanea. Non sono molte le parrocchie che danno un puntuale rendiconto, dettagliato. Chissà se sarebbe utile cambiare, dare un segnale di rinnovamento stile papa Francesco. Ne abbiamo bisogno, afflitti, come siamo, dalle incrostazioni.

Luciano Corrado

 


L.Corrado

L.Corrado

Torna in alto