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Intervista/ Vittorio Coletti dal ‘clan dei ponentini’ al gotha dei linguisti con la passione per ‘Striscia la Notizia’. L’infanzia a Pontedassio


Il padre lo voleva medico. Gli anni dell’università in via Balbi: Mengaldo e Sabatini maestri indimenticabili; la divertita frequentazione con Antonio Ricci; la guida e l’intensa collaborazione con don Balletto, “prete colto, laico, di grande sensibilità sociale e politica”; il non facile rapporto con i genovesi “lamentosi e malmostosi ma operosi, intelligenti e dalla vasta cultura cosmopolita”; il Dizionario della lingua italiana patrimonio di conoscenza.

di Gian Luigi Bruzzone

Vittorio Coletti, professore emerito dell’Università di Genova, è stato docente in atenei italiani e stranieri, linguista, storico della lingua, lessicografo, grammatico, accademico della Crusca. Ha pubblicato oltre cento titoli, tra libri e saggi. Ha collaborato con le pagine liguri di ‘la Repubblica’.

 Caro Professore, ci parli un po’ della sua famiglia, se non le spiace.

Il prof. Vittorio Coletti durante la celebrazione del Giorno della Memoria a Imperia il 27 gennaio 2020

La famiglia materna era di Pontedassio, in passato di discreto censo, basato su terre e fabbricati, come usava una volta. Ma la sua prosperità, già più che dimezzata dalle divisioni successorie, era stata ulteriormente ridotta dalle vendite di necessità. Non di meno, il fratello di mia madre, lo zio Carlo, poté studiare e divenne un alto funzionario della Banca popolare di Novara e la sorella, la zia Menuccia, ebbe l’istruzione sufficiente per essere assunta come impiegata dalle Poste dove lavorò sino alla pensione.

Mia madre, Giovanna, si dedicò invece ai quattro figli, di cui io sono l’ultimo. Mio padre, Paolo, era di famiglia lombarda per via paterna, del varesotto, ed era presto rimasto orfano dei genitori e non molto dopo senza nessuno dei tre fratelli: uno, molto più vecchio di lui, morto in seguito alle ferite riportate nella prima guerra mondiale, le due sorelle uccise ancor giovani dalla tubercolosi. Mio padre si fece letteralmente da sé e praticò diversi mestieri. La seconda guerra fu una durissima prova per lui, perché, avendo firmato a favore del locale ospedale. di cui era segretario, la donazione dei mobili della sede del Fascio chiusa nell’estate del ’43, fu poi schedato dai tedeschi occupanti come antifascista e ostaggio da catturare e uccidere in caso di rappresaglie. Avvertito da una giovane cugina, riuscì a fuggire e rimase alla macchia fino al ‘45, dopo mesi di paure, avventure e fame. Al ritorno, con grande preoccupazione di mia madre, papà, tanto ostile al fascismo quanto diffidente del comunismo, si diede alla politica nella Democrazia Cristiana e fu a lungo saggio e disinteressato amministratore del suo paese. Per anni fece il vicesindaco, ma sindaco di fatto, perché il sindaco, un autorevole ammiraglio, viveva a Roma e veniva a Pontedassio giusto un paio di volte l’anno (incredibile oggi …).

La Pontedassio della mia infanzia.

Come un po’ ovunque, il paesaggio sociale e urbano di Pontedassio è stato a un modo sino a tutti gli anni Cinquanta e poi è cambiato radicalmente. Negli anni Cinquanta, quelli della mia infanzia, un carro ci portava ogni giorno il latte, le barre di ghiaccio per conservare i cibi e solo verso la fine del decennio fu sostituito da un non più veloce camioncino; una pastorella veniva a vendere la ricotta, una vecchina i fagioli di Conio e un ex frate, sempre molto pio, il formaggio; un mendicante zoppo si presentava ogni due settimane arrivando a piedi con le stampelle da Diano Arentino lungo una mulattiera.

