È parte integrante de Il Sito di Importanza Comunitaria “Finalese – Capo Noli” (IT 1323201) che si estende per un’area di circa 2.800 ettari. Geologicamente, l’area presenta aspetti peculiari che la rendono unica.
di Alesben B.
Il “Ciappo del sale” (in genovese detto Ciappu du sa), si trova nell’immediato entroterra del finalese, a 320 m s.l.m., vicino al paese di Revelli, frazione di Vezzi Portio, in località Rocca degli Uccelli, a metà strada su una mulattiera che conduce verso la località di Rocca di Corno. Dei tre “ciappi” con incisioni rupestri nel finalese, è il più comodo e accessibile.
La roccia si presenta piatta, di forma pentagonale irregolare, con il lato più lungo di 37 m e quello più corto di 7 m. Presenta incisioni rupestri simili a quelle del “Ciappo delle conche” e del “Ciappo dei ceci”, con figure umane a forma di croce, vaschette, coppelle e altre figure di ignoto significato, come una figura rotondeggiante a raggiera unita ad un triangolo e una figura rotondeggiante irregolare con un punto nel centro. Lungo il lato più lungo della pietra, si scorgono ancora oggi tracce sul calcare del passaggio dei mulattieri e dei buoi aggiogati ai carri, come è rappresentato in tante incisioni rupestri della Valle delle Meraviglie.
II termine “ciappo” è dialettale e con esso si intende indicare una lastra di pietra; quindi evoca l’immagine di un altare primordiale o di uno spazio su cui i primi abitatori di quest’area hanno lasciato testimonianza del proprio passaggio. Le incisioni graffite furono prodotte dall’uomo che iniziava ad organizzarsi in piccoli gruppi dediti alla pastorizia o all’agricoltura e possono essere avvicinati ad una forma di scrittura nei cui segni era collegata la rappresentazione di un oggetto reale con il suo significato irrazionale.Attraverso i segni incisi nella pietra spesso veniva descritto ciò che appariva e nello stesso tempo ad essi veniva connesso un significato di sacralità.
Ciò sembra essere confermato dalla leggibilità sul Ciappo del Sale di “figure oranti”. Rappresentazioni analoghe sono state rintracciate nel patrimonio vastissimo di incisioni rupestri della Valcamonica: ad esse è attribuito il significato di rappresentare il passaggio dall’uso del graffito per individuare oggetti concreti ad un uso che rappresenta concetti astratti.
Naturalmente non è possibile definire con precisione i messaggi affidati al segno inciso poiché ci sono ignote le condizioni, materiali e psicologiche, in cui questi sono stati prodotti.Oltre le figure sopraddette sono leggibili sul ciappo croci di vari tipi e croci coppellate; queste ultime appartengono probabilmente ad un’età di molto posteriore all’incisione originaria e le coppelle sarebbero una soprammissione.
La croce in forme variamente elaborate appartiene ad una simbologia che si perde nella notte dei tempi ed è stata ripresa ed investita di nuovi significati dal Cristianesimo nel quale rimane un essenziale riferimento culturale.
Un’ultima osservazione sul tracciato del piccolo canale che ha forma irregolare di linea spezzata dal quale venivano convogliata a terra acqua o, possiamo supporre, sangue di animali immolati.Attraverso le incisioni (graffiti, coppelle e canaletti) sulla lastra di pietra l’uomo simboleggiava uno stretto contatto che veniva a instaurarsi fra sé e una divinità originaria identificata con la Terra Madre.
Il segno inciso rappresentava la traccia mediante la quale l’uomo cessava di essere solo e si univa alla creazione. È altrettanto evidente che alle vicende della terra ed ai suoi prodotti era affidata la sopravvivenza del gruppo e quindi il rapporto col sacro che noi oggi interpretiamo come trascendente ed invisibile si materializza nelle incisioni delle pietre.
Per raggiungere il “Ciappo del Sale”[[2]] è necessario arrivare a Portio, che si trova sulla strada che da Spotorno porta a Finale. Salendo da Noli si percorre la strada che porta a Voze e quindi si prosegue per Magnone e all’incrocio di S.Libera si prosegue per Portio – borgata Rocca. Superato l’abitato, si incontra su un tornante una strada sterrata che esce diritta dalla curva; questa porta al ciappo.
All’inizio sembra più il letto di un torrente, poi diventa pianeggiante e si inoltra nel bosco tra i pini. La segnaletica non è così evidente, ma quando si incontra un bivio, quasi a forma di T, proseguendo sulla destra si arriva in uno spiazzo erboso in prossimità del ciappo. Qui si trova non solo il cartello informativo sul sito, ma si ritrova anche il percorso attrezzato per i non vedenti che proviene da San Giacomo di Magnone. La zona dove si trova il lastrone di pietra non è a più di una decina di metri dallo spiazzo e dal cartello.
