Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Toirano, chi era Baccio Emanuele Maineri. Traduttore di E.A. Poe e narratore della leggenda del Buranco. Frequentò il collegio dei Barnabiti a Finale e il Seminario Vescovile di Albenga


Nel 1858, a Torino, appare una traduzione anonima dei racconti di Poe, col titolo Storie orribili; nel 1869 a Milano, segue il titolo Storie terribili a cura di tale Baccio Emanuele Maineri.

di Ezio Marinoni

Baccio Emanuele Maineri (Bartolomeo all’anagrafe)

Maineri è uno scrittore dal gusto “guerrazziano”: Guerrazzi è uno dei maggiori narratori del genere “gotico”, nel panorama del romanzo storico. Maineri stesso scrive: Guerrazzi! Il nome suscita sempre nel mio petto un senso di ammirazione e di riconoscenza, perché devo specialmente ai suoi scritti il primo palpito della fede patria, il primo battito dell’amore d’Italia; è lui che venne a diradare le tenebre che facevano velo alla ragione e alla mente. La verità è una sola e nessun onesto la contraddice: tutta la gioventù di quei tempi (quella che non aveva il cuore di stoppa e l’intelletto ottuso dalla superstizione e dall’ignoranza) sentì il fascino delle opere di lui, si scosse, meditò e pianse. Le parole di Mazzini suonavano più magistrali e solenni, la voce di Guerrazzi rumoreggiava terribile, come quella dell’angelo del giudizio finale. (1)

Un anno prima del Maineri, nel 1857, Eugenio Salomone Camerini (2), che si firma K., per la prima volta in Italia, traduce alcuni racconti di Poe, sulla rivista di Torino “Il Gabinetto di Lettura”. Sono trascorsi sette anni e mezzo dalla morte di Poe, e i racconti appaiono a partire dal 4 aprile 1857.

I racconti sono: “Il cadavere magnetizzato” (The Facts in the Case of M. Valdemar, 1845), 4 aprile 1857; “Il cuore rivelatore” (The Tell-Tale Heart, 1843), 25 aprile 1857; “Il gatto nero” (The Black Cat, 1843), 9 maggio 1857; “Berenice” (Berenice, 1835), 12 settembre 1857.

Segnaliamo che il termine “magnetizzato” (nella versione dialettale “magnetisà”) è stato dato, pochi anni dopo, ad una comunità ereticale che aveva il suo profeta in don Francesco Grignaschi, con tanto di Maddalena al seguito, per i fatti avvenuti dal 13 aprile al 9 giugno 1849, nel piccolo paese di Viarigi, in provincia di Asti.

Tornando al Nostro, chi era, dunque, Baccio Emanuele Maineri? Il suo nome all’anagrafe è Bartolomeo (Baccio) Emanuele; nasce a Toirano il 21 agosto 1831. Frequenta gli studi presso vari istituti liguri: dapprima al Collegio Ghiglieri di Finale Marina, retto dai Barnabiti, dove ha come maestro il padre Pesce, che egli ricorderà sempre con simpatia; poi al Seminario di Albenga (3), come alunno esterno; infine, al Collegio Oddo (4).

Maineri si arruola volontario nell’VIII Reggimento di Fanteria a Mondovì, ne ritorna ammalato; congedato, si dedica alle sue passioni, la ricerca e la letteratura, a sfondo storico. Esordisce con Ubaldo, racconto rosa dedicato alla memoria della madre nel quale compaiono descrizioni di Genova e della chiesa dell’Annunziata di Pietra Ligure (5). Segue Lionello, in cui narra la vicenda di un ragazzo durante l’assedio asburgico di Venezia del 1849. E ancora Evangelina Guerri, riguardante episodi rivoluzionari in Sicilia contro i Borboni.

Maestro di scuola a Loano, inizia una carriera di impiegato ai telegrafi; si trasferisce, infine, a Roma, dove lavora come bibliotecario e direttore tecnico del Ministero dei Lavori Pubblici.

In letteratura avverte l’influsso del Guerrazzi, del quale ama i lati più bizzarri; per un periodò cerca di imitare E.A. Poe, aiutato da una fervida immaginazione. De Gubernatis afferma che “difese energicamente la moralità delle Lettere contro i loro corruttori, e intraprese contro di essi una campagna non infeconda”.

Durante il Risorgimento, sarà in relazione con Giuseppe Mazzini, Aurelio Saffi, Giuseppe Garibaldi, Alfredo Baccarini e Benedetto Cairoli.

Dal 1862 al 1877 soggiorna a Milano, dove aderisce alla Scapigliatura; ha contatti con molti personaggi che vi militano, coi quali stringe intensi legami di amicizia, in particolar modo con Cletto Arrighi, Igino Ugo Tarchetti e Stefano Canzio.

