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Genocidi: 29° Kwibuka celebrato dall’Onu a Copenaghen. Il discorso di Bevilacqua


IL 29° KWIBUKA CELEBRATO DALL’ONU A COPENAGHEN. IL DISCORSO SUI GENOCIDI.

di Sergio Bevilacqua (Sociatra Organalitica)

Cari amici, murakaze, grazie a U.N. e agli amici ruandesi per essere qui a U.N. City a Copenhagen. Mi chiamo Sergio Bevilacqua, sono un sociologo clinico, il fondatore della Sociatria Organalitica, la nuova Sociologia del Terzo Millennio.

Ho operato per 50 anni su circa 1000 società umane, aziende economiche, pubbliche amministrazioni, Stati, famiglie, e ogni altro tipo di società umana che si possa immaginare. La Sociologia Organalitica è una sociologia clinica, basata su un metodo di intervento simile a quello della psicoanalisi nel caso degli individui, quindi il meno violento concepibile, e rivolta non agli individui bensì alle società, alle organizzazioni umane.

Nel 2010 ho organizzato un importante Programma di Sviluppo Integrato tra l’Italia, con il patrocinio del Ministero degli Affari Esteri, e il Ruanda, con il patrocinio del governo del Paese. Ricordando quell’importante programma, sono stato invitato all’ONU a Copenhagen in occasione del 29° Kwibuka per tenere una conferenza su come ho aiutato il Ruanda violentato dal genocidio più sanguinoso (non il più grande…) della storia umana, dove più di un milione di Tutsi sono stati massacrati con i machete dalla follia omicida.

Allora, cosa abbiamo fatto con il programma di sviluppo Italia-Ruanda. Attraverso un attento networking, abbiamo messo le aziende di entrambi i Paesi in condizione di dialogare e sviluppare comuni orizzonti economici prima sconosciuti. Poi, a coronare il tutto, abbiamo tenuto tre convegni: uno a Roma presso la sede del bellissimo IsIAO (Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente), che ha purtroppo chiuso i battenti nel 2016, poi uno a Reggio Emilia presso la sede dell’Associazione Industriali, e un terzo presso la Camera di Commercio di Venezia.

Mi chiedono anche di dire qual è il mio punto di vista di sociatra organalista sui genocidi.

Non c’è violenza sistemica più grande del genocidio. Il genocidio esibisce un livello massimo di ostilità, in termini di intensità anche maggiore di una semplice guerra, in quanto avviene per la specifica volontà di eliminare caratteristiche peculiari della varietà della specie umana, sotto forma di elementi caratterizzanti una certa parte del la sua popolazione, senza apparenti interessi opportunistici connessi, come accade normalmente nel caso di guerre tra Stati, che sono fatte per ottenere spostamenti di valore, potere o facoltà da uno Stato all’altro. Alcuni di questi genocidi si svolgono sotto forma di guerra civile, come il genocidio ruandese del recente 1994, a me familiare perché, come dicevo, nel 2010 sono stato ideatore del Progetto di Sviluppo Economico Italia – Ruanda, con il patrocinio di i Ministeri degli Affari Esteri e dello Sviluppo Economico dei due Paesi, nonché le realtà economiche e sociali dei due Paesi.

Il genocidio è il tentativo di estirpare dalla specie umana alcuni suoi tratti distintivi, spesso individuati in un particolare patrimonio genetico differenziato dal nome di razza, popolo, cultura. In Ruanda dal 7 aprile al 15 luglio 1994 si tentò l’eradicazione dell’etnia tutsi, con stragi di massa per oltre un milione di vittime.

Secondo la psicoanalisi e molte filosofie o religioni, gli esseri umani sono caratterizzati da aspetti sociali e coesivi, ma anche da fattori distruttivi e autodistruttivi (ostilità). Il genocidio rappresenta la più alta di queste seconde espressioni patologiche. Le neuroscienze hanno meglio strutturato la biologia della coesione umana con la recente scoperta dell’esistenza di micro-organi nel sistema nervoso centrale umano, i cosiddetti “neuroni specchio”, che presiedono ai meccanismi di ripulsa della violenza nei confronti dei propri simili. Ma il cervello umano e il suo funzionamento sono molto più estesi e sistemici, e la sola esistenza di questo tipo di neuroni non è una condizione sufficiente per prevenire o evitare la violenza, anche organizzata, e quella di massa.

