Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Intervista/ Fausta Franchini Guelfi docente genovese. Luminare di Storia dell’arte ligure e le sue ricchezze. Senza macchina fotografica ha esplorato il patrimonio di Oratori e Confraternite


La Prof. Fausta Franchini Guelfi è donna di cultura, studiosa e storica dell’arte fra le più chiare della Liguria: in alcuni filoni da lei coltivati e professati ha stabilito interpretazioni convincenti e pressoché definitive, per non segnalare molteplici scoperte sia in campo scultorio, sia in campo pittorico, che meglio hanno fatto conoscere la prestigiosa vicenda dell’arte ligure, troppo a lungo snobbata, anche per essere scarsamente conosciuta.

di Gian Luigi Bruzzone 

Chiarissima Prof. Fausta Franchini Guelfi, desidera partecipare qualche notizia della sua famiglia?

La prof. Fausta Franchini Guelfi ha conseguito la laurea e la specializzazione in storia
dell’arte all’Università di Genova, presso cui è stata ricercatore. Fra le sue numerose pubblicazioni ricordiamo quelle sul pittore genovese Alessandro
Magnasco e sulla scultura genovese del Seicento e del Settecento. Studiosa della confraternite, ha coordinato , fra le altre, la grande mostra “La Liguria
delle Casacce” (Genova 1982). Fa parte del Consiglio Direttivo
del “Centro Studi sulle Confraternite Giuseppe Casareto” istituito dal Priorato
delle Confraternite della Diocesi di Genova.

Sono sposata da cinquantatré anni con Gian Paolo Guelfi, medico psichiatra. Abbiamo un figlio che oggi conta cinquantatré anni e una splendida nipotina da poco diciottenne. Mio figlio è musicista e vive a Londra, la nipotina vive con lui e frequenta un liceo pubblico londinese, con ottimi risultati. Vengono con frequenza a Genova e abbiamo con loro un bel rapporto affettivo.

Che ricorda della sua formazione scolastica? è rimasta nel ricordo l’immagine di qualche insegnante… Da qualcuno avrà imparato che…

Ho frequentato le medie e il liceo classico alla scuola pubblica comunale femminile di Genova “Caterina Fieschi Adorno” (oggi non più esistente) e ne ho avuto una buona formazione, soprattutto per merito di alcune insegnanti indimenticabili come la severa prof. Maria Bruno, che mi inculcò tanto bene il latino che ancor oggi lo leggo senza difficoltà nei contratti notarili fra artisti e committenti. Le insegnanti della “Fieschi” erano tutte donne tranne il professore di religione, don Berlingeri, sacerdote coltissimo e veramente paterno, al quale devo molte riflessioni che mi furono preziose nella mia adolescenza.

Com’è sbocciata la passione per l’arte, anzi per lo studio delle espressioni artistiche?

La passione per l’arte mi fu trasmessa da mio padre, un medico umanista che coglieva tutte le occasioni (viaggi, vacanze) per portare la famiglia a visitare musei e monumenti. Ma la spinta risolutiva verso la storia dell’arte me la diede una straordinaria insegnante della “Fieschi”, la prof. Maria Massa. Le sue lezioni erano veramente oro colato: ci faceva “vedere” le opere senza aiuto di diapositive (allora non esistevano!) e ogni anno organizzava un viaggio scolastico tutto finalizzato alla visione, sotto la sua guida, dei maggiori capolavori dell’arte italiana. In questi viaggi lei era la responsabile culturale, mentre la severissima e simpaticissima prof. Provera, l’insegnante di educazione fisica, teneva insieme e disciplinava (con urlacci quando ce n’era bisogno) un gregge di ragazzine in piena rivolta adolescenziale. Memorabili i viaggi in Toscana, in Emilia, in Sicilia… tutt’oggi i ricordi più belli che ho dell’arte di questi territori sono legati ai viaggi della “Fieschi”.

I suoi contributi su Alessandro Magnasco (1667 – 1749), pittore quanto mai suggestivo, risultano fondamentali.

Anche per il Magnasco devo ringraziare mio padre: al momento di scegliere l’argomento della mia tesi di laurea in Lettere fu lui a suggerirmi il nome di questo pittore, che lo incuriosiva per essere un artista del tutto atipico rispetto alla pittura a lui contemporanea. Dalla tesi in poi, ho continuato ad approfondire lo studio delle opere del Magnasco nel contesto della cultura dell’epoca, delle direttive della committenza, delle vicende storiche di Milano e di Genova, le due città dove l’artista trascorse la sua vita. La mia interpretazione dell’arte del Magnasco, elaborata in seguito a questi approfondimenti in un’avventura di anni nel percorrere la storia e le correnti culturali dell’epoca, è stata accettata dal mondo degli studi e assunta da altri storici dell’arte come valida.

