Don Primo Mazzolari l’ho conosciuto e parlato personalmente nel lontano 1955. Il mondo contadino esaltato da don Primo. Dal 9 all’11 giugno, a Bozzolo, si è chiusa la quarta edizione della ‘Tre giorni Mazzolariana’. Tra gli ospiti illustri il teologo Cugini e lo scrittore Affinati.
di Alesben B.
In sostituzione del cardinale Matteo Zuppi, trattenuto dalla missione di Pace che sta portando avanti nell’est Europa su mandato di Papa Francesco, Don Bruno Bignami, postulatore della causa di beatificazione di don Primo Mazzolari, nella santa messa della tre giorni mazzolariana si è detto emozionato nel celebrarla a Bozzolo nella chiesa di don Primo nel giorno del Corpus Domini che l’indimenticabile parroco faceva coincidere con la Festa del grano mobilitando tutta la parrocchia.
Commossi dai ricordi, alcuni anziani chierichetti di Mazzolari hanno spiegato che il presbiterio della chiesa di San Pietro veniva tutto adornato di covoni di grano. Le suore intrecciavano file di spighe che venivano calate dall’alto delle navate.
Era una esaltazione del mondo contadino, da cui anche lui veniva, che produceva il grano destinato a diventare il Corpo di Gesù attraverso il mistero dell’Eucarestia. Così come l’altra festa simile quella dell’uva che veniva portata per le vie del paese legata al mistero del sangue di Gesù. Erano iniziative che non dovevano rimanere vuote manifestazioni e don Bignami ha letto alcuni scritti di Mazzolari in cui diceva ai parrocchiani che l’alloggio e il pane di cui disponevano andava necessariamente condiviso con i poveri e i fragili.
Non a caso la santa messa è stata chiusa da un giovane ospite di una comunità terapeutica. Durante la funzione, presenti anche il sindaco Stefano Albertini Mussini e Ildebrando Volpi, il parroco, don Luigi Pisani, ha fatto un primo bilancio positivo dell’iniziativa sul buon versante della partecipazione e si è augurato che possa continuare ben oltre la quarta edizione a cui è arrivata, continuando il coinvolgimento di personalità che mettono a confronto il pensiero mazzolariano con l’attualità.
Nel pomeriggio il teologo Paolo Cugini, missionario e docente di Storia della filosofia in Brasile, ha dialogato con Stefano Albertini su “Una chiesa popolo di Dio: inculturata e inclusiva”. A seguire “Educare per vivere: lo scrittore ed educatore Eraldo Affinati, fondatore con la moglie Anna Luce Lenzi delle Scuole di Italiano gratuite per immigrati (già oltre una cinquantina in Italia), ha conversato con Albertini e don Bignami sul senso e sul valore etico e politico del fare scuola oggi “da don Mazzolari a don Milani alle scuole Penny Wirton”.
Noli e l’insegnamento di don Primo Mazzolari – 6 ANNI FA -, DI ALESBEN B
Leggo sul quotidiano La Stampa a firma di Valeria Pretari: ” Il nuovo monumento all’Alpino non piace alla Sovrintendenza. A Noli a distanza di sole due settimane dalla sua inaugurazione gli operai comunali hanno dovuto provvedere a rimuovere il nuovo monumento ai Caduti, posizionato nei giardini di fronte al palazzo comunale. L’opera, fortemente voluta dal locale Gruppo Alpini era stata scoperta ufficialmente dal sindaco Giuseppe Niccoli nei giorni scorsi, con tanto di benedizione di Don Giusto“.
Un blocco di pietra di circa 80 cm di altezza prelevato in montagna, su cui erano appoggiati una lampada votiva e una statua in bronzo di un alpino che teneva in spalla un fucile, donata dal tenente Mario Cesari, medaglia d’oro al valore militare, al gruppo alpini di Noli anni fa.
