Avevamo in agenda di ricordare Rosabianca Bruna in occasione della Festa della donna, il blog era ‘ingolfato’ di notizie. Perché è doveroso ricordarla ? Non era un personaggio pubblico, in vista, pur se popolare in vallata, tra i turisti pendolari. Di lei non si erano mai occupate le cronache. Per i media locali dove si legge di tutto e di più, Rosabianca era ‘sconosciuta’. Donna eccezionale da moglie, mamma, nonna, contadina vecchio stampo, volto pulito, vendeva l’ortofrutta delle terre di famiglia. Per anni ha viaggiato dalla sua casa di Ponterotto (Comune di Onzo, provinciale per Pieve di Teco, sui confini tra Savona e Imperia, bassa Valle Arroscia) al mercato ortofrutticolo di Albenga. Alla guida del furgone, di primo mattino, raggiungeva la Riviera. Negli ultimi anni era pure punto di riferimento per i venditori dei ‘mercatini’ agricoli: da Imperia al Finalese. Ma a Ponterotto si fermavano a fare provvista molta gente che apprezza genuinità e serietà commerciale.
Una contadina d’altri tempi. Casa, famiglia, lavoro, fatica, chiesa alla domenica, alle feste comandate, tanti sacrifici. Custode di quelle tradizioni che si basavano sulla parola, sulla fiducia reciproca, sulla correttezza, sul senso del dovere. Uno di quei patrimoni che non dovrebbe morire mai. Rosabianca, dopo mesi di sofferenza, ha preso il volo verso il cielo. Non era passato molto tempo da quando il vecchio cronista di provincia l’aveva fotografata e salutata, incoraggiata a resistere. C’era ancora bisogno di lei. Quell’ultimo saluto con il braccio alzato, le dita che si chiudono come si insegna ai bimbi a dire ciao. La commozione, il magone in gola di Rosabianca erano visibili (documenta l’immagine a fianco). Quasi un presagio. Poi quelle parole: “…è l’ultima volta, non ci rivedremo più… “. Sguardo triste, occhi lucidi, sofferente, fierezza e umanità. Avevamo avuto la fortuna di incontrarla e conoscerla, apprezzarla, dai sin dai primi anni ’90.
L’occasione non fu casuale. Da anni percorrendo la vallata, alla volta di Mendatica, Monesi, Nava, Ormea, ci capitava di fermarci alla ricerca di ortofrutta del contadino. Un giorno scoprimmo che una delle ‘bancarelle’ sulla provinciale (oggi non si contano neppure sulle dita di una mano ) vendeva pesche dei suoi terreni, ma quando ne rimaneva sprovvista, si riforniva al mercato ortofrutticolo all’ingrosso di Quiliano. Facile immaginare disappunto e delusione.
Da allora, mese dopo mese, l’incontro con Rosabianca; era nel pieno delle sue forze, della sua attività, sempre premurosa e preoccupata di non restare senza merce, di accontentare il cliente. Il sorriso garbato, lo stile inconfondibile a consigliare la scelta migliore, oppure evitare. Alle ‘calcagne’, si fa per dire, del marito Domenico Rinaldi, un’esistenza da ‘forzato’ della terra, gran lavoratore, a lungo giovane aitante. Dall’alba al tramonto, curvo a zappare, curare le piante da frutto, innaffiare, raccogliere centinaia di kg. Caricare il camioncino. Un agricoltore avvezzo alla fatica, sudore, calli, salute di ferro e, agli inizi, non c’erano ‘macchine da zappare’. La macchina da lavoro era lui, nei giorni feriali come nei festivi, rinunciava persino a spostarsi, prendersi un giorno di riposo. Solo qualche eccezione per il matrimonio dei figli. Cassiera era la moglie, lui all’opera di primo mattino e nel tardo pomeriggio a raccogliere primizie di stagione: ciliege (la moglie ogni tanto lo elogiava “come sa raccoglierle Domenico ce ne sono pochi”), pesche, albicocche, cachi, susine, pere, pomodori, melanzane, asparagi violetti, bietole, patate, zucchine, insalate. Nel garage di casa Rinaldi si potevano trovare soprattutto prodotti a km zero e coltivati senza l’uso di troppi ‘veleni’. Quando rinunciava a ‘piantare’ patate di loro produzione, Rosabianca non aveva difficoltà: “Arrivano dal Piemonte”. Stessa cosa per le mele, il miele.