E che dire della sua diuturna fedeltà al mondo delle confraternite? Quale fu la molla di codesto amore?

Il mio incontro col mondo delle confraternite fu del tutto casuale. Nel 1972 un editore genovese aveva avuto dalla Cassa di Risparmio di Genova l’incarico di realizzare il volume strenna natalizio; si rivolse a me con la sola direttiva che si trattasse di un argomento di arte ligure con bellissime illustrazioni. Volevo scegliere qualcosa di completamente nuovo, che mai nessuno aveva studiato e illustrato prima; scartata la troppo facile idea della monografia su un artista e riflettendo sulle ricchezze del territorio ligure, mi accorsi dello straordinario e finora inesplorato patrimonio degli oratori delle confraternite: un mondo in quegli anni chiuso e geloso, quasi impenetrabile da parte di estranei.

Solo alcuni gruppi scultorei del Maragliano erano noti di quel patrimonio. L’idea fu accettata dalla banca e io cominciai una delle avventure più belle della mia vita: l’esplorazione del mondo artistico e umano delle confraternite liguri. Su e giù per le riviere e per i bricchi dell’entroterra, riuscii ad entrare in questi spazi finora chiusi a tutti, con l’aiuto di un potente grimaldello: la presentazione e la calda raccomandazione del cav. Giuseppe Casareto, personaggio eccezionale che gestiva in quegli anni il priorato delle confraternite e che mi mise in contatto con priori, confratelli, parroci, dandomi totale fiducia. E potei così studiare dipinti, sculture, argenti, tessuti preziosi, documenti: un giacimento inesauribile del valore del quale a volte neppure gli stessi confratelli sembravano rendersi conto.

Ma, oltre alle opere d’arte, le persone: anziani priori, come Giovanni Montaldo di Pegli, che mi narrarono le tradizioni dei nonni contadini, portatori di Cristi come Pietro Sacco di Prà e Adriano Traverso di Borgofornari, che rappresentavano un rituale processionale solamente ligure, e altri che ricordo con affetto e che mi aprirono i loro oratori, restando a volte stupefatti dalle mie scoperte, come nel San Bartolomeo di Varazze dove uno stampato settecentesco incollato sotto la base della monumentale cassa del “Martirio di San Bartolomeo”, fino ad allora di artista anonimo, mi permise di assegnare con certezza quest’opera allo scalpello di Anton Maria Maragliano, guadagnandomi la perenne gratitudine della confraternita.

Non possedevo una macchina fotografica e per poter ricordare i ricami delle vesti processionali, e in seguito poterli datare, li copiavo a disegno su un quaderno – schedario: e i confratelli erano chini a seguire il mio disegno, meravigliatissimi di questa operazione. Oggi (sono passati quasi 50 anni!) il mondo delle confraternite è molto cambiato: fra i priori vi sono molti laureati e anche molte prioresse (efficientissime!) e i confratelli sono ben consapevoli dell’importanza del loro patrimonio storico, culturale e artistico. E io mi lusingo di pensare che a questa acquisita consapevolezza abbiano contribuito anche i miei studi e la valorizzazione che essi hanno apportato a questo patrimonio tutto ligure.

Se dovesse presentare in sintesi l’universo delle confraternite quali concetti preciserebbe?

Febbraio 2014 a Imperia: grande successo per due pomeriggi di cultura barocca nel Museo del Presepe con la prof. Fausta Franchini

Impossibile rappresentare in sintesi l’universo delle confraternite liguri; tuttavia posso indicare alcuni caratteri che le accomunano. Innanzitutto un forte senso di autonomia laica nel contesto della comunità ecclesiale, nonostante i regolamenti che le vincolano all’autorità ecclesiastica. Le tensioni e i conflitti fra gli oratori e il clero attraversano tutta la storia secolare delle confraternite e tuttora si fanno sentire in particolari situazioni. Altro carattere fondamentale è il profondissimo legame col territorio, e si intende naturalmente il territorio dell’antica Repubblica di Genova, che comprendeva anche zone dell’attuale Piemonte, come Gavi ed Ovada, sedi di oratori schiettamente liguri.