Per le Belle Arti l’opera non «sta bene e non si armonizza con il paesaggio circostante» quindi va eliminata immediatamente.
Una notizia che ha lasciato perplessi molti cittadini, soprattutto il consigliere Rinaldo Tissone, che fa parte del gruppo Alpini: «Sono molto amareggiato di questa decisione e a malincuore ne prendo atto, sicuramente troveremo presto un’altra collocazione, probabilmente nei giardini vicino alla chiesa di San Paragorio, chiedo scusa a tutti i parenti dei caduti, noi li ricordiamo comunque. Non mi spiego però questo accanimento su una cosa che sembrerebbe molto meno impattante dell’intonaco sul Pontevecchio e di tutto quanto è accaduto al castello Monte Ursino e quanto non è successo per oltre 30 anni al Palazzo di Salvarezza e all’interno dell’ultimo pezzo della Loggia». Il Comune non avrebbe richiesto alcun parere alla Sovrintendenza in quanto il monumento ai Caduti era stato posizionato sotto a una lapide commemorativa già esistente da più di 20 anni, che ricorda i nomi dei caduti nolesi durante la prima e la seconda guerra mondiale>>”.
Ricordiamo, all’Amministrazione del Comune di Noli, che non avrebbe richiesto alcun parere alla Sovrintendenza in quanto il monumento ai Caduti era stato posizionato sotto a una lapide commemorativa già esistente da più di 20 anni, che ricorda i nomi dei caduti nolesi durante la prima e la seconda guerra mondiale, quanto sostiene l’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea della provincia di Savona [Fondazione “A.M. De Mari”] che riconosce l’importanza nel mantenere viva la memoria di periodi cruciali della storia del nostro Paese e della nostra provincia.
“Ricordare i caduti savonesi, tutti, della prima e seconda guerra mondiale non è solo un doveroso omaggio a chi è stato vittima, spesso inconsapevole, di una tragedia che ha caratterizzato il secolo scorso, non PRESENTAZIONE solo è un contributo a tracciare un percorso storico che ha riportato l’Italia alla libertà, alla democrazia e al progresso, ma è altresì un messaggio di pace, sempre attuale, volto soprattutto alle giovani generazioni. Ricordare infine quali erano le condizioni del nostro Paese, con i lutti, le rovine, gli odii che caratterizzarono quel periodo e confrontarlo con quanto accadde negli anni immediatamente successivi: la Costituzione repubblicana, la ricostruzione materiale e morale, l’allargamento della partecipazione alla vita democratica, il relativo benessere,……………… la lapide commemorativa già esistente da più di 20 anni, che ricorda i nomi dei caduti nolesi durante la prima e la seconda guerra mondiale, che ricorda i nomi dei caduti nolesi durante la prima e la seconda guerra mondiale”, ma quali caduti
Quali caduti? Qualcuno risponde: “quelli che stavano dalla parte giusta” – Quale parte giusta ?
Il giorno del referendum del 2 giugno 1946, il messo comunale di Marcaria, comune adagiato sulla sponda sinistra del parco del fiume Oglio, entrò nella “bottega” di tabaccheria dei miei nonni. Mia nonna gli chiese: “Giuan e alura come andom ?” – “Tersila ‘om girà la giacheta !”
Le giacche nere erano foderate di stoffe leggere “satin” bianche; ” girà la giacheta” ovvero averla completamente rovesciata, come fosse un “double face”, significava, allora, il passaggio dal regime repubblichino a quello repubblicano cui il nuovo partito era rappresentato dallo scudo crociato.
Il nuovo partito si è anche dotato di un inno, O bianco fiore, simbol d’amore, con te la gloria della vittoria! che divenne in seguito l’inno ufficiale della DC, e dato l’anno di pubblicazione aveva le medesime caratteristiche e musicalità delle passate canzonette.
