Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

Settimanale d’informazione senza pubblicità, indipendente e non a scopo di lucro Tel. 350.1018572 blog@trucioli.it

Un mito e un mistero durato due secoli. La leggenda del Buranco (da Cruxe) dal racconto di Baccio Emanuele Maineri


La leggenda del Buranco (da Cruxe).  Streghe, folletti ed apparizioni in Liguria. Un mito e un mistero durato secoli, racconto da Baccio Emanuele Maineri.

di Ezio Marinoni

Baccio Emanuele Maineri, di cui ci siamo già occupati su Trucioli del 7 dicembre 2023:

https://trucioli.it/2023/12/07/toirano-chi-era-baccio-emanuele-maineri-traduttore-di-e-a-poe-e-narratore-della-leggenda-del-buranco-frequento-il-collegio-dei-barnabiti-a-finale-e-il-seminario-vescovile-di-albenga/, nel 1898 dà alle stampe il suo volume che si intitola La leggenda del Buranco, con un sottotitolo assai accattivante: Streghe folletti e apparizioni in Liguria.

In questo libro tipicamente ottocentesco possiamo trovare una messe di informazioni sui luoghi, usi e costumi, tradizioni, leggende e credenze popolari.  Soffermiamoci soltanto sul Buranco. A pagina 15 della ristampa messa a disposizione dal sito Liber Liber (www.liberliber.it) leggiamo: «A Toirano — vecchio e importante borgo del mandamento d’Albenga, nella provincia di Genova, il quale sorge in capo alla valle del Varatella, fiumicello che mette foce a levante di Borghetto Santo Spirito — si dà il nome di Buranco, pronunziato con u stretta, francese o lombarda, a un’ampia e profonda voragine della soprastante Alpe marittima, in vicinanza del Giovo, e perciò in quel di Bardineto; la quale propriamente si apre sopra la regione della Zotta, o conca dei prati. Ignaro e credulo, il popolo serbò sempre intorno ad essa credenze strane, inventando le più curiose storie con senso di superstizione e di paura.»

Procediamo, fino a pagina 29 del testo citato, quando avviene un incontro che sa di magico e arcano. «I nostri occhi si posarono sul vecchio, che, calmo e impassibile, se ne stava rannicchiato nell’angolo del focolare. In vero, sinché le celie e i frizzi avea preso argomento dal cattivo tempo e noi, più o meno, ci s’era divertiti alle spalle di Pelacane, Ginepro, per quanto in apparenza indifferente, ne rideva anche lui, mostrando almeno di far buon viso allo scherzo, o non volendo forse parer ruvido e scortese. Se non che, quando i discorsi presero altra via, fermandosi sulle rivelazioni di Pelacane, e soprattutto sulla storia dell’esplorazione del Buranco, egli, mutando contegno, parve altr’uomo: nascosto il volto fra le palme, stette a sentire pazientemente sino alla fine. Per la qual cosa, alla domanda inaspettata, levato il capo e dando un’occhiata al fienile, rispose seccamente:

— La mia opinione? E che importa la mia opinione? Quanto a persuadere….

— Non è per me, Ginepro, ma per questi signori.

— La voglion proprio sentire?

— Tutti! Tutti!

— Eh, se ne dicon tante — fece con una scrollatina di spalle — intorno al Buranco, che almeno qualcuna merita d’esser creduta!

— Parole d’oro; ma, come udiste, qui si parla del diavolo, e del diavolo in persona, che può sol comparire in articulo mortis, e nei sogni d’un malato.

— E si parla — aggiunse un altro — della via dell’inferno, donde viene un calore insopportabile e un fuoco denso da soffocare il temerario che ardisce esplorare la voragine. Bene, che ne

pensate voi di queste storie?».

