Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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PERSONAGGIO cellese che merita. Intervista. Massimiliano Caldera: ‘Savona poteva essere una delle capitali artistiche d’Italia’. E racconto inedito sui 10 anni all’Armeria Reale di Torino


Massimiliano Caldera è uno studioso autorevole, storico dell’arte universalmente stimato. Fa la spola fra Celle – dove vivono i suoi genitori – ed il capoluogo subalpino. I suoi interventi ed i suoi contributi si contraddistinguono non soltanto per la serietà metodologica, ma per la consistenza euristica ed epistemologica altresì. La conoscenza artistica del Savonese conosce un indubbio progresso, grazie a lui.

di Gian Luigi Bruzzone

Se non Le dispiace, vuole parlare della sua formazione scolastica?
Era il 10 febbraio 2014- Il 4 febbraio il dott. Massimiliano Caldera (a sn della foto), responsabile della tutela territoriale della Diocesi di Vercelli e vicedirettore dell’Armeria Reale per conto della Soprintendenza dei Beni Culturali di Torino, ha trattato il tema “Aspetti e problemi riguardanti il restauro dei beni culturali” suscitando molto interesse tra i numerosi soci e ospiti del Rotary Club Vercelli.

Ho compiuto gli studi classici a Torino, già con l’idea di studiare storia dell’arte. Cosa che ho fatto, sempre a Torino, laureandomi in lettere e poi conseguendo il dottorato di ricerca. Ho anche seguito per due anni i corsi della scuola di specializzazione all’Università di Genova che però non ho concluso per gli impegni di lavoro in Soprintendenza.

I suoi legami con Celle.

Il mio bisnonno, il capitano Gio. Batta Mezzano, era cellasco. Vent’anni fa, i miei, dopo il pensionamento di mio padre che lavorava a Torino, hanno scelto di andare a vivere nell’appartamento ereditato nella casa vecchia dei Mezzano. Un ritorno alle origini, in qualche modo.

Com’è sbocciata la sua passione per l’arte?

Nello studio della casa dei miei nonni, a Savona, i libri in basso, a portata bambino, erano i ‘Classici dell’arte‘ della Rizzoli. Iniziai, piccolissimo, a guardare le figure del volume su Canaletto. Da lì sono passato a Mantegna, Caravaggio, Leonardo,

Piazza Sisto IV in Celle Ligure con due palazzi Mezzano (a sinistra e a destra: in quest’ultimo si tramanda si fermasse una notte S. Caterina da Siena)

Raffaello… Sfogliati tutti, il danno era fatto.

Concorda con la nota definizione che fra tante menzogne, l’arte è quella che mente di meno?

Senz’altro, sì. Ma, come tutte le menzogne, anche lei è un’Alcina pericolosa.

Gradirei conoscere il suo parere sugli storici d’arte ed i critici d’arte.

Meglio di no. Vorrei evitare di trovarmi davanti al bivio tra la scortesia e la falsità. Comunque siamo in un momento di profonda e – temo – irreversibile crisi della disciplina.

L’arte è sempre interessante, ma uno studioso resta conquiso da questo o da quel filone (di periodo storico, di artisti, di tecniche artistiche…). Angulus mihi praeter omnes ridet, insomma.

Si arriva ad occuparsi di un periodo, di un artista o di un’area culturale attraverso una catena di incontri e di combinazioni che soltanto in parte siamo noi a governare secondo le nostre preferenze. Mi sono trovato a studiare argomenti e problemi che mai avrei scelto, ma che comunque mi hanno appassionato. In fondo, si tratta di una questione di metodo: poche cose sono più divertenti di sperimentare i propri strumenti di lavoro su temi molto diversi e lontani nel tempo e nello spazio.

Con l’arte – come esprimerci? – conosciamo noi stessi, ma nel contempo usciamo dal nostro io per approdare ovvero tornare all’unità universale.

Sì, è possibile ma non è una domanda cui saprei rispondere in modo sensato. Io ho una formazione storica e non filosofica.

Lei è specialista della pittura e della scultura rinascimentali.

Il Quattro e il primo Cinquecento sono stati per l’Italia un momento di eccezionale (e affascinante) policentricità. Mi ha sempre incuriosito leggere e interpretare le reazioni alle novità portate dai grandi centri culturali che si trovano nelle aree di provincia e di confine. Sotto questo profilo, Lombardia, Liguria e Piemonte sono un terreno d’indagine davvero entusiasmante.

Donato de’ Bardi a Savona…
Tavola stupefacente con la Crocifissione di Donato de Bardi.

È difficile oggi anche solo immaginarlo, ma è stato il momento in cui Savona ha rischiato di diventare una delle capitali artistiche della penisola con la capacità di guardare dal Veneto alla Toscana, dalla Francia alle Fiandre. È andata male, per tante ragioni. Rimane però la traccia di uno tra i più interessanti e moderni esperimenti pittorici che si potessero trovare, non solo in Italia, intorno al 1430.

Per molti anni ha rivestito la mansione di Presidente dell’Armeria Reale in Torino.

