‘Ius soli’ tra immigrazione e turismo. È un problema soprattutto italiano la gestione del territorio, delle infrastrutture, delle immani risorse e qualità della Repubblica di fronte a enormi flussi di persone che ne ricercano la condivisione.
di Sergio Bevilacqua
Sono due le determinanti di questi flussi, che sono così significativi da alterare il rapporto col territorio delle popolazioni autoctone:
- La posizione geografico-economica dell’Italia, ideale primo porto delle migrazioni africane e anche asiatiche
- La straordinaria capacità attrattiva che l’Italia ha sull’umano, per la enorme varietà e gradevolezza della sua natura e cultura, che ne fa un punto di riferimento assoluto dell’attenzione turistica.
Ecco che, nel quadro perturbatissimo della quadrivoluzione corrente (globalizzazione, antropocene, ipermediatizzazione, ginecoforia), questi flussi sono resi ancor più grandi dal rimbalzo post-covid, ove per 2 anni erano stati limitati al fine di contrastare la diffusione del contagio.
Come articolare correttamente la problematica sull’uso del territorio, delle sue risorse storico culturali e delle infrastrutture da parte di coloro che vengono in Italia?
Come considerare le risorse della Repubblica, in altro articolo calcolate pari ad almeno 100000 €. di patrimonio a famiglia e circa altrettanti di valore di servizi all’anno? Ricordiamo, non retoricamente, che tali valori sono l’effetto di 6/8 generazioni di autoctoni cittadini italiani che hanno prodotto, lavorato, combattuto guerre vinte e perse anche per dare al Paese questa sua invidiato spazio nazionale. È giusto che essi vengano divisi grazie alla cittadinanza data dopo un limitatissimo periodo di contribuito alla vita civile dell’Italia?
La domanda non vuole assolutamente inserirsi nel dibattito becero tra globalisti e anti globalisti. Prima di ciò, essa desidera chiarire un contenuto assoluto, di tipo economico: perché un nuovo cittadino deve venire ad acquisire, con la cittadinanza, gli stessi fattori di servizio e patrimoniali che altri suoi omologhi hanno acquisito con 6/8 generazioni di lavoro (e di guerre…), di apporti civili, sul territorio e per il Paese? Ci sono Paesi che antepongono alla cittadinanza non un semplice “aver lavorato” (ciò può funzionare per i servizi, ove con i contributi e con la tassazione si può considerare corrisposta la loro fruizione grazie all’erogazione dello Stato), ma anche un “aver apportato capitale”, perché, come ho spiegato qui http://www.weeklymagazine.it/2023/06/04/la-repubblica-italiana-che-e-e-che-nessuno-vi-ha-mai-detto/, ogni famiglia italiana sarebbe oggi depositaria di un patrimonio di 100000 €. almeno dovuto alla “cittadinanza”.
Prima di dare una risposta, dobbiamo porci una ulteriore domanda: è ragionevole che noi, cittadini italiani, regalare una tale somma a ogni famiglia non ancora italiana che, magari per un apprezzato contributo di lavoro alla nostra società e Stato, dai quali già ottiene meritati servizi, si trovasse giuridicamente nelle condizioni di divenire cittadina italiana essa stessa, i suoi componenti? È ragionevole regalare patrimonio, quando in realtà il nostro Stato è indebitato come sappiamo? Io dico che se non apporta capitale, la cittadinanza deve essere limitata. Mentre se apporta capitale, la situazione del nostro debito pubblico deve consigliare una notevole incentivazione… E credo che questo lo capiscano tutti, destra e sinistra.
Passiamo ora a un altro tema molto importante per la salute dei conti pubblici, il flusso che chiamiamo “turistico”: tale flusso si riversa disordinatamente e sprovvedutamente nel nostro territorio, consumandone infrastrutture costosissime, rendendo spesso difficoltosa la vita ai residenti, favorendo lo scambio irregolare di servizi e denaro, quindi causando una serie di danni alla già problematica organizzazione dei servizi pubblici italiani. Che fare?
La risposta più antipatica e disfunzionale è la tassa di soggiorno: 1. Antipatica perché sembra un atto vampiresco di sfruttamento come alcuni autovelox piazzati a trabocchetto; 2. Disfunzionale, perché si scarica nelle sole casse dei comuni, come se le infrastrutture pubbliche consumate dai turisti fossero tutte comunali… E la sanità, regionale e statale? E le infrastrutture di trasporto, che sono, a la fois, comunali, provinciali, regionali e statali? Eccetera, eccetera? Ho fatto solo alcuni esempi…
Occorre una profonda revisione strategica del modo di condurre la economia turistica: proprio perché una straordinaria risorsa del nostro Paese rischia di diventare un pericolosissimo boomerang, che danneggia le economie già seriamente provate del nostro Stato, danneggiando la vita dei cittadini, a parte molti dell’HRC che mettono in tasca soldi neri che sono il correlato di una società non solida, sfiduciata, che non capisce che, se non si fa sistema, se non si allarga la dimensione societaria, siamo destinati a perdere anche questo ultimo autobus (ho stimato in circa 500 miliardi di PIL la pronta conseguenza di una razionale organizzazione e vendita turistica), e con esso il patrimonio di 6/8 generazioni di italiani e la qualità della vita per tutti coloro che vivono il Belpaese.
Occorre organizzare l’economia turistica su vere Aree di destinazione, non le caricature politicoidi della Regione Emilia Romagna, bensì quelle unità economiche di turismo che da almeno 40 muovono i flussi di tutto il mondo, ripagando non solo i privati ma anche le grandi risorse fornite all’esperienza turistica dalla mano pubblica
Sergio Bevilacqua