Trucioli

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Come ti uccido il teatro. Una vera vergogna


La ignoranza e prepotenza impresariale e l’uso opportunistico.della notorietà cinematografica nel delicato e prezioso settore del LIVE teatrale.

di Sergio Bevilacqua 

L’ultimo libro dell’autore dell’articolo: L’arte al femminile

L’ignoranza uccide. La prepotenza uccide. La volgarità uccide. Fare confusione tra potere e catarsi uccide e danneggia l’arte.

Nella mia vita è capitato spesso che qualcuno mi grattasse il palmo della mano: per chi non lo sa, in una stretta di mano, questo gesto non visibile è il segno di appartenenza a una o l’altra confraternita di tipo massone fino ad arrivare alle più gravi deformazioni mafiose. Se rispondi col “grattino”, anche tu ne sei parte, se non rispondi non sei parte e probabilmente sei contro: io, ad esempio. Se l’interlocutore senza essere avveduto del fatto che tu ne sia parte te lo fa, oltre ad essere una domanda, è ovvio che quel gesto diventa una minaccia: significa tienimi in considerazione speciale, sennò… Ecco dove le organizzazioni segrete iniziano a sconfinare in criminali.

Come ho spiegato nel mio ultimo libro sull’arte al femminile, quasi ogni forma di prostituzione danneggia l’arte: perché la sostituzione della delicata e nobile esperienza artistica con il sesso, la droga, il denaro e il potere produce gravi effetti distorcenti, riducendo l’arte a semplice evento pubblico, come la presentazione della nuova bibita. Che a sua volta può essere fatta in modo artistico, ma sempre rispettando ovviamente le specifiche magistralità.

Se non si riconosce la differenza tra la ceramica e la scultura si è ignoranti. E la ignoranza uccide l’arte, ne affossa la specifica catarsi. Perché essa ha un ciclo, e non si può gabbare il fruitore sul grande lavoro di uno scultore rispetto facendolo, mutatis mutandis, passare per un ceramista. Tecniche produttive molto diverse, sensibilità della materia, manifattura, e anche funzioni (più o meno monumentali, più o meno sovrapposte con i processi domestici, ecc.) del tutto differenti.

È come la differenza tra la musica pop e la musica lirica: chiamare Orietta Berti (che ha già una voce educata…) a sostituire Katia Ricciarelli o Anna Netrebko è un errore chiaro a tutti, se non si fa per scherzo o per opportunismo economico, come per esempio il celebre concerto di Pavarotti e Zucchero: e, se un Pavarotti non farebbe mai il rocker, altrimenti che per divertirsi o fare cassetta, Zucchero invece non potrebbe mai essere Alfredo della Traviata. Perché nell’opera lirica si sperimenta molto con regie sofisticate, ma la “Linea del Piave” del canto educato e studiato col pentagramma non si è fortunatamente ancora superata.

E così tra teatro e cinema, due mestieri diversi, che si confondono solo in quanto entrambi televisivi e audiovisivi: come la ceramica e la scultura sono entrambe volumi e come la lirica e il pop son entrambi canto. Confonderli significa essere malati di quell’ignoranza che uccide l’arte, perché ne ferisce a morte la catarsi. Le competenze di un attore cinematografico sono completamente, totalmente diverse da quelle di in attore teatrale. Solo un primitivo, grossolano, arretrato, opportunistico e ignorante appunto “produttore” può confondere le abilità straordinarie di Nicole Kidman o George Clooney con quelle di grandi attori di teatro come i duellanti Carmelo Bene e Giorgio Albertazzi, Edoardo de Filippo e Gabriele Lavia, Eleonora Duse o Monica Guerritore. La confusione tra intrattenimento audiovisivo e catarsi artistica è infatti da ignoranti, e uccide l’arte.

Usare l’immagine di attori cinematografici in teatro per fare cassetta o piaceri è semplicemente un atto di prepotenza ignorante: si fa del teatro un uso tossico, si contamina la cultura e la si distrugge. E si distrugge la più estesa delle arti, quella del corpo tutto che si muove in scena (dal vivo, senza primi piani e mezzibusti e senza montaggi e doppiaggi), che dai tempi di Pericle, il 500 avanti Cristo, e le sue Dionisie (vedere lo splendido romanzo storico di Andrea Sartori, “Dionisie” appunto, IBUC Edizioni 2017) continua ad emozionare gli umani. Il modo dell’attore di teatro è in un dialogo col pubblico tramite la sua educata, professionale e caratteristica presenza di scena: lui è il personaggio e lo è davanti a tutti, sul palcoscenico, dagli alluci alla punta dei capelli per 1 o 2 o 3 ore. Il pubblico lo controlla continuamente per credergli, perché avvenga la magia della catarsi artistica, che non è quella della droga e della superficialità. Tutto avviene lì, e ci vuole tanto, tanto studio specialistico per fare avvenire tutto bene “lì”… Nel cinema, al contrario nulla avviene “lì”. Le scene vengono fatte e rifatte e poi si monta quella meglio venuta; il primo piano, le espressioni facciali, sono il 50% del lavoro e nel teatro non esistono quasi. L’attore di teatro si immedesima e la prova è sul palcoscenico per un’ora almeno in “carne viva”. Nel cinema, l’attore è il professionale burattino di se stesso e un oggetto espressivo nelle mani del regista e del montaggio. Deve immaginare lo schermo, è privo di rapporto fisico con il pubblico: non è tenuto a costruire un testo vivente, ogni volta, appunto, “dal vivo”.

Non sono romanticismi, sono fatti tecnici di organizzazione del Teatro e delle sue professionalità: ciò che deve curare un onesto produttore d’arte teatrale, di teatro. I cassettari e i mafiosi invece usano prodotti tossici e compari.

La scoperta dei neuroni specchio aggiunge poi una spiegazione: i cani non riconoscono fiction e live, mentre noi umani sì. Vogliamo un’umanità di cani, con tutto il rispetto per il migliore amico dell’uomo, ma anche delle rispettive differenze? Se vogliamo diventare come cani, portiamo la professionalità degli attori di cinema in teatro. Ed è facile capire se i produttori o i maneggioni o i corruttibili ce sono o ce fanno: basta guardare i curriculum delle loro scelte. Se un attore non ha mai fatto teatro, c’è qualcosa di sporco sotto e di violento contro l’arte.

E, visto che l’Arte è sempre pace o non è, ciò va contro l’umanità tutta. Ed è una vera vergogna.

Sergio Bevilacqua

 


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Sergio Bevilacqua

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