Scritto ai primi nel 1906 da Dario Fiori, sacerdote attivo sostenitore dell’azione sindacale dei cattolici in Toscana, il canto inizialmente era stato adottato da don Luigi Sturzo come inno del Partito Popolare. La versione definitiva può considerarsi quella pubblicata da “la Chitarra”, a. VIII (1919), n. 4-5-6, accompagnata da un articolo dello stesso don Fiori.
Duri, per la popolazione sono stati gli anni, dopo il 2 giugno 1946; nei piccoli centri gli stessi amministratori, fino a ieri iscritti al Partito Nazionale Fascista, continuavano, dopo il referendum, ad amministrare il popolo allo stesso modo, ma in nome e sotto l’emblema della D. C..
Sempre più spesso si faceva sentire la voce di Don Primo Mazzolari, [1], uomo di Chiesa e partigiano. Sul piano politico, i suoi atteggiamenti e la sua predicazione espressero una decisa opposizione all’ideologia fascista e ad ogni forma di ingiustizia e di violenza (tra l’altro nascose e salvò, durante la guerra, numerosi ebrei e antifascisti, come, dopo di essa, anche alcune persone coinvolte nel fascismo ingiustamente perseguitate).
Ho conosciuto don Primo Mazzolari un giorno di agosto ed ho sentito il suo sermone “non uccidere“, la pubblicazione anonima scritta sotto il regime fascista; ero stato portato con altri chierichetti a Bozzolo, come premio per essere risultati vincitori di fronte al Vescovo di Mantova, sull’argomento “come si serve la Messa in Coena Domini“, dal mio parroco del vicino paese di Marcaria, don Gaetano Lucchini, fervente sostenitore di don Primo oltre che amico.
Don Primo era un prete prete, uno di quelli che le cose non le mandava a dire ma che, agli interessati glieli diceva in faccia, soprattutto ai falsi profeti siano essi politici, giornalisti amministratori, forze dell’ordine, ….e preti stessi; coloro che per arrivare al potere non lesinavano di fare promesse assurde per poi, in seguito, rimangiarsele o addirittura cambiare bandiera dicendo che le cose degli altri non riguardavano più loro. [2]
La Chiesa Arcipretale di San Pietro era stracolma come pure il sagrato antistante.
Il dopoguerra si apre per don Primo all’insegna di una fondamentale parola d’ordine: riconciliazione. Per il prete lombardo, supremo compito del buon cristiano diviene – in quel drammatico frangente storico – l’educazione al perdono: ed egli per primo si premura di dare il buon esempio cercando con ogni mezzo di impedire le vendette politiche e mostrando pietà nei confronti dei fascisti sui quali ricade il pericolo di una giustizia sommaria [3]. La sua sfida è quella della fraternità a tutti i costi, che deve esprimersi attraverso il comune impegno per la ricostruzione – materiale, ma soprattutto morale – del paese.
Dagli inizi degli anni cinquanta don Primo sviluppa un pensiero sociale vicino alle classi deboli (Nessuno è fuori della carità) e ai valori del pacifismo che attireranno le critiche e le sanzioni delle autorità ecclesiastiche fino a portarlo all’isolamento nella sua parrocchia di Bozzolo.
Con la pubblicazione anonima di Tu non uccidere, nel 1955, Mazzolari attaccava a fondo la dottrina della guerra giusta e l’ideologia della vittoria, il tutto in nome di un’opzione preferenziale per la “nonviolenza”, da sostenere con un forte «movimento di resistenza cristiana contro la guerra» e per la giustizia, vista come l’altra faccia della pace.
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Storia di un massacro dimenticato di Francesco Federico.
In Italia esiste la storia di un massacro dimenticato, ed esiste un giornalista coraggioso di nome Roberto Beretta. Sono stati 130 i sacerdoti assassinati dai partigiani in questo paese tra il 1944 ed il 1951. Molti degli assassini sono ancora vivi, molti dei preti sono ancora insepolti. Ripeto per meglio chiarire: vi sono ancora dei corpi massacrati e lasciati marcire nelle campagne. Neanche si sono meritati una sepoltura cristiana. Solo perché erano preti. Questo giornalista ha scavato negli archivi diocesani di quasi mezza Italia scontrandosi molte volte contro l’omertà che ancora regna quando si chiedono informazioni su queste stragi.