BORGATA ROCCA- La Borgata Rocca, a detta degli anziani, era tutta circondata, nel suo perimetro, da un porticato in pietra con volte a crociera. A metà dell’erta che conduce allo spiazzo di sommità s’incontra un cavedio a pianta trapezoidale e nel suo baricentro, nelle notte d’estate si può ammirare la Stella Polare. Ora il porticato, complice l’incuria e l’abbandono, non esiste più; rimangono brevi tratti dove si può idealmente ricostruire.
Negli anni 1936/37 i signori Revello Onorato e Sestimio, come da fonti orali, (rispettivamente delle classi 1914, 1919) transitavano sul ponte di Portio con carri carichi di legname da vendere a Finale Ligure. Abitando a Portio (frazione di Vezzi Portio) sceglievano il percorso più rapido della Val Ponci, tramite sentiero vicinale che da località Rocca, Colla di Punci porta sul secondo ponte, anziché quello dell’attuale strada provinciale Vezzi – Finale Ligure. Ma ben presto lo abbandonarono perché il ponte non era sicuro e dava cenni di cedimento. Sulla precarie condizioni del ponte negli anni 1953 vennero eseguiti considerevoli restauri di rinforzo dell’imposta rinforzo dell’imposta (LAMBOGLIA 1954a, pp. 13-14).
F13 AMOROSI (ca d’Amorosu)
CAT.NAP.1: Hameau Amorosi.
CAS.1833-54: quartiere Amorosi.
La contrada, tuttora abitata, deve il suo nome alla famiglia Amoroso. Il cognome compare già, nella forma Amarosus in un documento del 1451, e a partire dal 1554 compare come Amoroso nell’elenco dei defunti della Confraternita di S. Bernardo di Portio [[3]].
F13 BORGHI (in ti burghi)
GUST.1799: Borghi.
CAT.NAP.1: Hameau Borghi.
CAS. 1833-54: quartiere Borghi.
Il toponimo deriverebbe dal latino burgus, “borgo” col significato di nucleo abitativo (AVL 2002I-1 p.185). Dell’antico quartiere rimangono alcuni edifici, ridotti a rudere, tra i quali il palazzo che ospitava la prima sede comunale del 1871.
F 14 BRIC BERBA (a berba)
GUST.1799: M.te Berba.
IGM 1930: Bric Berba.
La Berba toponimo (Segno-SV) anno 1443 “prope montem qui dicitur la berba”(AVL 2002 I-1 p.146 ); anno 1645 “a confini del Segno, di Spotorno e di Finale” (AVL 2002 II-1 p. 126).
Il nome Berba nelle carte appare affiancato a bric; briccu nella Liguria centrale ha significato in particolare di “cima o area montana, ove si svolge il pascolo”, l’etimologia è ignota (PEL 2002 p.8).
F 14 (in cùgno)
CAT.NAP.1: Valle de cuneo.
Il microtoponimo rappresenta una zona compresa tra il torrente Cassigliano e il rigagnolo limitrofo. Elemento toponomastico esteso, dal latino “cuneus”; si riferisce ad un “cuneo di terreno”, cioè ad una striscia di terreno fra due corsi d’acqua. (AVL 2002 I-1 p.319).
F 14 PORTE DI SPAGNA (e purte de spagna). Il toponimo nelle carte catastali moderne non compare esplicitamente ma una delle principali strade comunali porta questo nome e ha proprio inizio nel luogo, dove rimangono i ruderi di alcune costruzioni.
GUST.1799: Porte di Spagna.
CAT.NAP.1: Porte d’Espagne.
CAS.1833-54: “Nel quartiere Amorosi, precisamente sulla principale strada del comune, vedesi un antico riparo o fortino, a cui si dà il nome di Porte di Spagna;…”
Si aggiungano a queste fonti: un disegno del 1689 realizzato per una controversia relativa ai confini tra la comunità di Vezzi e quella di Portio dove viene disegnato un edificio con una parte a forma triangolare e una a parallelepipedo che potrebbe rappresentare un posto di guardia connesso con le Porte di Spagna [[4]]. Mentre nell’acquerello di L’Epinoise: “Vue prise de la Porte d’Espagne près Vezzi Portio, 21 Octobre 1868”, abbiamo anche la rappresentazione del loro stato a metà del XIX secolo [[5]]
Nei pressi dell’attuale sede comunale, lungo la strada che porta alle Rocche Bianche, rimangono, tra la boscaglia, alcuni muri con feritoie e una mezza volta a botte intonacata. Questi ruderi rappresentano le Porte di Spagna, o almeno potrebbero coincidere con una fase costruttiva a loro connessa.
Le Porte di Spagna, secondo la tradizione locale segnavano uno dei confini dei Marchesi del Carretto e a queste mura sono legate una lunga serie di aneddoti che hanno come principali protagonisti le guardie che piantonavano il confine.
