In questi giorni sta suscitando dibattito nei “modesti” ambienti, che frequento, una posizione sostenuta dall’assessora “al silenzio claustrale da dopo le elezioni regionali” secondo cui il Museo Archeologico di Savona sarebbe pieno di reperti di proprietà statale e, come tali, ne dovrebbe rispondere lo Stato e non il Comune.
di Danilo Bruno
In primo luogo pure i sassi del Priamar sanno che una parte del materiale (es. i mosaici di probabile origine africana) è di proprietà comunale mentre altri appartengono all’Istituto Internazionale di Studi Liguri sez. Sabazia, di cui sono vicepresidente (giusto per capire che sono dichiaratamente di parte) o al Centro Ligure per la Storia della Ceramica, che al Priamar ha depositato questo materiale.
Bisogna poi rammentare che l’Istituto ha creato, curato e implementato la biblioteca del Museo oltre a vantare diritti di ricerca su molti reperti esposti o in deposito.
A questo punto ma l‘assessora silente alla cultura di cosa sta parlando?
Devo fare un pò di storia dei beni culturali per capire di cosa si stia parlando per tornare poi a porre alcune domande alla silente amministratrice.
Dall’Unità d’Italia si delineò l’esigenza di classificare e catalogare tutto il patrimonio culturale della nazione in modo che fosse disponibile e non andasse incontro a dispersioni.
Molte persone lavorarono a questo scopo ma meritano in particolare una citazione due funzionari dello stato nonché studiosi di prim’ordine: Cavalcaselle e D’ Andrade.
Essi lavorarono, fecero proposte e in particolare nel caso di D’ Andrade sviluppò originali tecniche di restauro, che portarono alla nascita delle attuali San Paragorio di Noli, Porta dei Vacca a Genova nonché l’intero configurazione delle mura di Porta Soprana a Genova a due passi dalla casa attribuita a Cristoforo Colombo.
Ciò che però qui rileva è il fatto che lo stato, quale espressione dell’ intera collettività nazionale, si assumeva l’onere e l’onore di tutelare e conservare i beni culturali, che costituiscono l’asse portante della coscienza civile della nazione.
Ai comuni dovrebbe spettare la valorizzazione intesa come esposizione, divulgazione ed educazione permanente sul valore storico e socio – culturale dei beni esposti e conservati.
Se analizziamo queste considerazioni di ordine generale evidentemente ciò significa che lo stato, espressione degli interessi generali della collettività, assume su di sé gli oneri della tutela e conservazione dei beni archeologici, che descrivono la storia della città di Savona dalla nascita, all’occupazione delle aree sottostanti al Priamar fino alla completa distruzione dei principali edifici e alla nascita della fortezza.
Si tratta tra l’ altro di una situazione di work in progress poiché il museo cresce in rapporto con decenni di campagne di scavo archeologico.
Qui sorge una domanda: ma se la collettività nazionale, rappresentata dallo stato, si fa carico delle norme generali di tutela e conservazione dei reperti sulla storia della città non dovremmo essere grati all’Italia intera dell’onere, che si assume di tutelare anche per il futuro, di studiare e dettare le norme per la conservazione dei beni primari ed essenziali per la conoscenza della storia di Savona?
Perché allora dire che i beni sono di proprietà dello stato, come se fosse una struttura estranea al sistema sussidiario identificato dalla Costituzione repubblicana?
Perché non investire sulla valorizzazione, conoscenza di beni essenziali sulla storia di Savona affinché i reperti del museo archeologico divengano la via attraverso cui conoscere la storia di Savona, rendere le persone ,orgogliose di risiedere di conoscere la nostra città e soprattutto di costruire una coscienza civile e una cittadinanza attiva, fondata sull’arte e sulla cultura?
A questo punto cosa significa invocare la proprietà statale dei beni?
Io credo che l’assessora alla cultura non si senta forse integrata in città , essendo tra l’altro di origine valbormidese e non risiedendo a Savona, per cui pensa che tutto si limiti ad una questione di proprietà oppure che creda che la proprietà dei beni dia una sorta di obbligo su di essi in una concezione privativa della cultura, che in questi anni ha portato alla futura privatizzazione di Villa Zanelli con fondi pubblici, alla rinuncia a qualunque politica culturale se non di recupero e proprio perché non se ne può fare a meno (soprattutto per turisti e turiste) o per propinarci stagioni teatrali sempre uguali e senza alcun spunto di novità senza neppure fare la fatica di guardarsi intorno e vedere cosa c’è di nuovo in città e provincia senza andare tanto lontano ( Teatro Sacco e Cattivi Maestri giusto per fare alcuni nomi).
A questo punto tocca a noi savonesi riconquistare il Priamar e permettere la riapertura del museo archeologico poiché l’attuale scavo dell’antica cattedrale, le attività didattiche del museo, le visite guidate al complesso monumentale ,…non sono soldi buttati dal balcone o doni allo stato ma semplicemente il minimo da fare per costruire dopo la pandemia una nuova coscienza civile della città e contribuire a alla crescita di quella nazionale.
Io non ho altro da aggiungere e, se l’assessora innominata e silente nonché la sindaca pro-tempore e i loro alleati, compreso il Presidente regionale, non lo capiscono; bisogna mandarli a casa perché Savona sta pesantemente rischiando il proprio futuro, come ci hanno insegnato Mazzini, che ha ideato a Savona la Giovine Italia e soprattutto ha impostato il suo programma sulla assunzione delle proprie responsabilità da parte di tutte e tutti e il ” nostro” Pertini, antifascista, perseguitato politico, partigiano, combattente per la pace e l’Unità Europea e non quello anonimo e “buono per tutte le stagioni” del monumento dell’omonima piazza, che tanto piace alla Sindaca e a Toti oltre a tutta la destra locale e non.
Danilo Bruno