Infatti, al di là dei neuroni specchio, c’è l’esperienza degli atti, che è anche esperienza del funzionamento di quegli stessi neuroni. Il comportamento criminale omicida agisce nella piena consapevolezza della repulsione indotta da questi organi e, superandoli, vince i freni che l’organismo produce attraverso i segnali provenienti da essi. Le persone che appartengono a organizzazioni criminali (bande, cosche mafiose, associazioni criminali di vario genere, ecc.) sentono la funzione propria di neuroni specchio solo nei soggetti appartenenti alla stessa organizzazione criminale e anche in modo meno forte, a causa della esperienza della violazione sistematica del principio biologico generale proprio dei neuroni specchio.

Ci sono 3 modi per la gravissima patologia sociale che chiamiamo genocidio:

  1. Il modo isterico
  2. Il modo ossessivo
  3. Il modo paranoico

Le tre vie sono sostanzialmente alternative, ad eccezione della seconda, quella ossessiva, che può manifestarsi anche come patologia di rinforzo molto pericolosa sulle altre due, provocando la ripetizione della violenza a oltranza. Esistono quindi interventi terapeutici volti alla risoluzione delle 3 patologie, che differiscono da caso a caso.

Il processo cognitivo relativo al genocidio consiste, in ogni patologia, nell’individuazione di elementi percettivi (marcatori identitari) che qualificano il gruppo, la società, la razza da eliminare: colore della pelle, statura, fattori biografici, comportamento, stile di vita, o altro. Realizzata questa identificazione, l’azione genocida deve strutturarsi su tre livelli prevalenti:

  1. Tecniche di identificazione, strumenti per effettuare l’eliminazione, struttura operativa della stessa, tempi e modalità di attuazione
  2. Creazione di condizioni psicologiche individuali che convincano all’attuazione dell’azione genocida da parte di ciascun “ostile”
  3. Creazione di motivazioni teoriche e valoriali condivise (effetto psicosociale dell’esaltazione di massa, imitazione, filosofie e sociologie devianti a sostegno della necessità dell’azione genocida).

In Ruanda, l’identificazione di coloro dell’etnia tutsi che dovevano essere eliminati sia stata basata su differenze fisiche rispetto all’aggressore hutu. Le numerose bande che compirono la strage spesso erano attrezzate in maniera artigianale, anche senza armi da fuoco, ottenendo comunque quantità di uccisioni di eccezionale efficacia. Ciò è stato spiegato attraverso un certo fenomeno criminologico, per cui la motivazione violenta e sanguinaria invade le menti degli assassini e produce una forma di psicosi di massa: la mente si appoggia a strati primitivi del funzionamento neurologico del sistema nervoso centrale; uno stato parossistico, legato alla vista del sangue e al terrore dei perseguitati, si impadronisce dell’aggressore, rendendolo una bestia ingovernabile e feroce. Il processo di genocidio è stato innescato dalla credenza in atti di ingiustizia e sottomissione attuati sugli hutu dai tutsi, poi tradotti in rivolta e vendetta cieca e sanguinosa nei confronti di questi ultimi.

Come affrontare per sempre tali fenomeni disumani, non solo moralmente ma anche biologicamente? I fatti da attuare sono numerosi. Ne elenco alcuni:

  1. Formazione fin dall’infanzia sul processo “Differenza-tolleranza-integrazione”, basato sullo studio delle differenze di cultura, civiltà e biologia proprie dell’umanità
  2. Iniziative specifiche per controllare e reprimere manifestazioni violente come il bullismo e il razzismo.
  3. Formazione all’uso dei sistemi di comunicazione globale per il dialogo tra le diverse culture distribuite nel mondo
  4. Attenzione all’espressione di forme di aggressività, legate a sindromi biologiche individuali quali eccessi di testosterone e adrenalina e di una loro miscela.
  5. Formazione antropologica culturale sulle varietà delle espressioni umane in termini di arte e cultura.

L’esperienza con alcune di queste forme di prevenzione è stata implementata anche in Ruanda, grazie ai recenti governi che hanno adottato moderne istituzioni di tipo democratico. Il governo repubblicano del Ruanda è noto per essere quello che, ad esempio, ha dato più spazio alle donne politiche nei ruoli di vertice.

I valori della democrazia, il conseguente ruolo delle istituzioni educative e il ruolo proprio delle famiglie sono centrali e fondamentali per consentire finalmente all’umanità di liberarsi dal sinistro spettro della violenza razziale chiamato genocidio.

Nitwa Sergio ndi Umutalian Nkunda abanyaRwanda nu Rwanda. Ringrazio tutti e auguro la migliore fortuna al Popolo e alla nazione ruandese.

Sergio Brevilacqua


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Sergio Bevilacqua

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