Molti, dicevo, sono ancora vivi… ma quasi tutti gli assassini morti hanno lasciato dei parenti che conoscono bene le storie e che non vogliono parlare. Coperti dal partito e dalla paura dei vivi. Il giornalista ben sa che in Italia, forse giustamente, la legge tutela l’onorabilità loro e dei discendenti, meglio dunque tacerli anche se nei paesi dove questi fatti sono accaduti corrono di bocca in bocca.
Andando a spulciare nei dati storici si evince che “né i partigiani democristiani (80.000 in Italia). né i repubblicani, né i socialisti, né i liberali hanno continuato a sparare dopo la guerra. Solo i comunisti, non tutti per fortuna, hanno abbondantemente e impunemente ucciso anche nel dopoguerra e fino al 1951”. (Don Mini Martelli in “Diario di un prete romagnolo assassinato”). La domanda che il giornalista, e molti storici si pongono, è questa: esisteva un piano dei comunisti in Italia, nell’immediato dopoguerra, per giungere al potere con le armi? Una specie di rivoluzione popolare come in Russia? Sembrerebbe di sì! Vi sono anche molti storici di sinistra che propendono per questa idea. Infatti prendevano di mira i preti perché erano dalla parte del popolo… e qualche volta erano essi stessi partigiani! Era tale il livore contro di essi che i partigiani uccidevano i loro stessi compagni! E come li uccidevano?
Dovreste leggere questo libro per comprenderlo…. massacrati, evirati, denudati, violentati, stuprati, tagliati a pezzi… a qualcuno gli misero del vetro in bocca perché non voleva bestemmiare Dio prima di morire. Poveri uomini… ma non i preti. Poveri assassini che avranno già ricevuto la giusta ricompensa dal Padre!
Facendo un calcolo dei morti in guerra e dei morti in parrocchia viene fuori un dato pazzesco: i cappellani militari morti furono 148, i parroci italiani uccisi furono 238 (più 41 viceparroci e 129 tra seminaristi, novizi e religiosi laici). In pratica era più pericoloso stare sotto il campanile del proprio paese che stare sotto le bombe del fronte.
Poveri preti: messi in mezzo sempre… se aiutavano i rossi, allora erano sotto le mira dei neri. Se aiutavano i neri, allora venivano i rossi. In fondo motivi per farli fuori ce ne erano sempre… e se non venivano trovati si utilizzava la vecchia tattica della calunnia: aveva l’amante ed il marito l’ha ucciso! Così si mettevano a tacere tutte le voci e le ricerche dei vari assassini… i quali solitamente se la svignavano all’est coperti dal partito.
Questa è sicuramente una pagina della storia italiana che ancora gronda sangue, per il semplice motivo che questi sono tutti morti dimenticati e di cui nessuno vuole parlare. Io credo che se un paese vuole dichiararsi maturo dovrebbe iniziare a fare luce su questi casi… perché dopo 60 anni questi morti hanno il diritto di riposare con una targa che ricordi il loro sacrificio di amore.
ELENCO DEI PRETI ASSASSINATI DAI PARTIGIANI
Rolando Rivi assassinato dai partigiani perché indossava la talare – Liguria – GENOVA
Don Attilio Pavese – Alpe Gorreto, 6 dicembre 1944
Don Colombo Fasce – Cesino, 19 maggio 1945 -SAVONA
Don Guido Salvi – Castelvecchio di Rocca Barbena, marzo 1945 –
Don Antonio Padoan – Castelvittorio, 8 maggio 1944
Don Andrea Testa – Diano Borello, 16 luglio 1944.
Alesben B.