Che storia è mai questa, dunque? Ne ha parlato diffusamente, sulla rivista Stalattiti e stalagmiti, n. 22, anno 1996, il prof. Rinaldo Massucco, (dallo scorso anno Presidente della Società Savonese di Storia Patria) in veste di giovane speleologo associato al Gruppo Speleologico Savonese. Egli scriveva, in quella occasione, nell’articolo intitolato Buranco da Cruxe: storie, leggende, morti e delitti:«Fin dai tempi più lontani il fascino esercitato dall’orrido della voragine con cui si apre il Buranco da Cruxe (spettacolare, ma modesta cavità verticale che strapiomba nel vuoto per 25-30 metri a seconda del lato dal quale ci si affaccia) si unì al senso dell’ignoto e del mistero e i pochi montanari che ne conoscevano l’imbocco favoleggiavano di tenebre senza fondo, con un secondo pozzo che si sarebbe spalancato sotto al primo ripiano, a malapena visibile dall’esterno.»

Gli ingredienti del mistero e del mito ci sono tutti, a partire dalla scrittura di Maineri. «Adunque, non venne mai fatto alcun tentativo per esplorare il bàratro?» (pag. 94). Prova ad esplorare questo antro un coraggioso loanese: «Dura ancor viva negli animi de’ buoni loanesi la memoria del signor Giovan Battista Lanteri — volgarmente o sciô Baciccia —, morto il 9 settembre 1879 in età di ottantanove anni, essendo egli nato nel 1790 da Felice e da Maddalena Scarella dei marchesi di Pornassio, secondo i registri dello Stato civile.

Era uomo di non comune coltura, versato nella letteratura italiana, latina e inglese, di modi gentili e d’animo buono, piacevole nel conversare, facile ai motti e a narrar aneddoti, dei quali soleva quasi fare sfoggio nel Caffè del Commercio, di compianta memoria, il quale s’apriva presso che dirimpetto alla piazzetta dell’Uffizio postale (…)».

Il suo tentativo non va a buon fine. Sarà più fortunato, nel 1891, un certo Pietro Canavese. Leggiamo ancora da Maineri:

«Un mattino di settembre del 1891 certo Pietro Canavese nativo di Serra di Pamparato, ma

vissuto quasi sempre a Toirano, giovane appena sopra i vent’anni, e un Ambrogio Vigliano, toiranese, a un di presso della medesima età, il quale si trova adesso in America, presero la via del Giovo, col deliberato proponimento di calarsi nel Buranco. Giunsero lassù provvisti di corde,e tosto diedero mano ai preparativi. A Toirano non ne avean fatto punto parola ad alcuno, salvo che ad un Andrea Maineri, giovane diciassettenne, e a un suo compagno, Giovan Battista Cavo, sui tre lustri, i

quali dovevano recarsi quel mattino stesso coi muli a raccôr fogliame secco, com’è costume del paese; in fatti, i due giovinotti raggiunsero i compagni sul luogo, proprio allora che il Canavese stava tentando la discesa. Quell’arrivo fu una provvidenza, poichè i primi non avendo portato del canapo a sufficienza, si sarebbero poi trovati a mal partito nei momenti difficili dell’esplorazione, e quindi nell’impossibilità di venirne fuori, pur se compiuta felicemente.

Pertanto, legata una grossa corda a un tronco di albero, il più resistente che trovarono sulla

ripa, la lanciarono nel profondo, e il Canavese afferrandola, vi si affidava a cuor leggiero, lasciandosi dalla bocca, andar giù penzoloni, mentre i compagni stavano a osservare. Sdrucciolando bel bello, percorse uno spazio di cinque o sei metri, e si fermò a pigliar lena; quindi giù ancora scivolava coraggiosamente nel vano per altri quattro o cinque metri, sinchè gli riuscì di posare i piedi su d’una sporgenza, o masso; sul quale prendendo respiro, seguitò di nuovo a lasciarsi andare per altri sei o sette metri; nel qual punto incontrava altra sporgenza, da cui ottenne un breve e poco fido appoggio. La lena cominciava a mancargli e con la lena la fiducia; guardò all’ingiù nel pozzo, e la profondità gli apparve incalcolabile e terribile. Osservando in alto, non si sentiva capace a rifar la salita; durarla sospeso, impossibile intanto la corda gli scivolava di mano….