Pur essendo la mia famiglia di condizioni modeste, il costo del lavoro era così basso che si poteva permettere degli aiutanti, in casa e in campagna: una donna veniva alcuni giorni della settimana per il grande bucato, un’altra per alleggerire un po’ nei lavori di casa mia madre, sempre impegnata a sfamare quattro figli e un marito di ottimo appetito; una coppia di marito e moglie, piemontesi, lavorava nelle nostre campagne. In scuola ci si scaldava con una stufa a legna e c’erano dei bambini bravissimi ad accenderla e alimentarla (io purtroppo non ero tra questi). La chiesa e la religione erano il centro della vita sociale, tanto più per i miei, specie per la mamma, molto devota e praticante. Le feste religiose (San Pietro in aprile, Santa Margherita in luglio) erano anche laiche, con balli e cene all’aperto.

Con gli anni Sessanta è cambiato tutto, come si sa, anche a Pontedassio. Il paese si è trasformato; la strada nazionale, prima spesso usata anche come campo di calcio o di pallone elastico, si è riempita di automobili rumorose, pericolose e ingombranti; la vita sociale si è ridotta o spostata nel vicino centro di Imperia; la gente ha cominciato a parlare solo in italiano e a non salutarsi più per strada; abitare nel centro del paese, un tempo luogo di prestigio, è sempre meno ambito e chi può si costruisce una villetta in collina e di fatto ignora il paese.

Durante il corso di studi da qualche insegnante avrà avuto una particolare lezione di vita, oltre che disciplinare.

Beppe Conte

Al liceo solo dal professore di religione, un avvocato e prete di grande qualità umana e apertura culturale. Ricordo però anche i docenti più giovani e supplenti, come lo scrittore Beppe Conte, che interessò con le sue lezioni me e i miei compagni assai più del precedente titolare, che, essendo sindaco della città, si dedicava assai poco all’insegnamento. Tra i professori più bravi, debbo anche menzionare quello di greco, Antonio Battegazzore, cui la mia perenne agitazione dava ai nervi, ma che mi dava anche dei bei voti: anni dopo l’ho ritrovato in università come collega, di cui, curiosamente, ero un po’ più anziano dal punto di vista accademico.

Com’è nata la sua passione per il multiforme mondo della lingua?

Me l’hanno trasmessa i miei due maestri: Pier Vincenzo Mengaldo, con cui mi sono laureato, e Francesco Sabatini, di cui sono stato assistente: due giganti della linguistica: filologica e letteraria, Mengaldo, grammaticale e lessicografica, Sabatini; entrambi dotati di una formazione storica solidissima e di una vastissima cultura generale. Ho seguito gli insegnamenti di entrambi, Per limitarmi ad alcuni miei libri: Storia dell’italiano letterario e Romanzo mondo discendono da Mengaldo; Grammatica dell’italiano adulto ed Eccessi di parole da Sabatini; Parole dal pulpito e L’italiano scomparso da tutti e due.

E la sua passione per il melodramma?

Questa, prima appena accennata, è emersa quasi casualmente quando è nato mio figlio e si è sviluppata fanaticamente negli anni novanta, continuando ancora oggi, ma, credo, con maggiore moderazione. A un certo punto mi sono persino azzardato a scrivere un libro (Da Monteverdi a Puccini) e svariati saggi sul melodramma e forse sono andato oltre le mie competenze. Ma mi sono divertito molto e il libro è stato riedito di recente.

La mia Genova.

Come tanti ponentini, la mia capitale è stata, sino all’università, Torino. Ci abitavano mio zio e la mia sorella maggiore e ci trascorrevo svariati periodi. Da ragazzino andavo da solo al cinema in via Sacchi e passavo ore a Porta Nuova a guardare i treni. A Genova sono arrivato con l’università e non l’ho mai amata. Ai genovesi lamentosi e malmostosi ho sempre preferito i sabaudi, complimentosi e sorridenti. Col tempo, però, ho imparato a riconoscere le qualità straordinarie dei genovesi più operosi e intelligenti e molti di loro mi onorano ancora oggi della loro amicizia e della loro cultura vasta, non provinciale, cosmopolita.

Il Suo rapporto con i libri.

