QUARANT’ANNI FA L’ARRESTO DI TEARDO E IL MANCATO ANTICIPO DI TANGENTOPOLI.
di Franco Astengo
Il 14 giugno 1983, quarant’anni or sono, i carabinieri, su mandato dei giudici Francantonio Granero e Michele Del Gaudio, arrestarono nella sua casa di Albisola Superiore Alberto Teardo, esponente della P2 e del PSI assieme ad altri suoi compagni di partito, tra i quali il sindaco di Albissola Marina, Borghi. Nei giorni seguenti si verificarono altri arresti di esponenti dello stesso PSI e della DC: alla fine del processo quasi tutti gli imputati furono condannati per corruzione e associazione a delinquere semplice (non fu riconosciuto lo “stampo mafioso”): risultarono assolti l’ex-deputato socialista Paolo Caviglia e il sindaco di Borghetto Santo Spirito, l’architetto Bovio, iscritto al PCI.
Al momento dell’arresto Teardo si trovava al centro di una campagna elettorale che, con ogni probabilità, lo avrebbe portato in Parlamento, dopo l’esperienza di assessore e di presidente della Regione Liguria: un fatto che cadde come una vera e propria “bomba” sull’intero sistema politico savonese, squassandolo violentemente; eppure quasi nessuno volle riconoscere la dimensione nazionale di quell’episodio che risultava, invece, essere assolutamente anticipatore di “Tangentopoli”.
Teardo era già al centro da qualche tempo, anche grazie alle denunce avanzate proprio dall’avv. Trivelloni, di un forte polemica politica legata alla “questione morale”: polemica politica rafforzata, nel 1981, allorquando il magistrato Gherardo Colombo sequestrò, a Castiglion Fibocchi in provincia di Arezzo, le liste degli appartenenti alla loggia massonica segreta P2 guidata da Licio Gelli. In quegli elenchi assieme a quelli di Silvio Berlusconi, Fabrizio Cicchitto, di generali, uomini politici, uomini d’affari, giornalisti, personaggi dello spettacolo figurava anche il nome di Alberto Teardo.
Pochi, sul piano politico, risposero appieno a quelle denunce e a quegli appelli: sul piano savonese e regionale, lo scrivo senza alcuna velleità di attribuire patenti di esclusività nel merito, soltanto il PdUP e la Sinistra Indipendente, oltre a qualche esponente del PCI e della CGIL, ma in una misura numericamente del tutto ridotta.
In quest’occasione ci si è limitati a riassumere i dati politici più importanti di quella vicenda, proprio per offrire a chi visse in prima persona quella vicenda e a chi, magari, ne sente parlare per la prima volta, alcuni elementi di ricordo, valutazione, riflessione.
La configurazione di quei fatti e il tipo di problemi che, in allora, si posero alle forze politiche, avrebbero dovuto promuovere un ragionamento in profondità, da svilupparsi proprio mentre si stavano scoprendo i diversi tasselli istituzionali.
Com’era configurabile il fenomeno concreto con il quale ci trovammo a dover fare i conti?
La “questione morale savonese” presentava, rispetto ad altri fenomeni evidenziatisi proprio in quel periodo, come il caso “Biffi Gentili” a Torino (laddove fu il sindaco Novelli ad attivare il meccanismo di riferimento alla magistratura), elementi di assoluta originalità.
Si trattava infatti dell’esistenza, non tanto e non solo di una “centrale” collettrice di tangenti, ma di un fenomeno di contropotere organizzato in cui erano poteri extra-legali (appunto le logge massoniche “coperte”) a determinare gli assetti politici e gli atti concreti della Pubblica Amministrazione al di fuori da qualsiasi possibilità di controllo democratico.
Lo stesso rapporto con la società che era stato instaurato da questo potere extra-legale non risultava essere di natura classicamente clientelare (per cui si sarebbe potuto parlare semplicemente di reciproco favoritismo tra società civile e ceto politico) ma si trattava, invece, di un fenomeno di vera e propria “progettualità criminale” che puntava a contaminare (realizzando l’obiettivo) i diversi settori della politica, delle professioni, dello stesso mondo del lavoro.
Franco Astengo