La costruzione delle Porte di Spagna, risalirebbe al 1649, in occasione del passaggio nel Finale di Maria Anna d’Austria che andava in sposa a Filippo IV, re di Spagna. In suo onore vennero eretti due archi celebrativi: uno all’entrata delle terra del Finale (le Porte di Spagna) e l’altro in mezzo alla terra del Finale.
In un discorso di viabilità antica è decisamente significativo che le Porte di Spagna o meglio, la porta di Spagna, o arco, siano state costruite in questo luogo, che si pone come incrocio di strade maggiori come quella per Mallare e il colle di S. Giacomo, da dove giunse la reale sposa, quella per Finale e una serie di vie minori.
F 14 contrada FUSASCHE (e fusasche)
GUST.1799: Fusasche.
CAT.NAP.1: Hameau Fusasche.
CAS.1833-54: Fusasche.
IGM 1930: Fusasche.
L’insediamento, in base alla documentazione continua ad essere abitato in modo continuativo almeno dal XVIII secolo. Il toponimo non trova una chiara spiegazione. Il suffisso –asc– rientra nella categoria di quelli usati dai Liguri-romani per indicare le proprietà in unione al nome delle singole gentes. Un esempio di questo tipo di nome, si trova non lontano: località Isasco sull’altipiano delle Manie.
F 14 contrada MONTEGIO (muntoggio ). La contrada non viene citata né dal catasto napoleonico né dal Casalis, questo potrebbe indicarne una nascita piuttosto recente. Dal punto di vista toponomastico, un nome può derivare dal tipo “montem” (AVL 2002 I-2 p. 98).
F 17 CASTELLETTO (castéllettu). Secondo il Lamboglia in mancanza di ogni traccia di opera di difesa, la voce castellum è da ritenersi usata nel senso metaforico di “altura”. (TOP.A.L. p.52).
F 17 SANTA LIBERA (santa Libbia)
GUST.1799: S. Libera.
CAT.NAP.1: Chapelle de S. Libera.
IGM 1930: S. Libera. Il toponimo non indica soltanto la cappella dedicata alla santa, ma la regione, piuttosto ampia, circostante ad essa. La cappella si trova topograficamente all’incrocio di diverse strade, questa caratteristica è riscontrabile anche in molti altre località. Il nome della santa, (Libera) che svolgeva una funzione di protezione alla viabilità e veniva posto nel luogo dove più strade si intersecavano.
F 21 CÀ DI STERLA (cà di Sterla)
CAT.NAP.1: Hameau de Sterla.
Il toponimo indica una zona dove rimangono le tracce evidenti di un nucleo abitativo, ormai da decenni abbandonato. La contrada deve il suo nome alla famiglia Sterla, che come gli Amoroso,compare a partire dal 1556, nell’elenco dei defunti della Confraternita di S. Bernardo di Portio.
F 21 PIAGGIA (non attestato). Nel foglio catastale n° 21 compaiono ben due zone distinte con questo nome, separate da località “Ronco”. Il toponimo assai comune, deriva dal sostantivo femminile latino plagìa: “ versante di una montagna”, che a sua volta trae origine dall’aggettivo greco plàgios “ obliquo” (PEL 2002 p.29). Nel dialetto ligure trova corrispondenza con ciàsa.
F 21 DEVIZIA (in ta devisia; delisia). Attualmente nella zona sono presenti i resti di un ricovero per animali, da tempo abbandonato. Non è facile darne una spiegazione, visto che le fonti orali non sono concordi nella sua pronuncia. Nella forma devisia, più simile all’italiano potrebbe riferirsi sia ad un cognome, come nel caso del nome di famiglia Divizi (AVL 2002 II-2 p. 415), sia ad un nome composto da due elementi: de – vizia.
La prima particella de, dal latino indica provenienza, mentre il secondo elemento potrebbe essere riconducibile ad un gentilizio romano. Si pensi a Vezzi Portio, il nome del comune è composto da due elementi, il primo: Vezzi lo si trova già a partire dal 1192 nella forma hominum de Vecio, potrebbe ricondursi ancora una volta ad un gentilizio (vedi Vezzi Portio). L’altra forma, delisia, potrebbe ricondursi ad una caratteristica del luogo o ad un qualcosa presente, un bel panorama o un bel bosco, ecc. ecc. (AVL 2002 II-1 p.14).
F 21 CHIESA DI S.S. SALVATORE (san salvatu)
CAT.NAP.1: Paroisse de Magnone.
CAS.1833-54: …San Salvatore, chiesa principale, è la più antica…
In un altro documento datato 1311 il toponimo compare in relazione alle vie interne del Marchesato
del Finale [[6]] così riportato: “Et a colla sancti salvatoris”.
L’edificio della chiesa di S. Salvatore, parrocchia di Magnone, si trova in località “Chiesa”. Sorge su una zona pianeggiante, formatasi a seguito di una paleofrana. Nella forma attuale, fino ad ora veniva considerato di stile barocco, le ultime sistemazioni architettoniche risalgono al XIX secolo, ma è sicuramente da considerarsi uno tra gli edifici ecclesiastici più antichi della zona .