Ho amato, comperato e letto un’infinità di romanzi e un buon numero di saggi. Fino alla tesi, la lettura dei grandi romanzi stranieri e dei più importanti saggi filosofici, storici e letterari è stata la migliore giustificazione della scelta di una laurea, quella in Lettere, cui mi ero iscritto contro il desiderio di mio padre, che aspirava a vedermi medico.

Amici e colleghi.

don Antonio Balletto

Gli amici sono stati la grande fortuna della mia vita. Alcuni sono anche diventati miei colleghi e alcuni colleghi sono anche diventati amici.

Gli anni di università hanno consolidato o fatto nascere bellissime amicizie, specie nel cosiddetto ‘clan dei ponentini’, animato in via Balbi dalle battute di Antonio Ricci e spiritualmente guidato da don Antonio Balletto, che poi mi inizierà al lavoro editoriale con la Marietti da lui diretta.

Quanti incontri memorabili, quante soddisfazioni….

Ricordo soprattutto l’incontro, da studente, prima, e da neolaureato, poi, con i miei maestri Mengaldo e Sabatini; quello con don Balletto, che mi dimostrò che poteva esistere un prete colto, laico, non noioso, operoso e di grande fede e sensibilità sociale e politica e mi diede una fiducia liberale e immeritata affidandomi un ruolo importante nella casa editrice da lui diretta; a lui debbo anche l’incontro fondamentale con

Il prof. Alberto Beniscelli

Alberto Beniscelli, oggi uno dei massimi esperti del Settecento letterario, e Nino Podestà, caporedattore di Striscia la Notizia. Tra gli amici c’era e c’è anche un grande chirurgo, pioniere dei trapianti in Liguria, e ci sono importanti dirigenti editoriali, che ho avuto il piacere e forse anche il fiuto di orientare (sono assai più vecchio di loro) al lavoro in cui oggi eccellono.

Il Dizionario della lingua italiana da lei redatto con Francesco Sabatini è ritenuto tra i più pregevoli sul mercato: ce ne parli un poco, per favore.

Due sono i tratti ancora oggi più nuovi e pregevoli di questo dizionario: il trattamento delle parole grammaticali (pronomi, congiunzioni, preposizioni, metalingua grammaticale ecc.) da parte di Sabatini stesso (una vera grammatica avanzata in forma di glossario) e quello dei verbi sulla base delle loro valenze, un criterio importato in italiano da Sabatini e oggi ampiamente usato e apprezzato per la sua efficienza descrittiva e razionalità.

Qual è, a suo parere, la situazione culturale del Ponente ligure? La recente pandemia l’ha peggiorata: ne conviene?

Il Ponente ligure ha avuto letterati straordinari nel secolo scorso, da Sbarbaro a Boine, da Calvino a Biamonti. Nel nuovo secolo non ne mancano, come il compianto Giorgio Bertone o Marino Magliani o Rossella Postorino o Giuseppe Conte. Le cime, per così dire, sono sempre state, in rapporto alle piccole dimensioni del territorio, alte. Più modesta invece la zona intermedia e soprattutto il panorama della diffusione della cultura attraverso cinema, teatri, concerti, mostre, presentazione di libri. Ma qualcosa si muove sempre, come, per la narrativa, il bel premio Alassio, in cui tra cinque romanzi selezionati da una giuria interna ne viene scelto uno da una giuria esterna di docenti di italiano in università straniere.

Per altro, la pandemia ha peggiorato tante cose e il danno fatto alla pratica e ai luoghi della cultura si nota dappertutto.

Quali sono gli aspetti più simpatici del ligure?

Perché, ce ne sono?

Un progetto accarezzato.

Un libro che in forma narrativa svolga un discorso critico e sincero sulla società contemporanea. Ma non credo di riuscire a farlo. Invecchiando non aspiro a rifare le cose che ho già fatto e temo di non avere più le forze per farne di nuove.

Che cos’è la felicità?

Se lo sapessi, forse me la procurerei. In genere, è solo quella degli altri. La nostra per una ragione o per l’altra non si fa mai trovare.

Grazie, caro professore, per aver accolto le mie domande: del resto, se non s’interroga, non si può imparare. Auguro a lei e a suo figlio quanto desiderate.

Grazie a Lei per la Sua attenzione e sensibilità.

Gian Luigi Bruzzone


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