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Lo Sguardo duro della Fede


Laddove il fondamentalismo si rivela non il prodotto dell’esperienza religiosa, ma una concezione povera e strumentale di essa. Per questo Francesco sta svolgendo una sistematica contro-narrazione rispetto alla narrativa della paura. Occorre, dunque, combattere contro la manipolazione di questa stagione dell’ansia e dell’insicurezza.

di Antonio Rossello

Laddove il fondamentalismo si rivela non il prodotto dell’esperienza religiosa, ma una concezione povera e strumentale di essa. Per questo Francesco sta svolgendo una sistematica contro-narrazione rispetto alla narrativa della paura. Occorre, dunque, combattere contro la manipolazione di questa stagione dell’ansia e dell’insicurezza.

Nella sua china intitolata «Lo Sguardo duro della Fede», l’illustratore Igor Belansky si ispira al tema dell’integralismo religioso, che talora si compenetra tra politica e morale, assumendo un linguaggio manicheo che suddivide la realtà tra il Bene assoluto e il Male assoluto.

Nell’immagine, uno «pseudo prete preconciliare» in abito talare e berretta tricorno alla Don Camillo fissa con sguardo arcigno il prossimo.

Per costui, che dall’espressione pare un emulo di Tomas de Torquemada, primo Inquisitore di Spagna, – ma la sua fisiognomica è simile anche a quella di un fanatico shintoista giapponese, un kamikaze, -, il crocifisso sembrerebbe rappresentare soltanto un simbolo vuoto.

Il Cristo sofferente non gli sta alle spalle, ma di lato ed arretrato, da tale posizione è impossibile che possa guardarlo. Infatti, lo sguardo del Cristo è rivolto altrove e non coincide con quello del personaggio raffigurato, sebbene questi sia forte di una convinta adesione letterale alla Bibbia.

Come l’attuale pontefice ha talora ribadito nella Chiesa la Tradizione dovrebbe essere concepita come «vivente». Non rappresenta un codice normativo fisso, un prontuario in base al quale confrontare i comportamenti – compresi quelli del Papa – al fine di verificarne l’ortodossia.

È però impossibile reperire in libreria un’opera compiuta dal titolo «La Tradizione», si può consultare il «Catechismo della Chiesa Cattolica», certo, ma quello di San Giovanni Paolo II, del 1992, non è identico a quello del Concilio di Trento, del 1566.

La Tradizione costituisce un deposito vivo e per sapere che cos’è la Tradizione oggi occorre rivolgersi al Magistero. Per giudicare definitamente l’azione magisteriale di un papa, occorre attendere che essa si attui completamente sino alla fine di un pontificato ed anche oltre. Tuttavia, esiste un fondamentalismo cattolico per il quale la Tradizione è un insieme impenetrabile di tesi, sulla base del quale si può pure giudicare il Papa di oggi e addirittura reputarlo eterodosso.

Una resistenza al cambiamento tout court. Non esistendo appunto un libro della Tradizione, si può arrivare al paradosso che il fondamentalimo alla fine si costruisca la Tradizione che preferisce e sostituisca sé stesso al Papa quale ultima istanza deputata a definire che cos’è la Tradizione.

Un caso limite sono infine convinzioni in cui certamente si rispecchia una posizione minoritaria del campo cattolico, che nel corso degli anni più recenti si sono alimentate con la stigmatizzazione di nemici che vengono per così dire «demonizzati», piuttosto che essere guidate dallo sguardo incisivo e pieno di amore del Gesù dei Vangeli.

Lo sguardo di fede è buono verso tutti, in un suo commento al Vangelo sul sito Toscanaoggi.it una religiosa, Suor Mirella Caterina Soro, espone molto bene il concetto.

 


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A. Rossello

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