Tra chiacchiere, bugie e tortelli, professori e presunti tali a Carnevale. Grazie alla maschera di Balanzone, suggestioni e pretesti derivanti da una festa annuale particolarmente riuscita, probabilmente la più longeva e socialmente rappresentativa di tutti i tempi.
di Antonio Rossello
Come da tradizione, anche quest’anno il Carnevale è finito lo scorso 21 febbraio, ossia il martedì (grasso) precedente il Mercoledì delle Ceneri che segna l’inizio della quaresima, dopo il suo momento culminante a partire dal giovedì (grasso) della settimana prima.
In questi giorni sui media si è rinnovata la consuetudine di articoli nei quali esperti in pasticceria ci hanno accompagnato alla scoperta delle ricette di carnevale per eccellenza: le chiacchiere, le bugie e i tortelli. Si tratta di dolci assai diffusi sul territorio nazionale, talora con nomi diversi (ad esempio le frappe) e leggere variazioni di ricette. Oltre al fatto di essere fritti, sono tutti accomunati dalla godibilità al palato e dall’aria festaiola che suscitano anche solo alla vista.
Se, però, ci rivolgiamo all’ermeneutica, alla sua prospettiva che rilancia ad un senso di visione a tutto tondo della realtà –ovvero ne abbraccia tutte le sue manifestazioni, non ci può sfuggire un ulteriore significato, che affonda le radici nel linguaggio comune, da attribuire a chiacchiere, bugie e tortelli.
E così ci affacceremo su pensieri, parole, opere e omissioni che connotano una masnada di manipolatori, mestatori, mentitori e millantatori. … In una sola parola… cialtroni!!! …nella misura in cui esser privi di serietà e di correttezza nei rapporti umani o mancare di parola negli affari può in sé simbolicamente alludere a quell’uso di travestirsi fatto risalire ad una festa in onore alla dea egizia Iside.
In tal guisa, nemmeno viene persa l’attinenza con il Carnevale odierno che, essendo un tuffo nell’allegria, come pure nelle contraddizioni della vita e della società, attraverso le sue maschere rappresenta un viaggio nella storia d’Italia.
Ognuna proveniente da una città diversa, con un ruolo ben preciso e in linea con gli stereotipi legati all’idea della città di origine stessa, grazie alla Commedia dell’Arte e al genio di Carlo Goldoni (che infatti le usava nelle sue più famose commedie e sul palco si incontrava praticamente tutta Italia), tali maschere hanno intessuto e intessono uno spaccato della realtà in grado di mettere in luce i nostri vizi e di non soffermarsi troppo, per una volta, sulle nostre virtù.
Tra le pieghe della commedia popolare che si è sigillata nel Carnevale Italiano, come uno dei lasciti culturali più preziosi che abbiamo, per chi è oggi stufo di una società di millantatori e di poltronisti, per chi pensa che servano fatti e non solo parole, troviamo esempi di stupefacente attualità. Un caso sintomatico è quando, ad ogni occasione utile, in tv, sui giornali, dappertutto appaiono miriadi di personaggi che propinano suggerimenti e soluzioni a più non posso. Spesso sono costoro i quali si fregiano o vengono fregiati, specialmente dagli organi di stampa, del titolo di “professore”, sebbene ben pochi veramente possano usare lo stesso.
Ecco perché il Dottor Balanzone emerge forse come la maschera che più si attaglia alle premesse su chiacchiere, bugie e tortelli. Emiliano come quest’ultimi, proviene dalla “grassa e dotta” Bologna. Saccente, dottore soltanto di nome, a volte medico, altre notaio o avvocato, è sicuramente frutto dell’invenzione goliardica che lo ha partorito sulle scene di qualche farsesca rappresentazione.
Come tutti i bolognesi, è una buona forchetta, ma soprattutto, quando viene chiamato in causa, si trincera dietro il suo vano “latinorum”, frammisto ad intercalari dialettali anche di altre città o di citazioni iperboliche non sempre azzeccate. Vano è qualsiasi tentativo di interromperlo quando parla. Ci pare proprio di conoscerlo!
Lo ritroviamo nella patetica sembianza del millantatore e vanaglorioso, che oggigiorno ha numerosi degni rappresentanti lungo l’intero corso dell’anno. E poi che cosa dire di quanti farebbero carte false, o sfrutterebbero gli amici, per accaparrarsi, in ambito accademico, un qualsivoglia incarico di professore a contratto?
Si tratta della figura che (a titolo gratuito o meno) può essere nominata, per un periodo limitato (un semestre o un anno accademico) ma rinnovabile, in quanto esperto della materia insegnata. Gli aspiranti dovrebbero provenire dal mondo dell’industria e delle aziende oppure da una struttura pubblica di ricerca, come il Consiglio Nazionale delle Ricerche…ma sempre capita?
Da qui già si comprende quale possa essere il ruolo giocato dalla discrezionalità. Ebbene, la molla che talora spinge a sgomitare per ottenere la nomina risiede nel fatto per cui, pur non essendo necessariamente professori o ricercatori, non avendo come loro sostenuto un concorso, i fortunati che la ricevono possono benissimo fregiarsi del titolo di professore ma limitatamente al periodo della stessa. Quindi non oltre, questo almeno secondo un parere a suo tempo espresso dal Consiglio di Stato.
Tuttavia, ciò non solo contribuisce ad accrescere la confusione negli studenti ma presta anche il fianco a scorrettezze quali eventuali successivi usi impropri del titolo.
Questa è in fondo una delle tipiche ragioni per cui, quando mi capita di andare all’estero, sento spesso dire che l’Italia è il Paese del sole, del mare e dei furbetti. Puntualmente rinuncio a rispondere, siccome è pressoché inutile cercare di sgamare, di smascherare i marpioni di tale fatta.
Cambiando di volta in volta maschera, sia essa una supposta genialata o qualsivoglia incredibile trovata, infatti, essi paiono sovente mossi dalla mai sopita ambizione di traghettare nuovi incauti ammiratori nelle terre leggendarie dell’eterno carnevale.
D’altronde il Carnevale, diciamocelo, è la festa più democratica che ci sia. Religiosa o pagana, per ricchi o per poveri (tanto siete tutti travestiti), per bambini e per adulti. Perché il Carnevale prevede un obiettivo: lasciarsi andare e dedicarsi allo scherzo. E quello, si sa, piace un po’ a tutti: se almeno dicessero veramente chi sono, certi imperturbabili buffoni ci diventerebbero persino più simpatici.
Antonio Rossello