Trucioli

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Caro Draghi e caro pupetto Di Maio. No a nuovi ideali guerrafondai. Spari in Libia sull’Italia e veri orizzonti strategici


Caro Draghi e ancor più caro pupetto Di Maio, mentre sparano ai nostri pescherecci in Libia, diamo uno sguardo sulla direzione che deve prendere la nostra politica estera in virtù del reale andamento della competizione mondiale tra blocchi ed economie.

di Sergio Bevilacqua

Non deve essere la cultura neo-idealistica a guidare la nuova strategia, ma le implicazioni materiali del ciclo economico: la ridefinizione dei fattori geopolitici non deve essere derivata da una semplicistica, illusionistica “narrazione”, ma da una concreta evoluzione della società al seguito del fatto Economico con la E maiuscola.
Quando tale fatto venisse eluso, accanto alle sue conseguenti forme culturali (potere) e al fraintendimento della “casa” (oikos, la radice di eco in economia…) con il volgare (sic) “territorio”, l’umanità, così fraintesa, diverrebbe oggetto di un risiko da bambini a causa dell’incompletezza dovuta all’assenza nel progetto strategico di una variabile determinante, l’Economia appunto.
È una deriva neo-idealistica, con tratti neo-medievali, quella che elude l’enorme importanza dei processi di produzione del valore e dei loro effetti, che prende una costola della coscienza contemporanea, negandone il DNA, per restare sotto metafora, e poi soffiarvi sopra un fiato magico fatto di vecchia filosofia hegeliana di vecchia strategia e valori, infondendo una supposta vita a un fantasma, attraverso la costruzione puramente letteraria e pericolosamente propagandistica della “narrazione”.
La rimozione caparbia di visioni economiche non tardo-marxiane o tardo-liberali, figlie di assenza di cultura concreta, chiama in soccorso filosofie superate e ideologiche e porta a una vera e propria pericolosa visione psicotica della società umana.
Anche i pazzi però possono prenderci in qualcosa, e lo spettacolino infantile impostato dai neo-idealisti guerrafondai parte da una evidenza che capisce ormai anche un bambino non a caso: la nuova Economia (economia) globale sta cambiando il flusso totale delle relazioni, e le istanze di territorio e potere sono in nuova conformazione non per delirietti culturaloidi ma per il rinnovamento tecnico dell’architrave economico macro-societario, antropologico che guarda ancora oltre lo spazio macrocontinentale (residuo del mito del territorio) e riconfigura un potere non “in sè”, alla brava pensatrice Harendt nella sua biblioteca, ma come sempre “per sè”, per il fatto determinante del Globantropocene Mediatizzato, ancora in necessaria evoluzione verso una ipotesi globale e necessaria di specie e ancora non continentale o macro-continentale.
Considero oltretutto tale visione pericolosa, perché dietro tutto quel concettualizzare avulso dal reale, che invece deve utilizzare il simbolico dell’esperienza, si cela l’irrazionale distruttivo e bellico che, solo, può portare alla distruzione della vita conosciuta sulla terra.
Ma non è per paura che riconosco le cose in modo diverso: è per schietta esperienza di campo e approfondito studio dei fatti economici, che non possono essere surrogati da semplice filosofia, di nessun tipo, essendo di ben altra, tangibile natura. E nemmeno ridotti a competenza di commercialista.
Il destino del rafforzamento eurasiatico è nelle “cose” (di casa, oikos…) e non nei pericolosi concetti. Ogni riduzione della vera casa a nozioni molto meno piene, come “territorio” ad esempio, è particolarmente incauto e sbagliato in questo momento.
L’unica vera sovranità è quella dell’uomo sul pianeta, e il modo più moderno della sua regolazione non sono (solamente) i monti, i fiumi o il potere-toutcourt, ma le provvide leggi organiche della sana economia, che diluiscono e attenuano l’ostilità umana, non senza costi di cambiamento e quindi d’identità, ma evitando olocausto e distruzioni dovuti all’eclissi della ragione, indotta dal suo distrarsi, con l’immaginario esaltato, dal reale empirico e, poi, civilmente simbolico.
Nessuna “narrazione” quindi, se non per infinocchiare: e la civiltà del bene, dei neuroni-specchio, sinceramente cristiana, non-violenta e costruttiva di vita e non di morte affida la “narrazione”, giustamente, alla letteratura.
La conoscenza dei processi macroeconomici dona la chiave di lettura. Anche nei più revisionisti, non liberisti nè marxisti per cui dall’economia discende forse troppo, la dimensione economica è centrale, o in termini strutturali (come appunto per le 2 categorie sopra) o in termini più condizionati da elementi culturali.
Nelle argomentazioni del Neo-Idealisti Guerrafondai (N.I.G.), essa è semplicemente ELUSA. Se non l’avessero elusa, i loro conti non sarebbero tornati.