Poi il tipico processionare con i portatori dei monumentali Crocifissi, processionare che recentemente è stato proposto all’UNESCO per essere compreso fra i patrimoni immateriali dell’umanità. Alla base di questi caratteri fondamentali c’è un forte sentimento identitario radicato nella storia e nelle memorie. I portatori di Cristo più giovani sono figli e nipoti di portatori di Cristo, nelle famiglie la tradizione è ancora forte, come ha dimostrato la bella mostra allestita presso il Museo Navale di Pegli nel 2019.

Infine, la struttura istituzionale essenzialmente laica e democratica: a partire dalle origini medievali, l’elezione alle cariche direttive e le decisioni sulla vita dell’oratorio si sono sempre svolte per votazione da parte dell’assemblea dei confratelli, in secoli nei quali ogni decisione era imposta dall’alto. Le votazioni, dato l’analfabetismo di quasi tutti i confratelli fino al primo Ottocento, si svolgeva con l’introduzione di fagioli bianchi (SI’) o neri (NO) in un bussolotto, che alcuni oratori ancora conservano.

Un paragone fra le confraternite ponentine, genovesi, d’oltregiogo e levantine.

Non ho mai riscontrato sostanziali differenze fra le confraternite di diverse località della Liguria: condividono tutte le stesse tradizioni e le stesse regole istituzionali. Vi sono soltanto alcune maggiori frequenze nell’intitolazione, ad esempio nelle riviere sono più numerosi gli oratori intitolati ai Santi Nicolò ed Erasmo, patroni dei marinai, e nell’entroterra quelli intitolati a Sant’Antonio Abate, protettore degli animali domestici dei contadini.

Gli anni della mia docenza all’ateneo genovese…Colleghi, allievi…

Nei lunghi anni passati ad insegnare storia dell’arte presso l’Università di Genova ho avuto rapporti di stima e di amicizia con cari colleghi, alcuni dei quali oggi non sono più, come Franco Sborgi e Anna De Floriani, e altri, tutti studiosi validissimi, che hanno formato generazioni di studenti. Anch’io posso vantarmi di aver collaborato a formare dei giovani, poi confluiti come storici dell’arte nell’insegnamento universitario, come Daniele Sanguineti, e negli organici della Soprintendenza come Alessandra Cabella: specifico che ho soltanto collaborato perché è chiaro che il loro successo negli studi e nella carriera è esclusivamente merito delle loro capacità, che io probabilmente li ho soltanto aiutati a scoprire e a potenziare. Sono per me grandissime soddisfazioni perché per un insegnante non c’è cosa più bella della consapevolezza di aver passato agli allievi una parte se pur piccola della propria esperienza e del proprio sapere.

La situazione odierna degli studi sul patrimonio artistico del territorio ligure.

In questi ultimi anni si è verificato un enorme incremento degli studi sul patrimonio artistico ligure, soprattutto ad opera di una nuova generazione di giovani storici dell’arte, formati dalla nostra Università. Monografie su artisti finora poco studiati, convegni su particolari aspetti dell’arte in Liguria, mostre prestigiose hanno portato all’attenzione come non mai la straordinaria ricchezza del nostro patrimonio, contribuendo nel contempo alla salvaguardia e alla conservazione del patrimonio stesso.

Accanto e a supporto di queste attività, la ricerca archivistica, fino a non molti anni fa quasi sconosciuta alla gran parte degli storici dell’arte, è diventata una condizione necessaria per l’approfondimento degli studi: i fondi inesauribili dell’Archivio Storico del Comune di Genova e dell’Archivio di Stato (oltre agli archivi delle chiese parrocchiali) sono attualmente la palestra privilegiata per la ricerca sulla storia, sulla committenza, sulla scelta dei materiali, sui costi concreti dell’operare degli artisti. Anche le riprese fotografiche delle opere si avvalgono oggi di nuove tecniche e soprattutto di una nuova sensibilità degli operatori: penso alle difficoltà di fotografare la scultura barocca, che ho riscontrato nel corso della campagna fotografica per la mia recente monografia su Jacopo Antonio Ponzanelli, scultore carrarese allievo di Filippo Parodi attivo a Genova fra Seicento e Settecento.

Alcuni incontri memorabili.