La sua collocazione topografica [[7]], oggi sembra strana, trovandosi a più di un chilometro dal centro abitato, ma trova una risposta abbastanza certa, se letta in associazione con la sottostante borgata di Magnone inferiore. Probabilmente questo gruppo di case rappresenta il primo nucleo insediativo della zona e la chiesa venne costruita dai fedeli in prossimità delle loro abitazioni.
Maigion, magion, magione, magnione, = magnone, (fr., moderno) = maison, casa, abitazione, casa rurale , casa della montagna, casa sulla montagna, masseria. E ciò perché, attorno al 1200 i monaci Cistercensi misero, a custodia dei loro luoghi di fede, dei massari con il compito oltre che di guardiani delle cose sacre anche dei luoghi sacri, nonché di sacrestani e contadini delle terre di proprietà dei monaci, e gravanti nella sfera del convento, fortificando la proprietà con contrafforti, muri perimetrali e torrioni detti anche bastioni (nella chiesa attuale uno è ancora quasi intatto, dell’altro ci sono solo pochi resti) .
Quando attorno al 1100 i Monaci di Citteaux, fecero della regola di San Benedetto la revisione più purista cioè quella di renderne più austera la osservanza, ad opera soprattutto dei santi abati, quali Roberto di Molesme, 1098 di Citeaux e di Stefano Harding, 1113 di La Ferté e Pontigny nonché nel 1115 Clairvaux, Morimond; e la regola de La Charte de Charité fu approvata nel 1119 da Callisto II, papa, su impulso di S.Bernardo di Chiaravalle s’iniziò l’espansione dell’ordine monastico in tutta la Provance a partire dai confini spagnoli, cioè da ovest ad est, fino oltre la città di Genova, per quanto riguarda la Liguria.
I Cistercensi nel loro purismo accompagnato da silenzio e la preghiera si ritiravano in luoghi piuttosto solitari, ove potevano anche coltivare la terra e custodire antichi “tesori” leggasi vestigie romane, la Provance ne è piena; i loro edifici semplici, spogli di ogni icona o scultura, sovente con pietre a faccia vista anche internamente, normalmente erano a pianta latina con abside rettangolare e rivolti a sud est, la copertura a volta acuta ed il campanile sorgente nel tamburo ma nei piccoli ed isolati centri non disdegnavano di accontentarsi di ciò che trovavano.
A seguito della “invasione” degli Albigesi (Catari) che dalla Francia meridionale si spinsero in Italia per sfuggire alle “persecuzioni” della Chiesa Ufficiale, i Cistercensi arrivarono nella valle dello Sciusa: “l’ala militare” ovvero i Cavalieri Milites Cristi si fermò a San Giorgio mentre “l’ala evangelica” ovvero i Predicatori si fermò a Magnone ove già esisteva una vecchia torre per il grano (1184-1199), e forse anche l’antica strada Consolare Julia Augusta (1) (qui i pareri sono discordi: La Dott.ssa Francesca Bulgarelli fa risalire i resti al periodo Medioevale, S.A. il Principe Giorgio I° di Seborga [[8]] al periodo Romano), una parte della quale usata dai Monaci Cistercensi prima come passaggio fortificato, in seguito dai sacerdoti della Chiesa di Roma come passaggio coperto tra la Canonica e la Sagrestia della Chiesa.
“Dopo l’insediamento Cistercense del Tiglieto, voluto da Papa Callisto II nel 1120, e dietro il riconoscimento ufficiale dell’Ordine Cavalleresco da parte della Chiesa, fatto da Papa Onorio II durante il Concilio di Troyes, il 13 gennaio del 1128, la santa Sede incomincia a pensare seriamente di proteggere, tramite i cavalieri di san Bernardo, i propri domini in Liguria occidentale, divenuti alquanto labili, poiché esposti agli attacchi provenienti dal mare e soprattutto soggetti alle scorrerie delle soldatesche che arrivavano dal Nord.
“Se tanto hanno fatto in Terrasanta e in breve tempo, almeno altrettanto, se non di più, possono fare nella Liguria dai Poteri cangianti come il vento e resi insicuri dalle diatribe che portano a frequenti cambiamenti confinarii”.
Così dice Papa Innocenzo II e così nascono dopo il 1139, sui territori Pontifici, gli insediamenti strategici Cistercensi, posti sulle strade di grande comunicazione che dall’attuale territorio savonese s’arrampicavano a scavalcare le montagne marittime a Ponente di Genova, verso la Provenza.
I Pauperes Milites Christi si insediarono pertanto, in quello che diverrà San Giorgio, sulla via che da Varigotti si proietta verso Altare e Portio, lungo l’antica strada romana che da Vado, superando le asperità di Capo Noli, prosegue via Orco e Feglino verso il Passo del Melogno, oppure riguadagna il mare a Final-Pia.
