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Savona, due donne ‘mamma’. Cosa sancisce la Corte Europea: madre solo colei che partorisce


Riceviamo dall’Associazione Scienza & Vita Savona e pubblichiamo. “Ancora sulla trascrizione di due donne, entrambe denominandole “mamma”, da parte del sindaco di Savona. Che cosa dice C.E.D.U”.

La Corte europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), ricordiamolo, istituita nel 1959 dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950, ne assicura l’applicazione e il rispetto. Vi aderiscono quindi tutti i 46 membri del Consiglio d’Europa. (E’ altra cosa rispetto alla U.E.).

Non si pensi che all’estero il trend sia sempre in senso arcobaleno, al contrario, siamo già verso l’inversione di tendenza. Lo cogliamo anche dalla più recente giurisprudenza della Corte Europea.

Dapprima richiamiamo brevemente una sentenza non recente ma significativa.

Anche la Corte Europea dei diritti dell’Uomo ha affermato che una legge nazionale che riservi l’inseminazione artificiale a coppie eterosessuali sterili attribuendone una finalità terapeutica non può essere considerata fonte di una ingiustificata disparità di trattamento nei confronti delle coppie omosessuali, rilevante agli effetti degli articoli 8 e 14 CEDU: ciò, proprio perché la situazione delle seconde non è paragonabile a quelle delle prime[1]. (cfr.Corte E.D.U., sent. 15 marzo 2012, Gas e Dubois c. Francia).

Più recentemente (aprile di quest’anno) la Corte E.D.U. ha emanato due sentenze molto importanti ove, fra l’altro, ribadisce che l’attribuzione del ruolo di madre, debba essere concesso soltanto a chi dà alla luce un figlio.

Per capire che cosa abbia stabilito la CEDU occorre pur brevemente richiamare i ricorsi sui quali essa è stata chiamata ad esprimersi.

Caso A. H. e altri contro Germania.

Il primo caso A. H. ed altri c. Germania prende spunto dal rifiuto delle autorità di stato civile di registrare un atto di nascita recante come madre un uomo che aveva concepito con i suoi gameti un bambino. L’uomo pretendeva di essere dichiarato nell’atto di nascita come madre del bambino nonostante il riconoscimento giudiziale del suo cambiamento di sesso avvenuto prima del concepimento del minore. La seconda ricorrente, nella stessa questione, era la donna che ha dato alla luce la bambina, concepita con i gameti maschili dell’uomo che poi ha cambiato sesso.
Entrambi i ricorrenti hanno, infatti, chiesto all’ufficiale di stato civile di registrarli ambedue come mamme del bambino.
L’ufficiale di stato civile ha, però, informato i ricorrenti che lui avrebbe indicato nell’atto di nascita come madre del bambino, soltanto la donna che aveva partorito, negando l’iscrizione all’uomo transgender – divenuto nel frattempo donna – nella qualità di madre del minore, in quanto tale riconoscimento non avrebbe avuto alcun valore giuridico, anche perché la seconda ricorrente, in quanto madre biologica del bambino, era, tra l’altro, la sua madre legale.
I ricorrenti, pertanto, hanno fatto ricorso al tribunale distrettuale tedesco competente per chiedere di essere iscritti nel registro delle nascite entrambe come madri del bambino e, inoltre, richiedendo che la persona transgender fosse registrata con il suo nome femminile. Il tribunale distrettuale, la Corte d’appello e la Corte federale hanno, però, respinto il ricorso.

Caso O.H. e G.H. contro Germania.