Il benessere mondiale dipende dell’economia, in particolare industriale, con i cui valori si risolvono la gran parte dei busillis politici, sia in termini di problemi strategici che di problemi gestionali della cosa pubblica.
Eludendo le valutazioni economiche contemporanee, i NIG ci presentano una realtà al massimo tardo rinascimentale. Infatti, riportano la questione a fattori strategici pre-industriali, ancora presenti nella nostra cultura libresca. Sociologicamente, cioè, diciamo che fanno passare un codice vecchio come attuale, adeguato e originale, mentre è semplicemente sbagliato.
Non sbagliata, attenzione, la strada del consolidamento macro-continentale eurasiatico, che però è nell’ordine della meccanica macroeconomica, e potrei spiegarlo con l’andamento della industria manifatturiera, e non con romanticismi alla Von Clausewitz, Sun-tzu o, peggio ancora in anacronismo, Machiavelli. Di conseguenza, gli esiti sono profondamente difformi: non narrazioni, ma fattori di maturazione del sistema economico mondiale, che esprimerà in modo prevalente il Potere, e condizionerà il Territorio.
Anche in chiave strategica.
Non c’è più da tempo, e non ci sarà per molto ancora, se mai tornerà, autonomia del piano strategico rispetto al piano economico. E, posso dire? Benché la economia la farei molto meglio? PER FORTUNA! L’economia è cruda, ma non travolge come la guerra, basata su umori e reazioni primordiali, che si vedono però ancora, quasi come tracce neanderthaliane, negli uomini (più tipicamente maschi) del Terzo millennio.
Il Globantropocene Mediatizzato è “Un’altra Storia” (“Ein anderer Schauplatz”, un altro luogo anche della coscienza, direbbe Freud), diretto come un’orchestra dalle economie comuni a tutto il mondo e non dalle differenze dei territori, che pur persistono residuali e addirittura meglio alimentate.
Glocal e Lobal se la giocano su confini non territoriali. I poteri globale e locali dialogano secondo logiche di opportunità e non di predominio.
Perché il nuovo feudalesimo è un dato di fatto e non si sfugge.
Avrei perso la partita logica di questa mia dissertazione se la partita non fosse già stata vinta dalla reale occidentalizzazione dell’intero globo: l’estensione capillare e il radicamento degli esiti del macrociclo semichiliastico che va dal metodo sperimentale alla globalizzazione della industria manifatturiera è già avvenuto variamente ovunque; il suo rizoma prevalentemente benefico e necessario ha insediato radici magari differenti su tutta la superficie geografica del globo, superando appunto gli ostacoli e confini materiali e non costituiti da monti fiumi oceani meteorologia e culture.
Quindi, diciamocelo: se vogliamo fare buona politica, il centro della riflessione non devono essere gli effetti, ma le cause. E le cause della situazione di ieri e di oggi (e anche del futuro prossimo) non sono di ideologie o varie “will zur macht“, ma schietta Economia. Quindi, il focus si sposta dalle favole per bambini ai veri temi della produzione e distribuzione del valore che crea il benessere, e cioè sulla macroeconomia e l’organizzazione mondiale della produzione del valore. La globalizzazione, nel formato vieppiù integrato e privo di confini dell’epoca attuale, scioglie, su piani molto diversificati e pluriassiali, incontri e scontri di civiltà, illusione tardo novecentesca di filosofi senza reale esperienza organica di campo, ma soltanto teorica, che nemmeno all’epoca mi avevano convinto. Quindi, ripeto, il territorio ha oggi senso prevalente legato alle catene di produzione del valore, il potere è alla fine espressione di quelle catene e le narrazioni immaginarie lasciano il passo a quelle ben più concrete di tipo simbolico e finalmente reale proprie dell’economia. Ideologie e il resto seguono a bella distanza o reinterpretano effetti e non cause. Cioè, il piano strategico non ne è interessato se non per eccezione e per apparenza astuta: ciò varrebbe solo per l’Islam, che tutto (Islam) non esiste nemmeno più, lasciando il posto a folate di umanità pseudo-coranica, in realtà attratta dalle condizioni materiali – economiche – d’altrove.
Ma, ripeto, c’è una coincidenza pratica contingente con i NIG sull’evoluzione strategica europea: tale evoluzione deve avvenire il più possibile ma può avvenire solo rafforzando le catene della produzione del valore continentale e questo fatto, del tutto economico (e non ideologico o del risiko…), è opportuno che avvenga al più presto, così nel gotha economico-finanziario globale che comanda già il mondo, ci sarà qualcuno con almeno un occhio di riguardo al Vecchio Continente, quel vecchio “territorio”… In questo quadro, il ruolo dell’Italia potrebbe essere specificamente diverso ancora, “pesce” medio, con una possibilità di fare storia a sé, forse unico Paese al mondo a poter tentare una strategia di Paese, ma sempre in forte sintonia col mondo e con l’Europa, quest’ultima per quella metà di sua economia che la lega logisticamente al continente (vero “panem“) e non per altri fattori o valori di grancassa e propaganda, che possono al massimo servire alla democrazia per carpire il consenso e il voto del popolo (circenses…)
