A 45 anni e 9 mesi, Giorgia Meloni, oltre a essere il primo Capo del Governo della Repubblica Italiana di sesso femminile, è anche il quinto più giovane su ben 31.
di Sergio Bevilacqua
Viene dopo l’ex enfant-prodige Matteo Renzi, che batté sul filo di lana Benito Mussolini, che viene prima del povero Giovanni Goria e dell’antico Marco Minghetti. Per non farci mancare delle aspettative verso la nostra attuale Presidente, come gradisce essere chiamata in onore alla espressività della Lingua Italiana che è dotata del genere neutro per le cariche istituzionali e molto altro, Giorgia viene prima di mostri sacri come Amintore Fanfani, Giulio Andreotti, Alcide De Gasperi, Bettino Craxi e Silvio Berlusconi.
Va detto che i primi esiti dialettici della sua importante investitura democratica sono stati sorprendentemente positivi: l’opposizione stessa, partita lancia in resta, non ha potuto affondare come sembrava scontato con il battage del fascismo, in quanto Giorgia è stata brava e disarmante da accattivarsi tutto l’accattivabile, incluso il predecessore Mario Draghi, che deve avere avuto, dalla romana, rassicurazioni fortissime e sincere. Lui e Mattarella, infatti, avevano mandato a casa il peggior Parlamento della storia repubblicana con una maledizione. In Rigoletto di Verdi, un vecchio (Mattarella) o due (anche Mario Draghi non è imberbe) avevano lanciato al gobbo giullare il malocchio: “Quel vecchio meledivami…” cantano baritoni in tutto il mondo: e la Meloni era assurta con questa maledizione operativa. Ma…, ma, appena salita con le sue truppe parlamentari, come d’incanto il clima e le tensioni più acute si sono dissolte.
Mi sovviene un’opera, un quadro, di un’altra grande donna, ma della storia dell’arte italiana, Artemisia Gentileschi. “Susanna e i vecchioni” è un soggetto che Artemisia, romana anch’essa, produsse in molte versioni: da quella primitiva del 1610, dove la timida Susanna era come investita dall’autorità e potere degli anziani, fino a quella del 1652 dove invece mostra di dialogare da pari a pari.
Tre grandi vecchi sono più o meno silenziosamente apparsi affascinati e stupiti da questa nostra quarantacinquenne politica di vertice:
- Il Presidente della Repubblica Mattarella, 81 anni, non le ha fatto mancare nella cerimonia d’investitura, sorrisi di incoraggiamento e rispetto.
- Il precedente premier Mario Draghi, 75 anni, ha attivato una pragmatica linea di dialogo con lei, non lasciando trasparire frizioni e attriti;
- Il giurista Sabino Cassese, 87 anni, giudice emerito della Corte Costituzionale, ha espresso esplicito favore a contenuti e modi espressivi della neo-premier.
Molto bene; e tornando al confronto con la Gentileschi, questa Susanna è certamente quella del 1652, che, per analogia, fu prodotta da un’artista donna, una “pittora” come amava definirsi lei, che aveva raggiunto, dopo lunghe traversie e dolori, una meritata e orgogliosa fama continentale.
Dunque, le attese con tutto questo sostegno di fatto sono molto, molto elevate. In Fratelli d’Italia ci sono molti politici intelligenti, che mostrano uno stile non proprio italico, lievemente “british”. Che un partito nato da una posizione estrema del quadro parlamentare, riesca a produrre l’immagine di forza diffusa di rappresentanza, e di modernità decisamente nuova per quel lato dell’anfiteatro parlamentare è piuttosto sorprendente: inoltre, non è partito del presidente come fu la grande (va detto, lo è stata) Forza Italia, che ha negato a lungo (e nei fatti soprattutto…) il lato pubblico che la Costituzione, il buon senso e l’esempio delle secolari democrazie occidentali affida ai partiti; non è movimentista e sgangherato come la Lega.
Guardando poi al lato sinistro, FdI non è forza politica volgarmente pragmatica come Azione di Calenda, non è superficialmente populista come il M5S di Conte.
A chi somiglia di più? Certo, è giunta oggi a intercettare quel 20 % di elettori insoddisfatti e senza ideologia che hanno vagato per disperazione, in cerca di rappresentanza sostanziale come vuole la democrazia, nell’arco costituzionale votando portando prima Renzi, poi Salvini, poi Grillo. Ed è arrivata alla sfida del governo dello Stato, primaria espressione della Repubblica Italiano. FdI sembra aver dentro lo spirito organizzativo proprio dei partiti europei e occidentali in democrazia, la catena tra Paese reale e Paese legale, emblematico nella democrazia inglese. Ma non è ancora abbastanza organizzato per essere davvero quella catena.
