Il Comune di Noli ha deciso di prorogare fino al 15 dicembre 2017 l’attività di contrasto alla minaccia del punteruolo rosso e di censimento delle palme (sane e infette) presenti sul territorio comunale.
L’amministrazione comunale aveva già messo in atto in tempi recenti una prima tranche di questi lavori, ma con l’estate si sono moltiplicate le richieste di proprietari di seconde case che sono giunti a conoscenza di questa iniziativa e hanno chiesto al Comune di potervi rientrare, determinando così un significativo aumento del numero di palme da censire.
Nell’ordinanza emessa dal sindaco Giuseppe Niccoli sono inoltre presenti ben precise disposizioni in merito a tutte le operazioni da compiere per il trasporto, accumulo, compostaggio e smaltimento derivanti dall’abbattimento di palmizi infetti.
Transitare oggi da Loano a Spotorno, si nota come le singole amministrazioni comunali combattono la presenza della minaccia del punteruolo rosso: con l’abbattimento.
E pensare che anni fa, come scrive Savonanews il 17 novembre 2017, c’è chi aveva già segnalato il problema. “Alcuni anni fa i Verdi segnalarono l’urgenza di intervenire tempestivamente per attuare una lotta efficace in grado bloccare l’azione distruttiva del “punteruolo rosso”. Il paesaggio costiero ligure vanta ancora un patrimonio di decine di migliaia di palme, già descritte agli inizi del 1800 in tutte le loro varietà dall’agronomo finalese Giorgio Gallesio nella famosa ‘Pomona Italiana‘” commenta il portavoce dei “Verdi” del ponente Savonese, Gabriello Castellazzi.
“Ma questo ricchissimo patrimonio “verde” è rimasto sotto attacco e solo alcune amministrazioni si sono attivate seriamente per arginare questa moria di palme, ma in generale si sono registrati gravi ritardi e la “Riviera delle Palme”corre il seri rischio di diventare tra pochi anni un ricordo. Data la velocità riproduttiva di questo “punteruolo”era necessario un coordinamento più efficace, ma molti hanno sottovalutato il problema. Nonostante le ordinanze le piante colpite a volte rimangono per mesi in stato di abbandono.
Era noto a tutti che questo insetto, se non viene subito isolato e neutralizzato, in soli due mesi si diffonde rapidamente in migliaia di esemplari, può vagare e colpire in breve tempo nello spazio di diversi chilometri e scava gallerie nel fusto della palma. A quel punto la maggior parte della pianta è fortemente danneggiata ed è quindi necessario il suo taglio con un costo di circa 800 euro”.
“Ma la prevenzione ben organizzata costerebbe molto meno (ogni trattamento circa 200 euro e i prezzi variano in considerazione del numero di piante trattate). In alternativa al trattamento chimico è poco considerato il trattamento biologico con “Steinernema carpocapsae“, un nematode che rilascia batteri in grado di uccidere il “punteruolo” in 48 ore. I Comuni non possono affrontare il problema ognuno per proprio conto. E’ necessario un coordinamento regionale, con appalti comprensoriali che riducano i costi. Ma nel frattempo devono essere rispettate le ordinanze ed applicate le sanzioni previste – prosegue – Un po’ di storia: Il “punteruolo rosso”, coleottero di origine asiatica, colpì l’Egitto nel 1992 (30.000 piante distrutte in poco tempo). Passato in Spagna nel 1994, venne segnalato in Italia per la prima volta a Pistoia nel 2004″.