Il secondo caso O.H. e G.H. c. Germania riguarda il rifiuto delle autorità amministrative tedesche di registrare la prima ricorrente (il sig. O.H.) come padre della seconda ricorrente (la sig.ra G.H.); invero il primo ricorrente che è nata donna, aveva effettuato la transizione di genere diventando uomo e aveva partorito la seconda ricorrente dopo il riconoscimento giudiziario del suo cambiamento di sesso.
La ricorrente, infatti, ormai legalmente divenuta uomo, aveva chiesto all’ufficiale di stato civile di essere registrata come padre della bambina che aveva partorito. Davanti all’Ufficiale di stato civile precisò che il bambino non aveva madre, che lo spazio previsto per la registrazione del nome della madre doveva rimanere vuoto, che il bambino non aveva un secondo genitore legale e che era stato concepito utilizzando sperma donato. Ha inoltre chiesto che né il sesso né la religione del bambino comparissero sul certificato di nascita.
L’Ufficiale di stato civile avendo dubbi sul da farsi ha adito il tribunale distrettuale per dirimere la questione.
Il tribunale distrettuale ha, dunque, ordinato all’ufficiale di stato civile di registrare la prima ricorrente come madre e non come padre della seconda ricorrente. La Corte d’appello e la Corte federale tedeschi hanno confermato la decisione del tribunale distrettuale rigettando il ricorso dei ricorrenti.

Peraltro è appena il caso di osservare come già tutti i tribunali interni dello Stato (la Germania), ad ogni livello fossero stati univoci nel rifiuto dei ricorrenti. Ma questi ultimi hanno voluto adire anche la Corte Europea.

La Corte E.D.U. ha detto che:

–   L’attribuzione del ruolo di madre, debba essere concesso soltanto a chi dà alla luce un figlio.

–  E in ogni caso, tale decisione rientra nel margine di discrezionalità degli Stati. Ora, tranne cinque Stati, la maggioranza degli Stati continua a designare quale madre del bambino la donna che partorisce.

–   La Corte EDU ha inoltre ribadito che i giudici nazionali aditi da uno dei genitori (o entrambi) e anche dal suo (loro) figlio non possono prendere in considerazione solo gli interessi invocati dal genitore o dai genitori, ma devono dare priorità all’interesse superiore del bambino

CEDU: NO a “genitore 1” e “genitore 2”; SI’ a “padre” e “madre”

–   La Corte EDU, inoltre, aderendo alle osservazioni del Governo tedesco, ha ritenuto opportuno rigettare, senza mezzi termini, la proposta dei ricorrenti, di sostituire i termini “madre” e “padre” con “genitore 1” e “genitore 2“, perché ciò non proteggerebbe né i ricorrenti, né il minore contro la divulgazione, in quanto “genitore 1” rimarrebbe associato alla persona che ha partorito il figlio.

–  La Corte ha, inoltre, osservato che poiché i termini “madre” e “padre” utilizzati dalla legge corrispondono all’uso comune, sarebbe difficile convincere i consociati della necessità di sostituirli con altri termini, come “genitore 1” e “genitore 2“.

La Corte ha, dunque, concluso che la scelta delle autorità interne di indicare il ruolo del genitore in base al sesso biologico, anziché a quello in cui s’identifica, è lecita e rispettosa dei diritti di tutti i soggetti coinvolti.

Una chiosa a margine ci sia permessa. Rileggiamo brevemente i casi A.H., O.H., G.H. verificatisi in un Paese che potrebbe benissimo esser l’Italia domani, se non già oggi: per esempio, O.H. aveva partorito, quindi era donna, ma ora 1) vuole essere registrata come padre, 2) vuole che si scriva che il figlio non ha madre, 3) vuole che lo spazio della madre sul registro resti vuoto, 4) vuole che sul certificato di nascita non compaia il sesso del bambino. Pensiamo che una elementare riflessione sorga in noi, in tutti noi, anche nei sostenitori dei nuovi diritti civili, se solo non sono accecati dall’ideologia: è impossibile star dietro al delirio del “proprio Io e [del] le sue voglie”.

Si rendono conto il sindaco della nostra città e tutte le persone che inseguono i sempre nuovi “diritti civili” che è illogico, oltre che profondamente egoista, pretendere che il legislatore lavori a tempo pieno per soddisfare la bulimica richiesta di sempre nuove leggi che adeguino il Diritto al “proprio Io e [alle] sue voglie”. Chiediamoci, è il Legislatore a essere inadeguato e ritardatario? In un Paese già malato di troppe e troppo farraginose leggi?

La risposta ce la suggeriscono ancora una volta le società più “avanzate”, quelle verso le quali noi italiani ci sentiamo sempre in ritardo: loro stanno già ricredendosi, a cominciare dagli ambienti scientifici stanno facendo marcia indietro.


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