Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Il film ‘La Giunta’ del regista Scippa e a Savona la forte stagione del cambiamento


Giovedì 23 marzo ore 21 presso il Filmstudio sarà presentato (con dibattito) il film “La Giunta” che il regista Alessandro Scippa ha voluto dedicare all’esperienza della giunta Valenzi, prima amministrazione di sinistra a Napoli in esito alle elezioni del 15 giugno 1975 dopo il lungo sonno speculativo- corruttivo laurino-gavianeo.

di Franco Astengo

Colgo allora l’occasione per ricordare quel fondamentale passaggio politico verificatosi tra il 15 e il 16 giugno 1975 perché quell’esito elettorale avrebbe dovuto corrispondere al titolo dell’Unitàl’Italia è cambiata davvero”.

Si affermò in quella dimensione l’ esito di un non breve processo di trasformazione della società italiana avviato dal boom degli anni’60 e avanzato con il più lungo ’68 d’Europa caratterizzato nell’autunno caldo dall’intreccio operai/studenti, le grandi mobilitazioni democratiche in risposta ai tentativi di strage di Piazza della Fontana, Reggio Calabria, Italicus, Piazza della Loggia, fino alla tappa fatidica del referendum sul divorzio del 12 maggio 1974.

L’esito di quel referendum dimostrò quanto la base sociale dei grandi partiti di massa fosse più avanti nella concezione della modernità rispetto ai suoi gruppi dirigenti . In quel 12 maggio di quasi cinquant’anni fa vennero prepotentemente alla luce i dissensi, le contraddizioni, gli spunti d’avanguardia in particolare nel mondo cattolico .

Quei dissensi del mondo cattolico che ancora si erano espressi soltanto parzialmente in esito al Concilio Vaticano II e che la DC aveva cercato di esorcizzare cercando alleati a destra ( II governo Andreotti, campagna referendaria fanfaniana condotta a fianco del MSI). Fu quella del 12 maggio 1974 il vero punto di rottura della DC, non colta appieno dagli analisti politici dell’epoca e soprattutto dai dirigenti della sinistra.

Il 15 giugno 1975 tutto questo movimento si riversò nelle urne premiando soprattutto il PCI e favorendo la formazione di giunte di sinistra in regioni (Liguria compresa) poste al di fuori dal classica “zona rossa” del derby dell’Appennino e nelle città principali: Torino, Milano, Napoli confermando Firenze e Bologna. Genova e Roma sarebbero seguite nella tornata amministrativa successiva svoltasi il 20 giugno 1976 in coincidenza con le elezioni politiche.

Possiamo allora azzardare un giudizio politico sia pure a distanza di tanti anni, in occasione di questo annunciato ricordo cinematografico?

1) Il referendum del 1974 rappresentò il punto più alto dell’avanzamento del processo democratico nel nostro Paese. Un processo democratico avviato con il risultato delle elezioni del 1968, la stagione dei consigli sindacali, la capacità di lotta della classe operaia, lo sviluppo della partecipazione al governo del territorio nelle Città, la democratizzazione di settori professionali come la medicina, la psichiatria, la magistratura financo la polizia (che durante il 1968-69 si era ancora mossa in continuità con lo “scelbismo”);

2) Come già accennato le elezioni amministrative del 1975 rappresentarono il punto di caduta di quel movimento; il momento di vero “risvolto politico”. Si apriva allora, con il proliferare delle “giunte rosse”, una nuova stagione di riforme alla quale non si rispose adeguatamente sul piano politico generale: anche perché se è vero che furono avviati processi amministrativi di grande importanza come sul piano dei servizi sociali e dell’incremento oggettivo del welfare e si cercò di mettere ordine nell’uso del territorio e nella crescita edilizia fu compiuto un errore sul terreno di quella che fu definita la “finanza derivata” e – al riguardo delle Regioni – non si riuscì a completare un meccanismo di decentramento prima di tutto legislativo su alcune materie per le quali era stato annunciato.

