Una nuvola o una bolla trasparente sul terreno delimita uno spazio primario per chi lo abita. Questo spazio ha un nome che tutti gli altri conoscono. Non vedono la nuvola/bolla ma sanno dove si trova lo spazio che delimita. E sanno anche chi abita in quello spazio. Sanno che quello spazio è detto toponimo, il nome del posto, ed è unico. In alcuni casi è riportato sulla mappa del luogo, altre volte è solo ricordato nella tradizione orale. La mia nuvola/bolla comprende un piccolo monte, una strada campestre, che confluisce nella strada del paese, una serie di campi e qualcos’altro.
Lungo la strada infatti vi è un solco dove scorre l’acqua meteorica e una siepe di rovi. La strada è sul bordo di alcuni campi che sono protetti da una chiudenda o palizzata di legno e filo spinato, per un tratto, mentre per il resto alcune lunghe pertiche legate in senso orizzontale delimitavano il margine dei campi.
In uno di questi campi vi è la mia casa, quella che mio padre ha fatto costruire dal
1950, almeno. Il mio ricordo del toponimo in cui ho abitato (le Peire) risale al 1955 almeno, così come la mia conoscenza degli altri toponimi circostanti. Da una parte vi è quindi il bric delle Peire, come la strada delle Peire, costeggiata dalle spine o rovi delle Peire, che formano, sul lato a monte, la siepe di confine, così come la chiudenda (ciuendia) sull’altro lato della strada campestre che ogni giorno percorrevo a piedi per andare a scuola.
La ciuendia delle peire era conosciuta dai contadini di Rocchetta e anche dagli altri abitanti pratichi del luogo. Anche questa semplice palizzata faceva parte della nomenclatura locale. Il nome era generico ma solo a nominarlo tutti sapevano dove si trovasse. Aveva la sua dignità sociale nella geografia del paese. Parlo in parte al passato perché qualcosa si è modificato, ma questo mio ricordo è ancora localizzabile sul territorio.
Bruno Chiarlone Debenedetti