“Nel 2007 venne organizzato a Sanremo un convegno a carattere regionale per adottare strategie di lotta e il 13 febbraio 2008 venne pubblicato il primo decreto che obbligava Enti pubblici e privati proprietari di palme a provvedere alla eradicazione delle palme infestate, triturazione e corretto smaltimento dei residui. Un ulteriore D.M. del 7 febbraio 2011 obbligava i Servizi Fitosanitari Regionali a predisporre piani formativi per “operatori capaci di attuare le tecniche preventive al fine di arginare i gravi danni all’ambiente, al paesaggio e all’economia” e “chiunque non ottemperi alle prescrizioni impartite è punito con multe fino a 3000 Euro”. A questo punto ogni ritardo, anche da parte della Regione Liguria, risulta incomprensibile” conclude il portavoce dei “Verdi” del ponente Savonese, Gabriello Castellazzi.
la “Riviera delle Palme”corre il seri rischio di diventare tra pochi anni un ricordo. Attualmente sta prendendo forma ovvero è paragonabile, a Filitosa che rappresenta il più importante sito archeologico della Corsica, iscritto nella lista dei cento siti di interesse del Mediterraneo. Situato nel sud dell’isola, a nord di Propriano, conserva 8000 anni di storia e attira visitatori affascinati dalla bellezza dei resti archeologici e dalla ricchezza dell’ambienta naturale.
La posizione favorevole, vicino al fiume Taravo, e la presenza di numerosi ripari sotto roccia hanno predisposto la zona di Filitosa ad una lunga occupazione da parte dei nostri antenati. La prima occupazione dell’uomo corso a Filitosa risale a VI millennio a.C., periodo corrispondente al Neolitico antico.
A questa epoca risale la presenza dell’ossidiana, una roccia nera di origine vulcanica, che però non si trova naturalmente in Corsica. La roccia veniva probabilmente importata dalla Sardegna, ciò testimonia che già a quel tempo i Corsi comunicavano con i vicini Sardi.
Ciò che rende Filitosa così originale e importante è la presenza di numerosi menhir dalle sembianze antropomorfe.
Il menhir è il monumento megalitico più semplice, costituito da una pietra unica posizionata in verticale, risalente al III millennio a.C., ovvero il periodo corrispondente al Neolitico recente. Sebbene la regione più famosa per i megalitici sia l’Inghilterra, la Corsica custodisce il maggior numero di Menhir di tutta Europa. In tutta l’isola, infatti, se ne contano 500, un fatto raro poiché non vi sono molti Menhir nel bacino del Mediterraneo. Inoltre, i Menhir corsi si distinguono da altri perché recano delle incisioni
che conferiscono alle statue delle sembianze umane.
Il vero significato dei Menhir rimane tuttora un mistero. Potrebbero essere simboli fallici, che furono eretti dei contadini che speravano così di rendere fertile la terra, oppure potrebbero essere i capi dei guerrieri morti o ancora potrebbero avere una motivazione religiosa. Infatti, nell’età del Bronzo, quando le religioni primitive lasceranno posto ad altre credenze, le statue Menhir saranno sostituite da altre costruzioni, ovvero le torri.
Dunque, l’origine di queste costruzioni rimane misteriosa e ci si domanda perché proprio in questa isola ci siano così tanti Menhir e soprattutto perché gli antichi Corsi, a differenza di altri popoli, abbiano voluto incidere le loro statue per renderle “umane”.
La scoperta di Filitosa
Le ricerche della fine dell’800 da parte dell’ispettore dei monumenti, Prosper Mérimée, avevano rivelato che la Corsica era ricca di testimonianze antiche, tuttavia non aveva ritrovato niente di particolare a Filitosa, definendola semplicemente il luogo “dove crescono le felci“. Solo nel 1946, il proprietario del sito, Charles Antoine Cesari, scoprì alcuni Menhir e diversi resti di costruzioni antiche. Fu poi Roger Grosjean che si occupò degli scavi, che insieme all’aiuto di Cesari contribuì a rendere il centro di Filitosa uno dei più importanti punti di interesse archeologico della regione. L’apertura al pubblico è possibile solo da alcuni decenni, prevede una prima parte di passeggiata all’aperto attraverso le diverse statue, e una seconda parte di visita del museo.
Chissà, se a distanza di qualche anno, anche la “Riviera delle Palme”, non diventi la “Riviera dei simboli fallici”, perché di umano, anche se stilizzato, non ha niente.
Alesben B.