3) Il processo politico che si mise in moto in conseguenza di quel risultato fu molto importante: giunte di sinistra fondamentali per l’insieme dell’assetto politico del Paese come quelle di Torino e di Milano furono rese possibili da una divisione del fronte avverso con il passaggio a sinistra di settori socialdemocratici e – addirittura – liberali. Napoli rappresentò un vero e proprio “emblema di liberazione”: Roma, come abbiamo già accennato, sarebbe seguita 12 mesi dopo;

4) Quel portato politico dimostratosi nel 1975 non si ripeté nel 1976 in occasione delle elezioni politiche, anche se i numeri finali del PCI si mostrarono ancora in crescita. Non sviluppiamo qui un discorso critico sufficientemente articolato ma alcuni temi debbono essere ricordati: il contesto era – da un lato – quello del compromesso storico e dall’altro dell’inasprirsi del terrorismo, un fenomeno che poi nel corso della legislatura avrebbe portato al rapimento Moro e ad un punto di vera e propria cesura epocale del sistema attraverso la frattura “fermezza vs.trattativa”. Il 20 giugno 1976 la DC, rinnovata la segreteria, si erse di nuovo a bastione anticomunista: il suo recupero elettorale risultò rilevante ma del tutto interno all’area del vecchio “centrismo” prosciugando PRI,PLI e PSDI. La rottura del mondo cattolico rimase evidente e profonda, ma la proposta di “compromesso storico” aveva interrotto lo spostamento a sinistra dell’area laica e ridotto ai minimi termini il PSI che si era fatto promotore di chiedere le elezioni anticipate. Il resto è storia che non si affronta in questa sede.

Nella sostanza si può affermare che il punto più alto della richiesta di cambiamento nel Paese si era avuto con l’esito referendario; il risultato delle amministrative 1975 può essere ancora considerato come nell’onda di quella richiesta di cambiamento mentre l’esito delle politiche 1976 (punto più alto del radicamento elettorale di DC e PCI: protagonisti del “bipartitismo imperfetto”) risultò comunque inserito in un quadro che può già essere definito come “discendente”.

Su tutto questo, ovviamente, ben presente il peso della competizione internazionale, della logica dei blocchi, della aspirazione allo status quo in Italia ben evidenziato dalle superpotenze (status quo da mantenere ad ogni costo). L’assenza di una alternativa confermò la “doppiezza” incistata tra “conventio ad excludendum” ed “arco costituzionale” un equivoco su cui poi si sviluppò (pur in una situazione di riformismo, dal servizio sanitario nazionale, all’equo canone,ecc) il consociativismo che pure aveva già avuto i suoi prodromi.

Di sicuro interesse l’esame dell’esito delle amministrative 1975 a Savona.

Savona aveva fornito un grande contributo (come era già successo nell’occasione del referendum istituzionale del 1946) alla vittoria democratica nel referendum sul divorzio: in quel frangente si erano ben dimostrate evidenti quelle forze di matrice cattolica che si erano schierati contro la DC in una chiara funzione progressista.

L’esito delle elezioni del 15 giugno 1975 si collocarono in quel solco allargando la maggioranza PCI-PSI già insediata a Palazzo Sisto IV dal 1970 dopo un breve periodo di centro-sinistra e permettendo per la prima volta la formazione di una giunta di sinistra nell’Amministrazione Provinciale: altri comuni della provincia di Savona passarono per la prima volta alla sinistra dopo decenni di dominio DC.

A quel punto a Savona si aprì una forte stagione di cambiamento, pur all’interno di un quadro di già accentuato declino industriale. Cambiamento incentrato soprattutto su 3 punti: la rete dei servizi sociali; la cultura; il decentramento inteso assieme come partecipazione e allargamento sul territorio della capacità di governo (nell’inverno precedente alle elezioni si era avuta la grande dimostrazione di forza collettiva con l’episodio “storico” della vigilanza popolare contro il terrorismo fascista).

