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Reportage. L’ex stabilimento Piaggio di Finale Ligure. Una grande e gloriosa storia di abbandono. Serve lungimiranza di amministratori e imprenditori


A novembre 2022 è fallita la Finalmare spa, la società proprietaria delle ex aree Piaggio di Finale Ligure. “I fallimenti di Piaggio e Ghigliazza potrebbero e dovrebbero far ripartire una discussione della e nella città” ha dichiarato il vicesindaco e assessore finalese ai Lavori pubblici Andrea Guzzi.

di Ezio Marinoni

Se fosse una favola, si potrebbe dire: se ad Alba c’è la Ferrero, a Finale Ligure c’era la Piaggio.

Questa storia nasce da una iniziativa pubblica, un’azione di politica industriale svolta dal Comune di Finale Ligure che, dopo l’inaugurazione della linea ferroviaria Savona-Ventimiglia del 1872, si è trovato a fronteggiare la crisi del modello di sviluppo fino a quel momento legata al traffico via mare delle merci (con i “bastimenti”) ed alle attività connesse.

L’amministrazione comunale decide di investire (non vi è qualche somiglianza con il presente, pur fra diversi tempi di crisi?) per attrarre nuovi investimenti industriali e far così fronte al disagio lavorativo, per evitare un declino demografico. Letta con gli occhi di oggi, è una scelta di straordinaria lungimiranza che ha garantito un secolo di sviluppo e fa riflettere circa il ruolo della politica e i suoi rapporti con l’impresa.

Il 10 gennaio 1900 il Comune di Finalmarina (dal 1927 Finale Ligure) pubblica sul Corriere della Sera e su altri quotidiani un bando per attirare sul suo territorio imprese capaci di impiegare un centinaio di lavoratori, in cambio di contributi e agevolazioni fiscali e un “premio non superiore a Lire 150.000” (cifra ragguardevole per il tempo) a favore dell’industriale o della società che avesse avviato un’importante industria nel Comune. Sono necessari sei anni per realizzare il progetto: nel 1906 nascono fondate le Officine di Finalmarina per la costruzione di carri ferroviari e il nuovo stabilimento – progettato dall’architetto Riccardo Haupt e realizzato dalla Colombo-Ventini Martino & C. di Milano – viene inaugurato il 22 luglio 1907.

In precedenza, il 30 luglio 1906, davanti al notaio finalese Raimondo Anfossi, avviene la stipula del contratto per l’impianto industriale in Finalmarina, il Comune era rappresentato dal Sindaco Nicolò Saccone, la Società Officine di Finalmarina dal Presidente Rinaldo Piaggio.

I punti salienti dell’atto sono: a) concessione da parte del Comune di un sussidio di Lire 170.000 pagabili in quindici rate annuali posticipate: Lire 15.000 annue per i primi quattro anni di esercizio e rate da Lire 10.000 ciascuna per gli altri undici anni; b) inizio dell’ attività entro un anno dalla data della convenzione; c) numero degli occupati, operai e capi operai di sesso maschile, non inferiore alla media di 150 per giorno; almeno quattro quinti con età superiore agli anni 18; d) invio al Comune dell’elenco nominativo degli operai e di un estratto del libro paga; e) comunicazione scritta al Sindaco dell’inizio del funzionamento regolare dello stabilimento; f) esenzione, per tutta la durata del contratto, del dazio comunale per le materie necessarie all’ esercizio dell’industria introdotte e messe in opera nello stabilimento, come pure per i combustibili in esso adoperati e per i materiali necessari alla costruzione della fabbrica.

Nel periodo antecedente la Prima guerra mondiale, difficoltà produttive portano lo stabilimento sull’orlo del fallimento: sarà il conflitto a rilanciare l’impianto, sotto altra forma.

Nel secondo semestre del 1917 la Società Officine di Finalmarina cade in liquidazione: l’Assemblea Generale Straordinaria degli Azionisti, nella seduta del 3 agosto, ne delibera lo scioglimento anticipato. Diventerà “Piaggio & Comp“, allargando la propria produzione, in particolar modo al settore aeronautico, per la produzione e riparazione su licenza di idrovolanti da ricognizione e bombardamento Franco-British Aviation FBA e SIAI S.8. Tali lavorazioni impongono l’ampliamento della fabbrica, che Rinaldo Piaggio affida all’architetto piemontese Giuseppe Momo: in particolare l’hangar, costruito in riva al mare dalla Società Mantelli-Corbella & C. di Genova, presenta un’innovativa struttura in cemento armato a pianta rettangolare di 7.700 m2, lunga quasi 100 m e larga 83 m, con cinque navate laterali larghe più di 16 m e alte 11 m.

Nell’inverno 1917 il progetto subisce alcune modifiche per consentire di movimentare gli ingombranti idro-bombardieri Caproni 600 hp: tali interventi comportarono l’aumento della larghezza a 25,5 m, l’elevazione della navata centrale fino a 20 m, ritardi nella consegna e costi lievitati a oltre 450.000 lire. Terminato nell’agosto 1918, l’hangar è visitato da una Commissione Militare americana che lo definisce «costrutto con criterii moderni» e – si legge su Il Ligustico del 22 settembre 1918 – «superiore ad ogni altro».

La fabbrica finalese si afferma come polo un motoristico per il montaggio e la revisione di propulsori a pistoni, turboelica e a reazione: tra questi ultimi i Rolls Royce Viper montati sugli Aermacchi MB 339 delle Frecce Tricolori. I nuovi equilibri internazionali provocati dal cambio degli assetti geopolitici avvenuto tra il 1989 e il 1991 e la contrazione del mercato aeronautico incidono sulle Industrie Aeronautiche e Meccaniche Rinaldo Piaggio (denominazione assunta nel 1964) nel periodo di sviluppo dell’innovativo velivolo P.180: da allora la fabbrica ha vissuto periodi di crisi e tentativi di rilancio, attraverso riassetti societari e cambi di proprietà (da IAM Rinaldo Piaggio a Piaggio Aero Industries, infine Piaggio Aerospace), prima del trasferimento nei nuovi impianti di Villanova d’Albenga avvenuto nel 2014, quando l’ultimo operaio ha lasciato la fabbrica e il vento e il silenzio si sono impadroniti dell’area.

La Piaggio è stata il passato di Finale Ligure, dalle sue ceneri potrebbe passare un pezzo di sviluppo, perché è malinconico vedere quegli imponenti ruderi a destra e a sinistra dell’Aurelia, al termine del raccordo per l’autostrada, dove ogni giorno passano migliaia di persone. Si avverte una sensazione di sconfitta e di impotenza o di rassegnazione di fronte a quel triste spettacolo. Generazioni di finalesi hanno “faticato” nello stabilimento collocato ai piedi della Caprazoppa, perché lavorare lì, al di là del posto sicuro, voleva dire fare parte della storia più intima e profonda di Finale Ligure, perché la storia qualche volta la scrive una fabbrica, come in questo caso.

La vera sfida ora è il futuro, la riconversione dell’area, quella che è stata la Città del Volo, oggi vive uno stato di incuria, lo scheletro danneggiato dai vandali e inciso dai graffiti: il grande capannone lato mare e il piazzale a monte gridano nel silenzio la loro sofferenza. Centinaia di persone hanno varcato quei cancelli, al suono della sirena che riecheggiava in paese, quel che resta di tutto l’impianto sembra inesorabilmente destinato alla demolizione. C’è bisogno di un progetto coraggioso, nuovi investimenti, lungimiranza di amministratori e imprenditori, proprio come accadde oltre cento anni fa.

Ezio Marinoni

 


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Ezio Marinoni

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