A Magnone dunque passano tre vie romane la prima “consolare” che da Vada Sabatia, Segno, scende a Magnone per superare capo Noli ed arrivare, attraverso la valle del Ponci, dell’Aquila a Gorra; altro percorso della “consolare” potrebbe essere da Vada Sabatia a Spalturno, quindi Magnone e valle dei Ponci; l’altra di tipo(forse) “pretoriana” che arriva da Mallare, incrocia una via secondaria, forse “rusticae”, e va a confluire, nei pressi della “Chiesa” con la prima. Non a caso le cappelle dedicate a Santa Libera si trovano all’incrocio di vie romane. Vicinissima a Portio nasce la Magione formata dagli esuli occitani, oggi contrada Magnone, da cui le famiglie presero il nome. Difficile sarà l’avvicinamento, se non impossibile, tra la comunità preesistente di Portio e la nuova, composta da Catari.
Dopo la cessione del territorio ai Signori di Finale, avvenuta nel 1212, i Cistercensi, onde ovviare il problema, prendono così la decisione di erigere due distinte Chiese: una dedicata al Santo Sepolcro in Portio ed una dedicata a San Salvatore nella Magione, terminata qualche anno prima dell’altra.
Per ora in base alla citazione nel documento del XIV secolo, si potrebbe desumere una posizione di “valico”, dall’uso di colla. Da una attenta lettura della pianta dell’intero edificio, dall’insieme dei prospetti, dai documenti storici, si possono trarre le conclusioni che l’intero edificio è giunto fino ai nostri giorni, attraverso almeno quattro ampliamenti.
Il primo nucleo originario è costituito dalla prima cappella a destra dell’attuale altare maggiore [ alla destra di tale altare, sul pavimento persistono delle lapidi tombali, anche se come si vede sono risicate all’osso]
Con ogni probabilità, l’asse longitudinale della primordiale Chiesa correva da est-nord-est a ovest-sud-ovest con il campanile posto circa a metà del lato maggiore, l’abside sia interna che esterna a sezione rettangolare era rivolta ad oriente come era uso osservare negli edifici primitivi. Di pianta molto semplice aveva solo una cappella laterale [esistente attualmente]. La navata era divisa da un muro in senso trasversale per creare così l’area destinate agli uomini e l’area destinata alle donne, ed era illuminata da quattro finestrelle laterali.
Gli ingressi avvenivano da due porte laterali poste a sud nell’area cimiteriale che si estendeva anche davanti alla facciata la quale portava un rosone centrale. L’ingresso al cimitero avveniva tramite un cancello posto tra due torrioni. Rimane un grosso punto interrogativo la strada che correva attraverso quello che era il cimitero verso la torre del “grano”, visibile ancora oggi, inglobata nell’attuale casa parrocchiale.
Di sicuro è medioevale, ma ci sono buone probabilità che la sua pavimentazione sia di origine romana, se non di un tratto di attraversamento almeno una parte di essa, di percorso, dato che siamo in prossimità della valle dei Ponci, ove si può osservare il sedime stradale originario della via consolare.
Attorno ad essa venne eretto prima un passaggio “alla ligure”, poi successivamente coperto che portava al primo nucleo originario della casa parrocchiale, ove dal lato sud-ovest, scrostato, si possono vedere ulteriori ampliamenti (di sicuro cinque).
La Chiesa, doveva essere inizialmente coperta con capriate, poi, in fase successiva, dalla parte del cimitero, si è avuto un ampliamento ricoperto a cassettoni. La parte aggiunta era più bassa della principale alla quale si accedeva grazie ad un gradino.
Questo presuppone che si fosse aggiunto, inizialmente, nell’area cimiteriale un portico, poi tamponato,con duplice funzione: di copertura e di riparo alla strada che congiungeva la chiesa con la casa canonica, e successivamente conglobato nella chiesa ampliando le due aree di cui la navata centrale era divisa.
Rimossa parzialmente l’area cimiteriale, la Chiesa ha subito una prima trasformazione[secondo la descrizione di Mons. Mascardi], facendo scomparire il campanile la cui porta si trovava circa a metà del lato maggiore, costruendone uno nuovo in uno dei torrioni e aggiungendovi due cappelle laterali una a destra dell’altare maggiore ed una a sinistra, posizionata nel primo torrione. [[9]]
Dalla fine del 1600 la chiesa subisce una radicale trasformazione: l’abside viene ricreata dalla parte opposta del suo asse e cioè a ovest-sud-ovest; la parte dell’ampliamento precedente viene risistemata e compare il presbiterio ed il catino absidale [da rettangolare si trasforma in emiciclica] sopraelevandoli rispetto al vecchio edificio tramite due gradini; viene allungata la navata centrale tenendo presente l’inclinazione dell’asse preesistente [l’evidente segno di allargamento della navata centrale lo si riscontra a partire dall’estremità della prima cappella laterale, lato epistola, che diverge verso l’esterno].