In quel periodo si avviò anche, a partire dal livello regionale, quella logica di “scambio politico” e di “giunte bilanciate” che aprì le porte alla vicenda che, nei primi anni ’80, assunse le vesti dello “scandalo Teardo” con la conquista del PSI da parte di un sistema di corruzione poi fermato dalla Magistratura.

Un episodio dai tratti allora inediti nella storia della corruzione politica in Italia che assunto e analizzato fino in fondo avrebbe potuto anticipare la vicenda di Tangentopoli e che (assieme al coevo caso “Biffi Gentili” di Torino) in ogni caso avrebbe segnato una svolta nella funzione di governo locale della sinistra.

Non si entra qui nel merito delle vicende successive (al momento dell’arresto di Teardo e dei suoi sodali vi fu una reazione con l’amministrazione comunale di Savona retta da un monocolore comunista di sicura garanzia democratica) ma si segnala soltanto che il proseguire nella discussione su quel periodo cruciale considerato nel suo insieme, non deve significare semplicemente una rievocazione ma l’entrare nella carne viva di un periodo di grande complessità politica nel quale si consumò probabilmente un pezzo importante di radicamento del sistema e di “isolamento” della politica che poi avrebbe progressivamente portato a una profonda modificazione del sistema politico italiano con la caduta (per cause molteplici) della “Repubblica dei Partiti” come definita da Pietro Scoppola.

Franco Astengo

UNA PROPOSTA PER LA REGIONE LIGURIA

di Franco Astengo (Associazione “Il Rosso non è il Nero – Savona”)

I tempi sono maturi per avviare una riflessione ed un confronto sulla prospettiva di mettere assieme forze e intelligenze al fine di avanzare una proposta politica in grado di fornire in vista della tornata elettorale del 2025, un contributo progettuale e politico alla costruzione di un’ampia alleanza democratico – progressista.

Non si tratta però di impostare un discorso rivolto semplicemente in chiave elettorale .

Occorrerà muoversi in profondità per una vera e propria “costruzione di senso” e di visione riguardante il futuro del nostro angolo di mondo in relazione alle grandi modificazioni che ci attendono sul piano sociale, scientifico, tecnologico, ambientale: temi che dovrebbero essere raccolti e sintetizzati in un adeguato agire politico e in una elevata capacità di intreccio tra cultura e funzione di governo del territorio.

Limitiamo comunque l’espressione di un nostro punto di vista alla fase che ci attende nell’immediato.Quali possono essere allora i punti sui quali avviare questa auspicata riflessione da realizzarsi attraverso un vasto dibattito tra diversi soggetti politici, culturali, associativi?

Prima di tutto vanno formulati alcuni giudizi sul piano generale:

1) Il primo punto di criticità da analizzare riguarda il cosiddetto progetto di “autonomia differenziata”. Questa ipotesi appare pericolosa prima di tutto perché spezzerebbe l’unitarietà dell’intervento pubblico in campi delicatissimi e già in forte difficoltà come – ad esempio – scuola e sanità. L’autonomia differenziata aprirebbe la strada ad ulteriori invasioni di un “privato” tendente a fare di questi soggetti del welfare un terreno di caccia speculativo (come già sta avvenendo in forma molto pericolosa). In secondo luogo perché porrebbe in discussione il concetto stesso di rapporto tra Stato e sistema autonomistico già incrinato con l’affrettata modifica avvenuta a suo tempo del titolo V della Costituzione;

2) Il secondo elemento da analizzare sul piano generale è quello del modificarsi progressivo del ruolo dell’Ente Regione con un passaggio da soggetto di produzione legislativa e di indirizzo politico-amministrativo a Ente di nomina e di spesa. Nel frattempo dal punto di vista della capacità di intermediazione del sistema è venuta meno una vera e propria “qualità di governo” d’area vasta intermedia con lo scadimento di ruolo delle Amministrazioni Provinciali e la creazione della Città metropolitana (che appare proprio come soggetto istituzionale limitato in quelle funzioni di intermediazione e coordinamento tra territori cui si faceva cenno). Deve essere sottolineato anche il fatto che questa trasformazione dell’Ente nel suo muoversi attorno alle proprie coordinate di governo è stata enfatizzata dal meccanismo elettivo del Presidente della Giunta con l’elezione diretta (ruolo incautamente definito con vezzo giornalistico di “governatore”).

