L’arenile costiero di Ceriale: patrimonio trascurato o perlomeno non pare abbia avuto finora lungimiranza programmatica e strategica. E’ un potenziale unico, da priorità assoluta e che le amministrazioni comunali avrebbero dovuto affrontare in modo risolutivo. E’ il vero futuro socio economico e turistico dell’economia cittadina ormai quasi spogliata di agricoltura. L’ex sindaco Giovanni Cerruti continua a martellare, stimolare e fare confronti (Vedi servizio del 19 dicembre 2019 di trucioli…..).
Cerruti scrive e posta sulla sua pagina Facebook considerazioni ed immagini, proposte: “Alassio ha preso i soldi della Regione per fare le difese all’arenile? A Ceriale se ne sono dimenticati, han preso circa 80.000, per una bicchierata a base di Spritz.”
A parte battute spiritose, si badi la sostanza e l’importanza della problematica. La situazione attuale e il futuro prossimo. Se un piano regolatore ha una durata programmatica all’incirca decennale, che segna e prevede lo sviluppo edilizio ed urbano. Il ‘piano spiaggia’ è sicuramente destinato alle generazioni a venire, a secoli.
Diciamo allora che un intervento davvero importante dovrebbe riguardare tutto il litorale di ponente, dove tra l’altro, sono in itinere, da anni, rilevanti progetti turistici, residenziali, ricettivi. Solo bloccati dagli uffici comunali e regionali, dalla burocrazia italiana, ormai sempre più all’indice nella popolarità, ma di fatto mai scalfita. Anzi.
Il piano spiaggia che alla stregua delle grandi ‘incompiute’ (T1, palazzo Pesce, ex edificio scolastico in centro), ma anche ex Colonia veronese, dovrebbe occupare a tempo pieno un assessore, meglio se competente e all’altezza del ruolo richiesto. Invece neppure la giunta Romano, al di là delle speranze iniziali, è stata capace della svolta, del colpo d’ala che non sia quello dell’amministrazione della cosa pubblica nella corretta e diligente gestione ordinaria. Pensiamo al dinamismo quotidiano messo in campo dal vice sindaco Luigi Giordano.
E’ in gioco, ripetiamo, la sorte sociale di una comunità, i suoi giovani, posti di lavoro. C’è urgenza di un deciso cambio di passo, nessuno deve sentirsi delegittimato, semmai prendere coscienza che ognuno di noi ha limiti e competenze, tra limiti di capacità e di esperienza, di visione complessiva di ‘città domani’. Si sappia, volare alto, negli obiettivi e nella programmazione progettuale. Ci si affidi senza ulteriori indugi a figure ad hoc, si scelga e si investa nelle migliori professionalità, in una visione che vada oltre la buona amministrazione quotidiana, utile e ammirevole, ma non basta ad affrontare le strategie di sviluppo e di benessere. Ignorare questi aspetti significa incapacità colposa o dolosa e venir meno al bene comune che deve preoccuparsi, ripetiamo, delle future generazioni. Il litorale di Ceriale non deve più attendere, non ci sono scuse che tengano.
IL PROGETTO ARENILE DI ALASSIO E A CERIALE ?
A PONENTE IN ATTESA DA SEMPRE ? DOVE CREEREBBE
UNO DEI PIU’ ESTESI E PROMETTENTI LITORIALI DELLA LIGURIA
SUSCITA REAZIONI ED APPROFONDIMENTI.
IL CURIOSO ‘VIAGGIO’, DA PRIMATO LINGUISTICO,
DI UN INSEGNANTE IN PENSIONE DI ALBENGA
Il termine è così universalmente noto ed usato che non occorre certo soffermarci sul suo significato.
Val la pena piuttosto di curiosare fra tanti derivati del nome, fermo restando l’uso presente di termini sessuali o erotici come esclamazioni o intercalari. E qui veniamo subito all’alterazione fonetica o sostituzione parafonica per cui una parola proibita viene sostituita con un’altra che la ricorda per la sua pronuncia, soprattutto mantenendo la prima sillaba. Persone timorate e spiriti bennati diranno perciò: belan – belandi – beliero – belera – beliscimo – belicite – berretto – berrettin.
Hugo Plomteux nel suo ” I dialetti della Liguria Orientale odierna: La Val Graveglia “, fa derivare correttamente il termine da bela, budello, mentre ne registra la presenza anche in Argentina e Uruguay: me importa un belin!, no me importa un bledo! e no se ve un belin!, no se ve nada!
I due derivati più noti, invece, divisi da una diversità di significato tutta da cogliere, sono belinon e abelinou.