Come avviene dopo le feste, la riapertura dell’Armeria nel 2005 aveva lasciato, dietro gli scenari luccicanti, il caos assoluto. Nei depositi si camminava sulle cotte di maglia… Per quasi dieci anni, abbiamo portato avanti un lavoro silenzioso ma indispensabile: il riordino dei depositi, l’inventariazione topografica dei pezzi, la catalogazione del Medagliere, gli apparati didattici, i restauri, la gestione dei flussi di pubblico. Io ho affrontato, sempre in silenzio, il buco nero della collezione di bandiere che, per numero e importanza storica dei pezzi, è forse la più importante d’Italia. Mi sono trovato davanti a coriandoli di seta infilati alla bell’e meglio in centinaia sacchetti di carta da fornaio. Quando cinque anni fa sono passato a un altro incarico, ho lasciato dietro di me uno tra i migliori depositi attrezzati che ci siano: i pezzi messi in sicurezza, fotografati e catalogati. Alcune bandiere inserite in armadi meccanici, le altre posizionate in plance metalliche impilabili, il tutto progettato appositamente. È stata l’ultima stagione viva del museo: inglobata poi nel calderone dei Musei Reali, l’Armeria ha subito perso la sua identità ed è diventata la sala d’armi del Palazzo di Torino. Per me non aveva più senso restare.

Ci parli di alcuni eventi che le hanno dato intima soddisfazione.

La mostra su Napoleone e il Piemonte alla Fondazione Ferrero di Alba; la rinascita della Pinacoteca di Varallo e del Museo del Paesaggio di Pallanza; la bellissima stagione dei restauri nei Sacri Monti; la creazione del Museo della Civiltà Cavalleresca nella Castiglia di Saluzzo; l’allestimento della quadreria nel palazzo arcivescovile di Vercelli, il restauro del polittico di Bianzè al Museo Borgogna e la riscoperta degli affreschi in San Marco, sempre a Vercelli; il recupero della basilica di Intra; la grande monografia sui Del Carretto che abbiamo finito di curare Giovanni Murialdo, Magda Tassinari ed io. Potrei andare avanti ma mi fermo qui: ogni restauro fatto sul territorio, anche piccolo, è stato ‘un’intima soddisfazione’, soprattutto quando ho visto crescere e irrobustirsi l’impegno locale e l’attenzione alla tutela.

Vorrei concretizzare il progetto…

Una monografia su Donato de’ Bardi e una raccolta di studi su Savona nel Rinascimento.

Lo stato dei beni artistici nel Savonese.

Caravaggesco, direi: con molte ombre e poche luci. Ho visto qualche buon intervento ma, nel complesso, mi sembra che si sia ancora molto indietro. Penso alla situazione drammatica del San Giacomo che richiederebbe energie finanziarie e progettuali imponenti e invece, nonostante lo strenuo impegno dell’Associazione degli Amici e di qualche politico, vedo un generale disinteresse. Purtroppo il caso non è isolato e così ci sono situazioni molto tristi, come lo scandalo del Guidobono distrutto alla Crocetta o il degrado in cui si trova il palazzo Pozzobonello. C’è poi la crisi delle vocazioni che ha come conseguenza la riduzione delle parrocchie e il progressivo abbandono degli edifici sacri nei piccoli centri: tutta una rete di testimonianze storiche che sta correndo rischi mortali.

In questa situazione anche i musei mi sembrano arrancare: le difficoltà gestionali del Museo Archeologico, la Pinacoteca che parrebbe quasi una dépendance del Museo della Ceramica, il Museo Diocesano che non parte e non partirà… Non aiutano, certo, le limitate risorse finanziarie delle fondazioni bancarie locali, tutte più o meno toccate dalle vicissitudini di Carige e da una congiuntura economica qui molto difficoltosa. Così ci si deve rivolgere alle fondazioni più grandi, come la Compagnia di San Paolo, che, assediate di richieste da tutte le parti, sostengono ormai soltanto progetti coordinati di ampio respiro. Ed è proprio quello che a Savona fatica a partire. Mi rendo conto di aver avuto la fortuna di operare in territori dove risorse economiche e attenzione per i beni culturali non sono mai venute meno e così le iniziative sono state tante, anche nei momenti peggiori.

Sarà antipatica la domanda, ma le chiedo un confronto fra l’ambiente artistico-culturale subalpino e quello sabazio.

È un paragone difficile: Torino è una città precipitata in un profondo declino che ormai va avanti da più di vent’anni. Le realtà più vitali devono essere cercate in provincia, nel Cuneese o nel Quadrante nord-est, dove c’è una situazione economica decisamente più solida e si possono quindi impostare, anche dal punto di vista culturale, progetti interessanti. Per limitarmi al mio campo specifico – la tutela e la valorizzazione dei beni culturali – un confronto indicativo può essere fatto con centri che hanno una dimensione e un’importanza simile a quella di Savona, come Vercelli, Alessandria o Asti. Ebbene ognuna di loro, tra iniziative espositive, restauri importanti e riorganizzazioni museali, ha avuto un’attività decisamente superiore rispetto a quanto si è visto a Savona dove da più di vent’anni non si organizza una mostra di rilievo. Ceramica a parte, dove invece si è assistito a una polarizzazione di risorse e di attenzione forse non così sana.

Il problema è che Savona non esce bene neppure dal confronto con città decisamente più piccole, come Biella, Verbania o Casale Monferrato. Non che manchino qui da noi istituzioni che portano avanti con grande dignità nobili tradizioni culturali, come la Storia Patria o l’Istituto di Studi Liguri.

Che cos’è la felicità?

Su questa terra? Forse la stabilitas dei monaci ma è un obiettivo molto difficile.

Caro Massimiliano Caldera, La ringrazio per avermi concesso d’intervistar La e Le auguro quanto desidera di bello per Lei e per i Suoi cari Genitori.

Sono io a ringraziarla per l’attenzione.

Gian Luigi Bruzzone

 


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Gian Luigi Bruzzone

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