Entrando nel merito dei temi riguardanti la Regione Liguria e del giudizio che può essere formulato sull’attuale amministrazione è possibile affermare che proprio quelle caratteristiche di “nomina” e di “spesa” sono state assolutamente caratterizzanti l’amministrazione di centro – destra in carica dal 2015 in una mediocre versione di tipo corporativo e politicista.

Disponendo di questo appena enunciato punto di partenza può diventare allora possibile elencare alcuni elementi sui quali avviare un auspicato discorso di ricognizione orientato a favorire la necessaria progettualità:

1) Emergono come prioritari i temi dell’invecchiamento della popolazione e del deficit demografico: temi che richiamano la possibilità di utilizzare alcuni punti di forza presenti nella nostra Regione dal punto di vista dell’accoglienza delle nuove forme di lavoro legate alla digitalizzazione e dell’incremento e regolazione dei flussi migratori e relativi processi di integrazione considerati soprattutto sotto l’aspetto formativo;

2) rimane da sciogliere un nodo atavico che è quello di un discorso di unitarietà dei riferimenti regionali in presenza di un accertato ruolo di Genova come “Città Regione”: questo elemento appare fondamentale da affrontare in relazione ad alcuni temi i principali dei quali riguardano le infrastrutture per le quali è necessario sviluppare un progetto di equilibrio tra l’uscita dall’isolamento e l’orientamento verso le direttrici di traffico (non soltanto per le merci) ferroviario, stradale, marittimo. Va individuato un asse portante verso il Nord , verso l’Ovest (Genova – Nizza), ad Est in rapporto con il “nuovo triangolo” e la Mitteleuropa, facendo in modo che tutta la Liguria si trasformi nello sbocco naturale delle aree più forti economicamente dell’Europa continentale tornando parte integrante della zona economicamente più avanzata del Paese, dopo la fine del cosiddetto “triangolo industriale”;

3) Tre settori: quello portuale, quello turistico e quello sanitario possono rappresentare un nuovo volano di sviluppo a condizione che si superino – appunto – ristrette visioni corporative e privatistiche (emblematico il “caso balneari”) attraverso il recupero da parte dell’Ente Regione di una propria capacità programmatoria da inserire in un contesto molto più ampio di riferimento nazionale e sovra-nazionale;

4) La presenza di una possibilità di sviluppo nella relazione tecnologia/innovazione industriale. Anche in questo caso il discorso di dimensione regionale appare assolutamente imprescindibile in quanto appare necessario, per attuare una efficace programmazione, analizzare il tema delle aree industriali dismesse sulle quali proporre di avviare imprese ad alto livello di know-how che, ad esempio in una situazione come quella della Val Bormida, rappresenta un elemento assolutamente decisivo per qualsiasi prospettiva futura;

5) La Liguria ha sofferto nel corso del tempo di una forte accelerazione nella cementificazione del suo fragile territorio (non a caso proprio il processo di invasione del cemento fu definito a suo tempo come “rapallizzazione”). Si tratta di un punto che assume ancora fondamentale importanza anche soprattutto sotto l’aspetto del rapporto costa/entroterra con lo spopolamento di interi borghi e relativo depauperamento economico. Si rileva la necessità di un vero e proprio piano di recupero in questa direzione. Grande attenzione da questo punto di vista andrà posta alla viabilità interna.

Franco Astengo


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