Lavora come direttore letterario ed artistico del «Diritto», uno dei più autorevoli giornali della capitale, e direttore dell’«Ateneo Italiano» periodico di Tito Mammoli. Collaboratore di vari giornali e riviste, autore di una sessantina di testi, che possono dividersi in tre grandi tematiche: lavori storici; testi educativi, biografici e critici; romanzi e racconti. Dedica alla Liguria opere come Ingaunia (1884); Le conchiglie del Torsero e i turchi al Ceriale (1890), che ricorda un tragico fatto avvenuto il 2 luglio 1637; La leggenda del Buranco (1900), con il sottotitolo “Streghe, folletti e apparizioni in Liguria”. Muore a Roma il 24 marzo 1899.

A Baccio Emanuele Maineri sono intitolate una strada e la biblioteca civica nella natia Toirano.

Del “Buranco” abbiamo già accennato in occasione del 2 novembre scorso con l’articolo: https://trucioli.it/2023/11/02/2-novembre-giorno-dedicato-ai-defunti-usanze-e-memorie-di-un-tempo-la-leggenda-del-buranco e ritorneremo sul tema, con un approfondimento specifico.

E’ importante sottolineare come una riscoperta del Maineri, che riteniamo abbia una forte attualità tematica e culturale, non possa prescindere da una ristampa aggiornata e da una riedizione critica delle sue opere maggiori, per inquadrare l’autore nella sua epoca e attualizzarne l’ispirazione ed il linguaggio.

Ezio Marinoni

Note

  • E. Maineri, Ingaunia, Senato, Roma 1884, pp.157-160, in Gianluigi Bruzzone, Edouard De La Barre Duparcq e Baccio Emanuele Maineri: due scrittori negletti, “Miscellanea storica ligure”. Studi in onore di Luigi Bulferetti, XVIII, n° 1, Università di Genova – Istituto di Storia moderna e contemporanea 1986, p. 59.
  • Eugenio Salomone Camerini (Ancona, 13 luglio 1811 – Milano, 1º marzo 1875). Allievo di Basilio Puoti. Si trasferisce prima a Firenze, dove svolge attività giornalistica, poi a Torino, dove soggiorna fino al 1859; collabora a riviste letterarie e quotidiani, usando vari pseudonimi e assumendo il nome di “Eugenio”. Qui conosce Massimo d’Azeglio, di cui scrive poi un profilo apparso nel 1861 nella collana «I contemporanei italiani» della UTE di Torino. Nello stesso periodo torinese collabora con «Il Crepuscolo» di Carlo Tenca, tenendo una rubrica che s’intitolava “Corrispondenze letterarie dal Piemonte”. Grande risonanza avrà La Divina Commedia illustrata da Gustavo Doré e dichiarata con note tratte dai migliori commenti per cura di Eugenio Camerini per l’editore Sonzogno (1868).
  • Il Seminario di Albenga oggi ha sede in un moderno edificio fronte mare, in passato si trovava nel centro storico.
  • Il Collegio Oddo è sorto nella prima metà del Seicento per iniziativa del nobile giureconsulto Gio Maria Oddo che, nel testamento (1628), destina la sua casa e i suoi beni a un collegio per gli studi dei giovani di Albenga e del territorio, soprattutto poveri e meritevoli; altrettanto fa con la fondazione del monastero di San Tommaso, per educare ed istruire le fanciulle. Il Collegio maschile inizia a funzionare subito dopo la morte del fondatore; si acquisiscono a poco a poco le case adiacenti a quella del fondatore e si costruisce la chiesa di San Carlo annessa al Collegio, affidato di volta in volta a Gesuiti, Scolopi e sacerdoti secolari; ottenuta nella prima metà dell’Ottocento la proprietà dell’intero isolato e della torre, se ne compie la ristrutturazione, unificando il complesso. Un nuovo edificio scolastico sorge nel 1940, e l’antico Collegio passa in proprietà al Comune di Albenga. L’intero complesso, restaurato a fine Novecento, ospita oggi la Biblioteca Civica, e il Museo “Magiche Trasparenze”; è sede di mostre e conferenze, anche nella chiesa di San Carlo, divenuta auditorium.
  • La Chiesa della Santissima Annunziata, a Pietra Ligure, detta “A Nunzià”, è l’oratorio che si trova vicino al passaggio a livello a ovest del centro storico, con ingresso laterale in via Garibaldi. Dopo una lunga storia, dal 1979 è affidata alla Confraternita di S. Caterina che continua ad officiarla; vi sono custoditi i cinque preziosi crocifissi artistici della Confraternita, il più grande dei quali pesa 140 chili.

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Ezio Marinoni

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