La mia pratica clinica della società umana, 1000 casi sul campo in corpore vili, anche di dimensione globale, gli occhi aperti sulla filosofia e gli scritti degli intelligentoni astratti (non è ironico…), mi ha sempre guidato.
Il mondo non è una macchinetta, illusione ingegneristica… È un sistema aperto, la cui natura e conoscenza si esprime con cicli non pienamente razionali.
Ma è pur sempre un sistema. E, quando discutiamo di come è, prima cioè delle semplici fattispecie concrete (oggetto sindromico del giurista) occorre riconoscere gli elementi sistemici (se ci sono) che le determinano: sono complessi, e richiedono molto, molto più di una qualsiasi laurea o due o tre per essere compresi appieno, il più possibile. Perché è coi sistemi aperti, proprio lì, che la società umana fa il salto epistemologico dall’opinionismo al sapere possibile.
Senza esagerare, naturalmente, perché appunto non siamo in “macchina”.
Le fattispecie discordanti che citano i NIG, la loro visione di superficie, fenomenologica, rinunciano all’interpretazione economico-contemporanea, che è assolutamente invece nodale, nocciolo, anche se non noumeno (saremmo idealisti anche noi apripancia della società umana, con tragici esiti chirurgici…) della condizione societaria planetaria odierna.
Non mi estenuo a reinterpretare in questa chiave le difformità: esse sono, una per una, dalla farmacia al caso dell’auto elettrica a Reggio Emilia, al perché muoiono tanto per covid in India e Brasile, al perché è particolarmente opportuno il consolidamento industriale europeo e il più possibile un Governo continentale, e poi la valorizzazione della Transiberiana o via della seta, e poi il vuoto Atlantico, ma poi anche le operazioni congiunte USA-Cina in economia, che agiscono sul Vecchio Continente, le operazioni di “integrazione economica” del continente africano a cura di Russia e Cina, le manovre di Erdogan, e chi più ne ha più ne metta, espressione di un’ottica solo superficialmente e apparentemente ideologica, culturale, giuridica e localistica…
Tutti al mondo, dal negozietto sotto casa, a Xi Jinping e Biden, a casa stanno bene soprattutto se c’è “denaro”, e sanno che il valore si produce col lavoro e col capitale, come insegnano Ricardo e Smith, prima di Marx e Keynes, banda da museo, ormai, certo, ma d’ispirazione ancora per la loro ottica di fronte agli spericolati opinionisti e putschisti militareggianti, i NIG, vera armata di Satana nella scomposizione del Creato, consentitemi la metafora tranchant.
La vecchia Guerra fredda, proseguimento di quella calda, è morta e defunta.
Ciò che accade oggi, e non voglio demoralizzare i giocatori di Risiko, e nemmeno eccitare i commercialisti di paese, è una cosa che sembra guerra fredda e che invece è parossistico elemento di una odierna strategia del valore.
La questione Ucraina è un geniale tentativo d’inceppare fisicamente la strategia del valore macro-continentale eurasiatico, con l’innesto di un cuneo politico-militare.
Se costasse troppo, non verrebbe fatta, e la strategia del valore prenderebbe un’altra via.
Perché fino a ieri, cioè a Hiroshima e Nagasaki, le guerre si facevano per acquisire con la forza il valore dell’altro, ma oggi non sarebbe più così… la distruzione nucleare del valore impedisce confronti asperrimi, perché il valore fatica a prodursi, causa la maturazione dell’economia umana dell’ultimo mezzo millennio disrupting.
E non mi si rilanci dicendo che la guerra distrugge così poi si ricostruisce: ricordo che Penelope la sua tela faceva per astuzia, non per sopravvivere. E che la sostanza è che i proci magnavano e si divertivano alle spalle del povero Ulisse.
Che non ha distrutto poi Itaca, ma ha sgominato i proci (concorrenti).
La logica marinettiana, divertentetemente infantil-maschile e fortunatamente definitivamente superata, della “Guerra sola igiene del mondo” è tutta cosa di Satana nell’umanità di oggi, nessun più “Dio lo vuole” o “Gott mit uns”. Dio non lo vuole. Punto. Ed è il suo improvvido concorrente, ma forte sulle nostre teste, Satana luciferino, che, nella complessità di oggi, si avvale non tanto dell’ostilità microscopica, che fa parte dell’imperfezione umana, ma della sua strutturazione in ideologia di guerra e di conflitto per portare avanti il suo progetto di distruzione. E ciò avviene proprio attraverso opinioni coltarelle e colorite come quella d’origine del Neo Idealismo Guerrafondaio.

Sergio Bevilacqua


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