Successivamente, forse al fine di rimediare all’errore dovuto alla non collimazione dell’asse dell’abside e del presbiterio con quello primordiale, si decide di riassare la navata centrale, commettendo un successivo errore di inclinazione. Rifacendo la navata centrale la si solleva in altezza poggiandosi con archetti sull’area dell’arco trionfale attuale [1737].
Venne costruito il campanile più ampio e con cella campanaria in grado di potere ospitare più campane, al posto delle due iniziali.
All’inizio del 1800,da un documento che si trova negli archivi parrocchiali, era stato dato mandato ad un ingegnere di Noli di studiare una ulteriore sopraelevazione, ma lo stesso ha sconsigliato tale intervento, pur accompagnandolo da disegni, in quanto esisteva un pericolo reale di ribaltamento del medesimo.
Veniva comunque aggiunta la facciata, sulla quale sono evidenti i segni di distacco dalla struttura precedentemente eretta. Tutta la pavimentazione poggia su una struttura di fondazione ad archetti incrociati, e questo, forse per alleggerire i carichi sul terreno, che con ogni probabilità non è mai avuto un carico ammissibile normale.
Se la superficie rocciosa composta da porfidi del Melogno è situata dove giace la strada romana, è facilmente intuibile che l’attuale pavimentazione dell’edificio appoggia a circa due metri dalla prima su terreno detritico e/o alluvionale.
Sarebbe interessante in fase di restauro scoprire che tutto l’impianto sia stato, progressivamente, attraverso i vari ampliamenti, sollevato; che la primordiale cappella, il cui altare maggiore esiste ancora a tutt’oggi, fosse, con la sua transenna o iconostasi posto ad un livello inferiore al piano di calpestio dell’attuale navata centrale. L’impegno che resta è quello di eseguire stratigrafie non solo degli intonaci o meglio ancora dei leganti nelle strutture di elevazione, ma anche di eseguire stratigrafie e/o rilevamenti delle varie fondazioni, al fine di poterci allineare con la documentazione ufficiale che pone avanti a tutto una data: 1212.
F 22 MAGNONE (magnun )
C.1746-47: Magon.
GUST.1799: Magnone.
CAT.NAP. 1: Magnone da Basso; Magnone d’Alto.
CAS.1833-54: Magnone (Magnoniavialla).
IGM 1930: Magnone inf. ; Magnone sup.
Nolascus magnonus, anno 1198 (AVL 2002 I-2 p. 119).
Magnon, cognome, anno 1530 (AVL 2002 II-2 p.71).
Attualmente per Magnone si intende l’intera frazione comprendente anche le borgate di Magnone inferiore e superiore, mentre nelle carte consultate il nome era solo riferito a queste due singole borgate. Il nucleo più antico, come precedentemente accennato è Magnone inferiore, il “da Basso” del catasto napoleonico, che poi si ampliò formando anche Magnone superiore. Il primo nucleo sorge lungo una viabilità molto antica, sulla sommità della Valle del Coreallo, fiume che sfocia in Spotorno, identificata dal Lamboglia con la valle miliarensis [[10]]. Esiste poi il cognome Magnone già attestato alla fine del XII secolo, non è facile chiarire in questo caso se fu il nolascus magnonus a dare il nome all’abitato o viceversa.
L’abitato di Magnone inferiore nella area sottostante la Chiesa di S.S. Salvatore, si trova anch’esso nella valle del Coreallo, a sud del Bric Berba è stata identificata, come precedentemente detto, dal Lamboglia con la “vallem Milliarensum”. Secondo lo studioso il toponimo è da considerarsi la prova che tra il Bric Berba e Magnone inferiore passasse la via Iulia Augusta. Quest’ipotesi è accettabile soprattutto perché ad alcuni centinaia di metri ha inizio la Val Ponci .
Risulterebbe quasi del tutto confermato, che almeno fino al XIV secolo le vie medievali, intorno alla zona di Magnone, abbiano ricalcato il tracciato della Iulia Augusta; studiare gli edifici religiosi e la loro dislocazione potrebbe rilevarsi fondamentale nella comprensione della viabilità romana.
F.21 SAN GIACOMO (san giacumu)
- 1746-47: S. Giacomo.
GUST.1799: S. Giacomo.
CAT.NAP.1: Chapelle de San Giacomo.
IGM 1930: S. Giacomo.
La cappella privata di S. Giacomo si trova in località “colla”, il nome deriva dal latino collum, da intendersi come “valico, altura”. Il piccolo edifico religioso sorge all’imboccatura della Val Ponci.
Il toponimo di san Giacomo è generalmente legato agli ospitalia, strutture dislocate lungo i percorsi verso i luoghi di pellegrinaggio, che ospitavano i fedeli. Pare molto significativo che il toponimo si trovi ad un centinaio di metri sopra il ponte romano di Magnone.
F 20 BRIC CARÈ (in caè)
GUST.1799: Bricco di Calè.
CAS.1833-54: .. il monte più elevato appellasi Carè.
