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Liguria e Basso Piemonte

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Caccia colpevole? Come e perché si moltiplicano i cinghiali. Gli esperti rivelano ma sono ignorati da assessori regionali e dai sindaci. La Coldiretti interviene


La Costituzione italiana si evolve in senso ambientalista. Si attendono fatti concreti. Prime considerazioni sulla tutela degli animali. La caccia in Liguria e il problema dei cinghiali.

di Gabriello Castellazzi

La Camera ha approvato (quasi all’unanimità) la proposta di legge costituzionale che aggiunge all’art. 9 della nostra carta fondamentale il seguente comma: “La Repubblica tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”. Tutti parlano giustamente di giornata epocale: il WWF plaude e Legambiente invita a “passare dalle parole a fatti concreti”.

Tra i tanti problemi da affrontare ci soffermiamo oggi sull’ultima frase dell’articolo che riguarda “la tutela degli animali”.

La specie umana intrattiene un rapporto antico con il mondo animale, legato all’agricoltura, alla pastorizia, all’allevamento per fini alimentari. Ma oggi si assiste ad un crescente squilibrio di questo rapporto: la caccia distrugge la biodiversità e gli allevamenti intensivi sono responsabili di una grande sofferenza per gli animali e di un forte impatto negativo sull’ ambiente, quindi su tutti noi.

Produrre proteine animali in maniera sempre più intensa a costi sempre più bassi sarà la strada per condannarci ad un futuro di malattie (spillover, peste suina, ecc.).

La Liguria è solo marginalmente interessata a questo tipo di produzioni perchè il maggior numero di allevamenti si concentra in Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e Veneto, ma il problema riguarda tutti. L’85% dei polli e il 95% dei suini provengono da allevamenti intensivi mentre il  75% del terreno agricolo disponibile è destinato alla produzione di mangimi per allevamenti. Circa il benessere degli animali si constata come questi generalmente vivano in capannoni e non vedano mai la luce del sole.

Lo smaltimento dei liquami avvelena le falde acquifere per la presenza di antibiotici, ormoni  e steroidi anabolizzanti somministrati agli animali. Per quanto riguarda il consumo di acqua, sono necessari circa 3000 litri per produrre un chilo di carne. Inoltre, secondo un rapporto della FAO, il 18% dell’inquinamento atmosferico è provocato da gas derivati dagli allevamenti intensivi.

E’ necessario quindi consumare meno carne è più legumi, optare per razze locali e informarsi sui tipi di allevamento, oltre a variare le specie e non limitarsi ai tagli pregiati.

La Liguria è coinvolta invece per gli aspetti distruttivi della caccia: oltre ai problemi legati alla pubblica incolumità di chi va a passeggiare nei boschi nelle giornate di mercoledì e domenica, si aggiungono quelli relativi alla caccia di specie selvatiche in declino (beccaccia, pavoncella, allodola, ecc.) e sul modo sbagliato di affrontare l’eccessivo numero di cinghiali.

Premettendo che non si possa considerare la caccia un’attività sportiva in quanto non si tratta di disciplina riconosciuta dal CONI, ci si chiede per quanti anni ancora si dovrà ripetere come la caccia al cinghiale, effettuata con le attuali modalità, rappresenti un danno non più sopportabile per l’agricoltura.

Si stima che sul territorio italiano vivano circa un milione di cinghiali (600mila nel 2005 – 900mila nel 2010) dopo tanti anni di caccia indiscriminata. Si ricorda che questi ungulati vennero introdotti a scopo venatorio e i danni si sono moltiplicati nel tempo proprio per i sistemi sbagliati di caccia.

E’ quindi ora di mettere fine ad ogni pratica di ripopolamento e foraggiamento degli ungulati e bloccare la vendita illegale delle loro carni (un giro d’affari di un milione di Euro ogni anno).

La stessa Coldiretti è intervenuta su questo problema e ha ribadito “l’importanza di portare avanti la sperimentazione per la sterilizzazione temporanea degli animali, il controllo delle attività illegali circa l’immissione di questi esemplari, oltre a rivedere il sistema di contenimento selettivo, incentivare quindi l’uso delle gabbie di cattura, semplificare le norme vigenti in materia di autodifesa del suolo, incentivare la pulizia e la coltivazione dei terreni incolti, cercando di trovare una volta per tutte una soluzione che permetta la convivenza con questi animali”.

Ancora una volta dobbiamo dire come la caccia in “braccata”(azione coordinata di 10-15 uomini e cani che portano allo scovo del cinghiale e al suo successivo abbattimento) sia una modalità  non selettiva che fa aumentare e non ridurre la loro popolazione perché rimuovendo gli individui di maggiore dimensione (gli adulti)  si ha la conseguente riproduzione anticipata dei più giovani.

La  Coldiretti ha precisato che “gli abbattimenti selettivi, quando necessari, debbano essere effettuati esclusivamente da personale pubblico  formato a livello tecnico in collaborazione con ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) e in nessun modo in conflitto di interessi rispetto all’effettiva riduzione dei danni”.

Il Prof. Andrea Mezzatenta (Università di Teramo – Facoltà di Medicina veterinaria ) ha studiato il problema e dice:  nelle battute di caccia “in braccata” le mute di cani inseguono i cinghiali che essendo una specie predata hanno sviluppato nell’evoluzione strategie per non estinguersi, ecco come: “Il cinghiale vive in gruppi familiari matriarcali guidati da una vecchia femmina (“matrona”) e da un  maschio molto forte. In condizioni normali si riproducono solo femmina con  maschio dominante e, data l’età dei genitori, la prole non è abbondante. Con le battute di caccia le ‘matrone’ sono le prime a morire perché impegnate a far scappare i cuccioli  (lo stesso vale per i grandi maschi). A quel punto ciò che resta dei gruppi matriarcali sono le giovani femmine che occupano il territorio. Contemporaneamente entrano in azione i giovani maschi, liberati dal controllo del maschio anziano. Così inizia una fase riproduttiva intensa  (con un maggior apporto spermatico dei giovani) che moltiplica rapidamente la popolazione (figliate fino a dodici cuccioli) e colonizza aree molto più estese”.

Il Prof. Carlo Consiglio (Docente di Zoologia presso l’Università La Sapienza) sulla base di   letteratura scientifica mondiale, affermava già nel 2014: “la caccia disgrega i gruppi consolidati e contribuisce ad aumentare la fertilità della specie venendo meno il meccanismo della simultaneità dell’estro delle femmine”.

Alla stessa conclusione pervenivano altri ricercatori: il Prof. Luigi Boitani -Docente di Ecologia Animale-, la Prof. Sabrina Servanty, che insieme ad un gruppo di biologi ha seguito per 22 anni la moltiplicazione dei cinghiali nel “Dipartimento Haute Marne” in Francia, il Biologo ungherese Vilmos Sanji, il Dott.Silvano Toso ex-direttore ISPRA, il Prof. Josef Reicholf : per tutti questi studiosi, molto preparati sul problema, la “pressione venatoria” non impedisce l’accrescimento della popolazione, anzi aumenta la fertilità della specie.

Per quale arcano motivo questi dati  vengono ignorati dagli Assessori regionali e dai Sindaci? La Costituzione italiana da oggi richiama tutti al dovere di preservare gli ecosistemi, nell’interesse delle generazioni future, rispettando i dati scientifici.

Gabriello Castellazzi

(Europa Verde – Verdi savonesi)


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