Questa settimana la tastiera del computer ha chiesto una pausa… di riflessione. Niente aggiornamenti/cronache sui tanti silenzi, sulla vita quotidiana della nostra comunità, per lasciare spazio ad un semplice, indimenticabile ricordo di due delle tante notti vissute sul mare di Noli d’estate, alla pesca delle acciughe, assieme ai miei compagni di lavoro pescatori professionisti. Questo accadeva molti, molti anni fa.
Ho scelto due episodi della mia giovinezza come i più interessanti per trascorrere insieme cinque minuti di relax: uno sulla barca madre, l’altro sulla barca con il fanale della “lampara”.
Per gli “ignoranti” in materia… la pesca della “lampara” vulgo “a lampadda” era così organizzata: ogni “compagnia” (con il nome o soprannome del proprietario) era costituita dalla barca madre con la rete a bordo (a lampadda, appunto), oltre due o tre barche con il chiaro “u ceu“. Sulla barca madre l’equipaggio variava da quattro/sei persone, sul chiaro un solo elemento.
Il primo episodio si riferisce all’imbarco (per quell’anno), sulla barca madre di Manuelin Robatto.
Dopo diverse notti, Manuelin, incuriosito dalla mia propensione a voler occupare sempre il solito posto alla voga, di prua, sul remo del lato destro, mi ha posto la domanda: “perchè?”. La risposta, ingenua, ma altrettanto sincera è stata:” perchè occorre meno forza“.
sulla barca da pesca in mareEro fresco di studi nautici… nel tirare la barca sulla spiaggia avevo notato che la chiglia era leggermente arcuata. Questa disfunzione sulla chiglia produceva un effetto “timone” verso sinistra, per cui la forza da imporre sui remi sul lato destro risultava, naturalmente, leggermente inferiore a quelli del lato sinistro.
Manuelin non gradì questa “furbata...” la vogliamo definire così? Di conseguenza quel posto sul banco mi fu interdetto!!!
Sempre su quella barca madre, una notte, in attesa del momento di operare con la rete, sdraiato a pagliolo nel dormiveglia, Arveno (nipote di Manuelin), con un tappo bruciacchiato mi disegnò due baffi sotto il naso. Inconsapevole dello scherzo, la mattina sul mercato il “ragazzino dormiglione” fu oggetto di benevole risatine da parte dei presenti.
Anni dopo, anni ’80, il “maestro” fotografo Roberto Croce mi immortalava, a mia insaputa, in questa foto che conservo gelosamente; la barca è stracolma di pescato in attesa di raggiungere la riva per essere scaricata, cassetta dopo cassetta da dieci chili, sulla battigia.
Imbarcato su una delle tre barche (due ancora esistenti) con il chiaro a sei reticelle alimentato dal gas in bombola della compagnia dei “Peccetti“, tutte le sere ricevevo da Vittorio (Giacomo Gambetta) l’indirizzo dove appostarmi.
Ricordo, in particolare, una serata dove tutte tre le barche con il chiaro furono inviate sulla “posta del campanile” (poco più al largo dell’allineamento galleria di Capo Noli con l’isola di Bergeggi e davanti al campanile della cattedrale).
Verso mezzanotte, Vittorio mi suggerisce di scostarmi verso il largo. Nella calma della notte, quasi inconsapevole, mi allontano di molto verso il largo, sinchè mi imbatto in un passaggio di sgobri “lascertin“. Ritorno in direzione Capo Noli, (zona ponti) dove, una volta circuito, dopo aver caricato al massimo della capienza tutte tre le barche oltre la barca madre, il resto del gruppo di pesce fu liberato dalla rete.
Il guadagno di quella notte fu nettamente superiore alle altre con ugual cattura di acciughe, perchè il valore sul mercato dei “lascertin” risultava superiore.
Non mi risulta che una “pescata” del genere si sia ripetuta…ricordo solo che allora era stata enfatizzata!
Nostalgia, si, tanta nostalgia di vita vissuta tra “uomini” veri e natura selvaggia, da cui ho imparato a vivere e convivere, nel rispetto delle regole per una serena convivenza. Per questo mi reputo un “nolese” fortunato.
Lutti cittadini
Ettore Cuppari, 83 anni, ha lasciato moglie e figlia, parenti. Nolese d’adozione, da diversi anni si era trasferito da Noli. Coetaneo, da allievi delle scuole elementari, ricordo un nostro “duo” teatrale nella chiesa di San Giovanni: “I due vecchietti”.
Carlo Gambetta