Il primo indica una persona sciocca, stolida, un drùo, un tonno. Su di lui non ci sono molte speranze. Abelinòu sta per cretino, poco furbo o accorto. Insomma a tutti può capitare di sentirsi appellare con questo termine, soprattutto se faemmo ‘na belinata, un errore, una sciocchezza.
Belinà indicherà invece esclusivamente il rapporto sessuale (unn-a belinà da ballòu, qualcosa di frettoloso e fugace).
Un significato fortemente negativo assume belina, persona dal comportamento spregevole, di cui non ci si può fidare, che non mantiene la parola data e pensa soltanto ai propri interessi. Si dice anche gran belina, belinetta (persona mediocre e supponente), belinaio e, molto gustose: belina insùgà (inamidata, tipo sussiegoso e altero), belina imbriaga (ubriaca) e imbarsamà (imbalsamata).
Proprio partendo dalla distinzione fatta sopra, non casualmente troviamo poche espressioni con belinon e moltissime con abelinòu. Avremo infatti: Belinon de coppe.
Con riferimento ad uno dei semi delle carte.
Fa da belinon pe no pagà de dazio.
Far da rincretinito per non pagare dazio.
Per l’altro termine abbiamo solo l’imbarazzo della scelta: Ciù abelinòu che treì che piscian e quattro (o duì) che aggueitan.
Più stupido che tre che pisciano e quattro (o due) che sbirciano.
Ciù abelinòu che ‘na palanca de piae marse.
Più stupido che un soldo di (castagne) pelate marce.
Ciù abelinòu che o duì de lùggio.
Più stupido che il due di luglio. Che cosa significherà questo riferimento ad un giorno d’estate?
O l’è abelinòu comme treì che pescan in te ‘n bolacco de serrèua.
E’ stupido come tre che pescano in un secchio di segatura.
Grande, grosso e abelinòu.
Grande, grosso e stupido. espressione usatissima.
Tògno Benardo e Rocco treì abelinae in te ‘n blocco.
Antonio, Bernardo Rocco tre stupidi in blocco, in un solo colpo. Tre santi il cui culto era un tempo molto diffuso e tre nomi, di conseguenza, piuttosto presenti.
Quande un o l’è abelinòu…
Quando uno è stupido… Lo si dice con aria sconsolata, allargando le braccia e scuotendo il capo.
Abelinòu no ti o l’è… ma i furbi gh’an ‘n àtra faccia
Stupido non lo sei… ma i furbi hanno un’altra faccia.
O gh’à ‘na faccia da abelinòu ch’a consolle
Ha una faccia da stupido che consola.
Son di abelinae che fottan i asperti
Sono degli stupidi che fottono i furbi, ma meglio sarebbe dire gli accorti, gli avveduti. Sta comunque per finti tonti.
Rasentiamo i territori della filosofia e della morale con: A pianta de l’abelinaggine a no secche mai.
La pianta della stupidaggine non secca mai.
Ma, tipicamente ligure, si dice che non secchi mai anche a pianta di ruffien, nel senso di adulatori, tirapiedi, arrampicatori sociali.
Simile è: Finché e prìe anniàn a-o fòndo, d’abelinae ghe ne saiàn de lungo
Finché le pietre andranno a fondo, di stupidi ce ne saranno in abbondanza.
E qui oltre a ricordare il delizioso volumetto del Cipolla sulla stupidità, edito alcuni anni or sono dal Mulino è d’obbligo un riferimento al classico saggio el Cocchiara sul mondo alla rovescia, allorché parla di adynata.
Chiudiamo questa sezione con un’impagabile: Ese ciù abelinòu che u can du Leccia: o piggiava in to cù e o dixeiva ch’o beccia
Essere più stupido che il cane del Leccia: lo pigliava in culo e diceva di fottere. Un atteggiamento, ahinoi, più diffuso di quanto non si creda.
Riprendiamo con altre espressioni derivanti da belin: Mà imbellinòu sta per mal fatto, mal riuscito.
Imbelinase sta per cadere rovinosamente, ma può anche indicare il buttarsi in qualche cosa di rischioso con fin troppo entusiasmo: sbelinase (a Genova si usa maggiormente desbelinase) significa arrangiarsi, farsi furbo, imparare a far qualcosa.
Me ne imbellino è un’espressione di sorpresa, di meraviglia condita di ironia, e qualche volta, a dar maggior forza e sapore, si dice: me ne imbellino… me ghe leve o nomme.