Giù e giù, e’ perdette ogni energia, chiuse gli occhi…. e precipitò.

Fortuna volle che la profondità paventata, fosse, relativamente, breve: da otto a dieci metri; e

volle ch’ei cadesse sopra uno strame di fogliame secco, da tre o quattro metri, secondo gli parve, di

spessore: onde nessun danno. Rimase però come intontito (…)».

I misteri sembrano non finire, in questo luogo, anzi se ne aggiungono di nuovi, di tempo in tempo. Riprendiamo il racconto del professor Massucco.

«Non ci è pertanto stato ancora possibile verificare se corrisponde a verità quanto parecchi Bardinetesi sostengono tuttora, circa l’asserita uccisione di diversi militari della retroguardia tedesca, nel 1945, da parte di reparti partigiani che operavano nella zona: i Tedeschi (vivi o morti?) sarebbero stati scaraventati nel Buranco e i loro corpi sarebbero poi stati recuperati alla conclusione della guerra.»

Un ultimo mistero si aggiunge ai precedenti, descritto nell’articolo di Massucco.

«Proprio quest’anno i quotidiani hanno trattato a lungo di un ritrovamento avvenuto nella grotta, che sembrerebbe in qualche modo confermare le antiche credenze popolari e l’ipotesi azzardata dal Maineri.»

Alessandra Costante scrive il 18 aprile 1996 su Il Secolo XIX: «E’ una terra di misteri, la Val Varatella, di gialli insoluti e di macabri ritrovamenti. Da una grotta della vallata, un profondo cunicolo proprio al confine tra Toirano e Bardineto, ieri sono stati estratti resti umani, un teschio e alcune ossa».

Due giorni dopo, Luciano Corrado, sulla medesima testata, scrive: «La” grotta dei misteri”, forse degli orrori, nasconde anche le ossa di un bambino? A 48 ore dalla scoperta di ossa umane (… ) tutto si complica maledettamente. E’ pacifico che quelle ossa, alla fine della scorsa estate, non erano nella grotta. Gli speleologi sono ripetutamente scesi fino a toccare il fondo del “buranco”, ma non si sono mai accorti di nulla.».

Il Pubblico Ministero Alberto Landolfi è incaricato dell’inchiesta, gli approfondimenti scientifici vengono affidati ai professori Fornicola e Bistarini. Che ne è stato di quei reperti e di quegli esami? Mistero nel mistero, forse il Buranco è davvero maledetto?

Un’ipotesi un poco fantasiosa potrebbe collegare la leggenda del Buranco da Cruxe di Bardineto al ricordo ancestrale di riti, come a Borniga di Realdo (IM): un luogo chiamato “Pozzo del Diavolo” (1) dagli abitanti, da tempi immemori, con un vallone sottostante denominato “Vallone dell’Infernetto”. Di questa altra località si è occupato anche Nino Lamboglia (Porto Maurizio, 7 agosto 1912 – Genova, 10 gennaio 1977) nel suo lavoro “Borniga di Realdo”, (2) in Archeologia in Liguria. Scavi e scoperte 1967 – 1975, a cura della Soprintendenza Archeologica della Liguria, Genova, 1976 (1).

Note

  • Dal 1947 Realdo è una frazione di Triora, il paese delle streghe e del famoso processo inquisitorio. Alle due località Valeria Miceli ha dedicato la sua tesi di laurea dal titolo ‘Triora e il Paese delle Streghe’ – Vita e mutamenti di un borgo dell’estremo ponente ligure”.
  • A Nino Lamboglia la Società Ligure di Storia Patria ha dedicato il Vol. XLVI (CXX) Fasc. I della Nuova Serie: Dino Puncuh – All’ombra della Lanterna – Cinquant’anni tra archivi e biblioteche – 1956-2006

Avatar

Ezio Marinoni

Torna in alto