IGM 1930: Bric Carè.
Da questa collina, che separa le comunità di Magnone e Portio, ha inizio la Val Ponci. Confrontando il catasto napoleonico con quello attuale ci si accorge che il bricco è diviso in quattro lotti, molto grandi, non terrazzati, che probabilmente svolgevano una funzione di zona comune per il pascolo e bosco. In base agli elementi raccolti non si è ancora in grado di dare al nome una soddisfacente spiegazione.
Alle pendici sud ovest del Bric Carè, a 320 m s.l.m., vicino al paese di Portio Revelli, in località Rocca degli Uccelli, a metà strada su una mulattiera che conduce verso la località di Rocca di Corno, troviamo Il “Ciappo del sale” (in genovese detto Ciappu du sa) [vedi].
F 14 GAMBINO (gambin)
CAT.NAP.1: Hameau de Gambini.
IGM 1930: Ponte Gambino.
F14 Ciazza du punte (ciaza du punte).
I due nomi, topograficamente contigui, vengono presentati insieme perché pertinenti. Il toponimo Gambino potrebbe riferirsi ad un soprannome personale connesso con “gamba” e aver dato il nome alla borgata indicata nel catasto napoleonico. Il Lamboglia, ricostruendo il percorso della via Iulia Augusta, informa che presso il rio Gambino il toponimo “piaggia del ponte” rispecchierebbe la possibilità dell’esistenza di un ponte simile a quelli della val Ponci. La sua ipotesi sarebbe stata avvalorata da almeno altri tre elementi.
Gli abitanti del luogo, si troverebbero concordi nel chiamare la strada del rio Gambino romana [[11]], e avrebbero visto, prima che fosse trasformata in carrettabile dei tratti selciati molto logori, e infine al di là di questo luogo la divisione delle proprietà segnerebbe ancora il passaggio della via romana.
Il toponimo corretto è ciazza du punte e non “piaggia del ponte”, anche se nella maggior parte dei casi ciazza, ha lo stesso significato di piaggia. In questo caso però non si è di fronte ad uno scambio di termini equivalenti ma ad un nome riportato in modo non giusto.
Nel dialetto locale si usa il termine ciazza con il significato di “bosco da taglio” e da questo ne risulterebbe “bosco del ponte”. Il ponte in questione, risulterebbe quello che si trova nella carta IGM del 1930 con rilievo del 1879.
La costruzione del ponte Gambino avvenne tra il 1869 e il 1879 e rientrava nei lavori necessari a rendere carrabile la via in base alla Legge Italiana del 30 agosto 1868.
Il sindaco in data 15 marzo 1869 come richiesto da una precedente circolare, fece un rapporto delle strade o meglio mulattiere, del comune, le quali venivano così chiamate: “strada n°1 per il comune di Segno; strada n°2 per il comune di Portio che conduce a Noli e Spotorno; strada n° 3 per Orco a Finale”.
La strada n°2 è quella che valica il rio Gambino, nella sua descrizione si dice che in alcuni punti vi sono dei muretti a secco e presso i tratti abitati vi sono alcuni selciati, quelli a cui fa riferimento Lamboglia [[12]]. Nel catasto napoleonico è segnata una strada detta “Chemin de Vezzi” di mezzacosta che passa ad una quota molta più alta rispetto a quella menzionata da Lamboglia.
In conclusione si potrebbe affermare che il toponimo ciazza du punte sia nato nel momento in cui è stato costruito il ponte Gambino, tra il 1869 anno dell’invio dell’elenco delle vie, trasformabili in carrettabili, alle autorità competenti, e il 1879 anno del rilievo della carta IGM del 1930. La documentazione, relativa alla liquidazione per il progetto della strada del ponte porta la data del 1881 ed è consultabile presso il comune di Vezzi Portio nell’Archivio Storico Comunale.
F 23 CASSIGLIANO (cascèn, la forma potrebbe esser stata italianizzata in Cassigliano). La regione Cassigliano, la cui estensione risulta notevolmente ridotta dal passaggio dell’Autostrada A 10, è caratterizzata da una serie di terrazzamenti in parte coltivati ad ulivo.
Le coltivazioni, in passato vennero facilitate dalla presenza del torrente Cassigliano e di molti altri rivi, oggi pressoché asciutti.
Da un punto di vista toponomastico la forma dialettale cascèn attesterebbe un possibile toponimo prediale di origine romana, fissatosi nella forma plurale di *Cassianis (come nei casi di Quiliano = kugén da Aquilius o Aculeius, Cornigliano = kurnigén, e Arenzano = aensèn).
La forma italiana Cassigliano pare dunque un tentativo incoerente di adattamentodella forma dialettale, l’unico dalla quale è plausibile un’ipotesi di ricostruzione in mancanza di fonti scritte intermedie: si esclude pertanto, una derivazione da *Cassilianum, da gentilizi latini come Casilius e Cassilus (SCHULZE 1996, pp.271, 449,443), soluzione che sarebbe giustificata solo dalla forma fissata nella carta dell’IGM 1930, con rilevamento del 1879.