Assai gustoso: Me ne imbellino o lavava i gotti e sò moggè a faxeiva i friscèu
Me ne infischio lavava i bicchieri e sua moglie preparava le frittelle.
Passiamo a: Aveì di beliniximi pe a testa
Esser pieno di storie, aver trope pretese.
Altre espressioni o frasi fatte sono: No di de belinate
Non dire sciocchezze.
Còse t’imbelini?
Cosa combini, cosa fai?
O no va ‘n belin
Non vale niente.
Menàse o belin
Non combinare nulla.
Menà o belin
Prendere in giro.
Me ne batto o belin
Non me ne importa nulla.
Vanni a menà di belin o, ancor più, Vanni a menà ‘na corba de belin
Vai a quel paese! Ma, di fronte a quest’invito, si poteva anche rispondere: Annaghe voì mi no gh’o genio
Andateci voi, io non ne ho voglia.
A belin de can
Alla cazzo di cane, analogo a Laòu do belin, lavoro mal fatto, trascurato.
Aveìne o belin pin
Non poterne più. Esser stufo.
Aveì o belin amào
Esser di pessimo umore. Analoghi: Aveì o belin inverso o imbòso
Aver il cazzo a rovescio.
Tià o belin e Sussà o belin
Prendere in giro o dar fastidio a qualcuno.
Molto diffusi:
Alleità (mungere) sgarbellà (o sgrabellà) o belin
Scolpire, ferire in superficie.
Quande o belin o fa l’ungia
Quando il cazzo fa l’unghia. Chissà mai, chissà quando un certo lavoro verrà fatto o un certo impegno rispettato…
O sèu belin attaccòu a ‘n ciodo!
Il suo cazzo attaccato a un chiodo!
Esclamazione sconsolata, fatta da chi ha esperienza verso chi ne ha detta o combinata una veramente grossa.
Tocchite o belin che o treno o parte
Beneito belin!
Benedetto cazzo! Esclamazione di stizza, meraviglia e ancor più sconforto.
Andiamo avanti: O no distingue ‘n belin da ‘na magna de tappi
Non distingue un… da una manciata di tappi.
Di analogo valore, sempre adoperati per chi mostra poca o nulla dimestichezza nel fare una cosa:
O no distingue ‘n belin da ‘n rappo d’uga
Non distingue un …da un grappolo d’uva.
O no distingue ‘n belin da taeraninn-a
Non distingue un… da taeraninn-a (è il cordino che i muratori usavano per tracciare delle linee e che passavano, perché lasciasse un segno netto, nella terra di Siena).
O no distingue ‘n belin da treì che passeggian
Non distingue un… da tre che passeggiano.
A consolazione dei piccoletti: Ommo piccin, tùtto belin
Uomo basso, tutto cazzo.
Gradevole anche questo gioco di parole: Gh’èa un Zeppelin pe l’àia
C’era uno Zeppelin in cielo. Con riferimento al notissimo dirigibile (1906-1907) del conte, generale e aviatore tedesco Ferdinand Zeppelin (1838- 1917). Maliziosamente si potrà anche leggere però:
Gh’èa unze belin pe l’àia
C’erano in cielo undici cazzi.
Valga comunque questa saggia raccomandazione riferita al soggetto di questa escursione:
Quande a testa piccinn-a a comande a ciù grossa, alloa son pacciughi
Quando la testa piccola comanda la grande, allora sono pasticci.
Di minor fortuna, ma di uguale significato (budello e membro virile) è il termine cicciollo.
Ovviamente significa anche sciocco, sprovveduto.
Cicciollata sarà, quindi, una sciocchezza.
Maggior fortuna ha trovato il termine gondon, che oltre al significato letterale di profilattico, significa persona furba e accorta, scaltra.
Ma il termine ha diverse accezioni riconoscibili dal tono usato o dal contesto della frase. Può avere una valenza fortemente negativa ed indicare un essere spregevole, capace di qualsiasi cattiva azione e può avere anche un valore affettuoso, benevolmente ironico.
Simile è gondonetto, usato per persona furba o per un ragazzino simpatico e vivace. Abbiamo pure: gondonasso, gran gondon per canaglia, farabutto. Gondon sciùppòu, tocco de ‘n gondon.
Gondonata per ribalderia o colpo di estrema furbizia.
Mezo gondon
Giudizio sospeso, ma sul negativo, di sospetto sul conto di qualcuno.
(Da Walter Fochesato: belin! / imprecazioni volgari,
modi di dire popolari e antichi proverbi genovesi /
il GOLFO)
Michele Di Giuseppe