FdI è oggi come una squadra di calcio che gioca una finale di Champion League a piedi nudi: ottimi solisti ne ha eccome e ha una Presidente del Consiglio con molti assi nella manica. Ma per giocarsela davvero, quella finale, e attivare un vero Governo decennale o anche solo pluriannuale, occorre che supponiamo bravi giocatori indossino le scarpette da calcio: devono avere dietro, cioè, la spinta moderna e lucida del popolo, che si attiva con l’organizzazione del partito, basato su raccordi con i corpi sociali intermedi (sindacati, patronati, Terzo settore, associazioni, aziende, ecc.) e su servizi concreti forniti dalle strutture interne del partito alla gente, elettori propri e popolo senza tessera. Gli eletti in prima linea, a raccogliere le esigenze di raccordo delle persone con l’enorme organismo dello Stato, e uffici interni specializzati per risolvere le questioni, che devono essere costituiti da esperti che NON SONO i parlamentari.
Ecco da dove viene il famoso detto italiano che il politico promette e non mantiene… per forza, non c’è Pico della Mirandola che possa rispondere, operare e garantire su circa 100000 processi primari gestiti dalla oltre 10000 amministrazioni dello Stato, spesso tecnicamente complessi in sé, oltreché complicati dalla migliorabile burocrazia pubblica italiana. Ci vogliono dentro ai partiti uffici specializzati nel dare servizi al Paese reale delle persone, fisiche e giuridiche. Le quali, così non vanno in piazza e non migrano tra sinistra e destra alla disperata ricerca di quella rappresentanza di cui abbiamo perso sensibilità, ma che tutti sappiamo di dover cercare presso i partiti (loro strutture operative ed esponenti).
La vera analisi della fragilità della democrazia italiana e della volatilità dell’elettorato italiano dipende proprio dall’assenza di questi concreti servizi delle organizzazioni di partito. Non a caso, l’unico che li ha, il Partito Democratico, è marcito di egemonia, ma mantiene sempre il suo zoccolo duro, continuo e inossidabile, del 20 %, secondo questa gravissima patologia che lo affligge, è pronto a rispuntare per sostenere un’altra tornata di simil-commissariamento e di sostanziale sospensione democratica, come è stato con Draghi e con Monti.
Lo ripeterò fino alla fine: se non si costruisce un altro partito degno di questo nome, il destino dell’Italia democratica è segnato. Susanna deve ascoltare i suoi vecchioni, ma anche proteggersi al più presto le spalle con un partito finalmente in grado di costituire un’alternativa alla pericolosa egemonia del PD, con il suo deep-state dei signorsì e i suoi clientelismi di fatto e di logica.
Un partito rinnovato, che, insieme ai servizi concreti di raccordo tra Paese legale e Paese reale, distingua l’organizzazione interna dai ruoli di indirizzo e controllo dello Stato, selezioni le candidature, svolga studi e ricerche di tendenza, attua una sana pianificazione finanziaria per le sue molte esigenze operative, grazie ai finanziamenti pubblici ma anche privati, con quel sano lobbismo che vede, quasi keynesianamente, l’economia pubblica come volano del benessere e creatrice di grandi opportunità per le aziende e le persone. Nulla di nuovo, di strano o di ingenuo: il lobbismo può essere sano, e gli interessi economici privati possono e devono essere trattati con il rispetto supremo della legge e del bene dello Stato, che altro non è che una forma del bene per i cittadini proprietari della Repubblica Italiana.
Forza, Giorgia Meloni: lo Stato ha bisogno di un avveduto e consapevole indirizzo e anche di molto lavoro nel controllo, che è la professionalità più rara nei nostri politici tutti: bravissimi a cantare i valori di un tipo e dell’altro, a scannarsi in parlamento come nelle aule dei tribunali, ma incapaci di mantenere saldo il timone del governo delle organizzazioni pubbliche, cioè delle attuazioni delle decisioni d’indirizzo e dei relativi costi per la comunità. Per i legittimi proprietari della Repubblica, da loro rappresentati. E, insieme a ciò, la democrazia italiana ha urgente bisogno anche di un partito ben organizzato, che recuperi il rapporto con la gente. E che diventerebbe la vera garanzia di un decennio di possibile grande lustro per l’Italia e gli italiani.
Per risolvere le fragilità storiche italiane devono essere oramai coinvolte tutte le forze della nostra società. Per questo ci vuole non solo un buon governo, ma anche un nuovo, buon partito.
Sergio Bevilacqua