Si ritiene infine poco plausibile una ricostruzione * Cassilianis che porterebbe a cascèn attraverso un precedente *cascijen che in quest’area dialettale avrebbe potuto dare l’esito*casciegen, come kugèn < * Aculeius, kurnigèn > * Cornilanus.
F 18 CAPPELLETTA (a madunetta de punci; a cola de punci; a capeletta de punci).
GUST:1799: Madonetta.
CAT.NAP.1: Chapelle.
La zona, che nella maggior parte delle carte risulta sempre indicata, non attraverso un nome ma con il segno grafico di una piccola croce, mette a conoscenza dell’esistenza di un possibile edificio di culto. Infatti ancor oggi è presente su un promontorio, che domina la valle sottostante, un’edicoletta votiva in muratura che racchiudeva l’immagine della Madonna. In questo luogo, comunemente chiamato cola de punci, fino ad una quarantina di anni fa si faceva sosta durante la processione delle rogazioni. Il nome Cappelletta ovviamente fa riferimento alla già citata costruzione. Il termine cola trova riscontro nella sua pozione di valico ancora una volta sulla Val Ponci, dal versante però di Portio, opposto a quello di Magnone.
F 25 PUNCI (punci )
C.1746-47: rio de Punti.
GUST.1799: rio de Ponci.
CAT.NAP.2: …section B dite de Ponci.
IGM 1930: rio Ponei.
Il nome Punci, italianizzato in Ponci, designa la valle omonima che custodisce i cinque ponti romani della Iulia Augusta. Per gli abitanti di Vezzi Portio, indica anche il territorio circostante sia dal versante di Magnone sia da Portio. Il toponimo generalmente viene utilizzato, come esempio da manuale, per sostenere la derivazione dalla presenza dei ponti romani. È opportuno però chiedersi perché si sia mantenuta la forma latina di pontium.
Le forme della carta del 1746-47, del 1799, del catasto napoleonico e la forma odierna confermano l’ipotesi che il toponimo derivi da punti “ponti”, con esito ci da ti, come tanci “tanti” nei dialetti confinanti della Val Bormida (VPL 1985 vol. 4 p. 13), ma attualmente regredito.
[1]“Quaderno della Biblioteca” è un estratto della tesi di laurea in Conservazione dei Beni Culturali, a.a. 2004-2005 (Facoltà di Lettere e Filosofia di Genova) dal titolo: “La viabilità romana da Genova a Ventimiglia: la via Iulia Augusta da Vado Ligure al Fina-
Finalese” della Dott.ssa Simona Mordeglia (Relatore la prof.ssa Biancamaria Giannattasio, Correlatore: Prof. Carlo Varaldo)
[2] Milli Leale Anfossi ha dedicato una descrizione a “Le incisioni rupestri del Ciappo del Sale”.
[3] Documento manoscritto, inedito custodito dalla Confraternita di S. Bernardo di Portio, parrocchia di S. Sepolcro.
[4] Disegno del luogo delle differenze fra gli uomini di Portio e di Vezzi”, 1689; disegno a penna, cm 40,5 x 29,7. Archivio di Stato di Genova, Archivio Segreto, Confinium, f. 91, n. 182 (VIVALDO 1986, p. 11).
[5] Acquerello di Aurèlie de L’Epinois BODO, COSTA RESTAGNO, 1992 pp. 158-59.
[6] Pagina degli Statuta Decreta et Ordines Marchionatus Finarj del 1311, relativa alla manutenzione delle strade pubbliche, (PENCO 1956, p.14 ).
[7] è stata costruita: lungo il tracciato della via Iulia Augusta..
[8]Vedi biografia fondo articolo
[9]12 Vedi cassa processionale dello scultore savonese Antonio Brilla
[10] La vallis miliariensis sarebbe da identificarsi con l’alta valle del Coreallo a sud del Monte Berba LAMBOGLIA 1932, p. 11.
[11] Il lavoro di Lamboglia porta la data del 1932, le notizie orali che riporta è presumibile che le abbia raccolte intorno a quella stessa data. Alcune persone anziane, che hanno una veneranda età tra gli 85 e 90 anni, personalmente intervistati, ricordano perfettamente l’andirivieni di studiosi che negli anni 30 del ‘900 chiedevano spiegazioni sulle antiche strade del luogo, ma non ricordano che la strada in questione fosse chiamata dai loro “vecchi” romana.
[12] Il selciato logoro, visto dagli abitanti del paese, non è necessariamente riconducibile, come fa intuire il Lamboglia, alla via romana. Era una consuetudine assai comune, riscontrabile sia in altre borgate del comune, sia negli altri paesi vicini, che proprio all’interno dei centri abitati vi fossero dei tratti selciati, detti ciapin, per evitare impaludamenti di fronte alle case.
Alesben B.