Rosabianca che, a volte, trovava il tempo di sfogarsi, tra soddisfazioni e preoccupazioni, ma discreta, attenta, premurosa, gentile. Un esempio senza clamori, senza la tribuna degli onori, dei riconoscimenti. Da lei facevano provviste pure agricoltori che hanno il banco sui ‘mercatini’ ortofrutticoli della Riviera, in città, non ha mai parlato di questo particolare. Correttezza e onestà le sue regole di vita; fiera ed orgogliosa della figlia Maria, dei figli Marco ed Enzo, entrambi lavorano la campagna, quest’ultimo è coniugato con la titolare di un negozio di alimentari di Ortovero.
Rosabianca radiosa e premurosa quando poteva presentare i nipotini, preoccupata sulla sorte dei figli: “Spero che quando non ci saremo più vadano d’accordo….”. Da ultimo era assistita da una badante, qualche ricovero, tra sofferenza, ansia, cure, medicine. Ha tenuto duro fino a quando le sue forze non hanno ceduto alle prese con lo sconforto. “Una donna eccezionale, unica – era il commento di un vivaista di lungo corso della Valle Arroscia che l’ha sempre conosciuta ed ammirata, non era il solo -“. Grande forza d’animo, la fede. Rosabianca se n’è andata, da allora quel magazzino è quasi sempre chiuso. Più triste l’atmosfera per i passanti, ex clienti. La badante ora assiste Domenico che si è arreso alla tarda vecchiaia e ai malanni. Lucido nei ricordi e nei rimpianti. Racchiuso nei suoi pensieri. La compagna della vita era originaria di Ventimiglia, lui di Casanova, si erano sposati nel 1961.
A Onzo nei giorni del lutto di casa Rinaldi, faceva notizia, a tutta pagina, che “dai rovi affiora un affresco del ‘600: è la Madonna del Latte, trovata nella cappella di San Giuseppe avvolta dalle erbacce”. A fronte di una Rosabianca con la sua eredità di valori etici, lavoro, famiglia, umile insegnamento, il giornalista pensionato Stefano Pezzini, sulle pagine de Il Secolo XIX e La Stampa, metteva in luce il ruolo di “Giuliano Arnaldi, capogruppo di minoranza, ma soprattutto antropologo ed esperto d’arte di fama ( direttore scientifico della Fondazione TribaleGlobale), e Giuliano Tornatore, grande conoscitore della Valle Arroscia, e il fotografo Roberto Oliva“. Arnaldi che illustrava il significato storico della scoperta dell’affresco “rovinato, ma leggibile”. Pezzini blogger e che tiene una rubrica settimanale su Ivg.it , vive da anni nel paradiso di Arnasco.
Nessuno, in valle, ha scritto e forse fotografato come avrebbe meritato, l’esistenza di una generazione di donne contadine. Le ‘ragazze del ‘900’. Laboriose, ricche di sentimenti e spirito di sacrificio. Lontane dal lusso. Non hanno conosciuto la bella vita, la moda, i salotti, serate by night in Riviera. Rosabianca, con Domencio, ha mantenuto il vessillo di quella piana che ha dato origine alla ‘Festa delle pesche di Ortovero’ e dove i produttori in attività sono rimasti una vera rarità. Rosabianca ha lasciato una mitologia di vita in simbiosi con il mondo agricolo. Ha lasciato un vuoto e una semplice pagina di storia, un album di ricordi tra umili, tra aspirazioni, speranze, rassegnazione. Se ne è andata senza lasciare ricchezze, ma esempio di virtù. Grazie Rosabianca, non merita di essere dimenticata in fretta. Il suo sonno eterno ci tenga almeno dolce compagnia.
Luciano Corrado