Dopo gli incontri con alcuni straordinari confratelli, ai quali ho già accennato, ho avuto altri incontri memorabili nell’altra mia grande avventura, il libro sul Magnasco del 1977. Infatti, una volta elaborata l’ipotesi dell’interpretazione dell’arte del pittore, ho voluto esporla al giudizio di tre grandi studiosi: il prof. Dante Isella, specialista della cultura della Milano sei – settecentesca nella quale visse il Magnasco, il prof. Piero Camporesi, studioso della letteratura e dell’iconografia popolaresca dal Cinquecento al Settecento, e il prof. Franco Venturi, illustre storico dell’Italia pre-illuminista. Con notevole faccia di bronzo chiesi un incontro a questi luminari, che non mi conoscevano e che mi ricevettero con grandissima cortesia e disponibilità. Il colloquio con questi protagonisti della cultura fu per me un’esperienza indimenticabile.

 C’è una pubblicazione alla quale è particolarmente affezionata?

Naturalmente sono affezionata a tutto ciò che ho scritto, ma c’è una mia recente pubblicazione che ha comportato uno studio per me nuovo, per l’incontro con una personalità affascinante, Santa Teresa d’Avila. Nel 2015, nel V centenario della nascita della santa, è stata realizzata ad Avila e ad Alba de Tormes una grandiosa mostra e gli organizzatori mi hanno chiesto un saggio sulla rappresentazione della figura della santa nella scultura italiana. E’ stato un gran lavoro perché conoscevo solo il famosissimo gruppo del Bernini: mi sono messa in contatto con numerose chiese carmelitane d’Italia e sono emerse così numerosissime opere, fra le quali ho dovuto operare una scelta.

Ma contemporaneamente ho cominciato a studiare la vita di Teresa e i suoi incredibili scritti. Non so dire quanto mi abbiano coinvolta la sua personalità carismatica, la sua forza di volontà, la sua capacità di fondatrice di chiese e conventi per tutta la Spagna, la sua perseveranza nel superare gli ostacoli posti soprattutto dalla Chiesa a lei, donna, nell’istituire un nuovo Ordine Religioso. Lo straordinario successo devozionale del nuovo Ordine da lei fondato si basò proprio sulle sue direttive, sulla sua azione diretta e sul fascino dei suoi scritti. Ed è quello che ho cercato di esprimere nel mio saggio”.

Le banche e l’arte.

Le banche possono svolgere un ruolo importante per il patrimonio artistico finanziando studi, restauri e mostre. In Liguria le Casse di Risparmio hanno spesso sostenuto queste attività finalizzate alla conoscenza, alla conservazione e alla tutela del patrimonio artistico. Oggi il più rilevante mecenate è la Banca Intesa San Paolo che con la sua Fondazione dedica finanziamenti considerevoli a importanti campagne di restauro condotte dalla Soprintendenza in tutta la Liguria (per restare negli oratori di confraternita, i restauri nel Santo Stefano di Genova Rivarolo e nel San Giovanni Battista di Genova Sestri Ponente) e alla realizzazione di mostre che rappresentano il progresso degli studi.

La felicità per me…

Risponderò con la definizione di felicità data da un illustre neuroscienziato, il prof. Gianluigi Gessa: ”La felicità è quello stato soggettivo sostenuto dalla secrezione di determinate sostanze chimiche, tra cui la dopamina e la serotonina, in determinate zone del cervello quali il sistema limbico, l’amigdala e la corteccia prefrontale. Si tratta di neurotrasmettitori endogeni, cioè prodotti dal nostro cervello, che di fatto regolano i comportamenti umani. In certi individui i neurotrasmettitori sono più efficaci che in altri per ragioni genetiche, che si affiancano poi a quelle psicologiche”.

Io penso di avere una buona produzione di dopamina e di serotonina perché tendo ad essere ottimista, a non serbare rancore, a pensare che non tutto il male viene per nuocere, e a godermi come felici anche piccoli momenti di soddisfazioni, di successi, di rapporti affettivi, di contemplazione delle bellezze del creato e della natura. La malvagità umana anche nelle sue forme più spaventose mi spaventa, ma non ha mai cancellato dalla mia vita queste possibilità di felicità. Ascoltare il valzer n.2 di Shostakovitch suonato al piano da Xavier Poizat mi dà felicità, vedere i disegni di Michelangelo esposti recentemente al Palazzo Ducale mi dà felicità, abbracciare i miei cari mi dà felicità, ma mi da una “piccola” felicità anche finire di rigovernare la cucina e di stirare camicie e lenzuola. E mi ha dato una piccola felicità anche rispondere a queste domande, che mi hanno portato a ricordare tante persone e tante cose della mia vita. 

Cara Prof. Fausta Franchini Guelfi, grazie per aver accettato l’intervista.  Auguro a Lei ed ai Suoi Cari, in patria e all’estero, ore sempre serene.

Gian Luigi Bruzzone


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