Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Briga Alta e Realdo, ritorno della pastorizia. Sogno impossibile o realtà?


Ritorno della pastorizia a Realdo e Briga Alta: sogno impossibile o realtà? Gran bella notizia quella pubblicata nel numero precedente di Trucioli relativa alla nascita della prima ‘Scuola di pastorizia’ in Italia e mi fa molto piacere che sia questo giornale ad avere dato giustamente rilevanza a questo evento.

di Luigi Iperti

La speranza è che una maggiore attenzione alla pastorizia possa aiutare la ripresa di interesse verso questa attività che può apportare valore economico ed occupazione a tanti territori dell’entroterra ligure e del basso Piemonte.

Scrive Luciano Corrado nel suo articolo “Quello del pastore è uno dei mestieri più antichi dell’umanità” ma comporta una vita difficile, piena di sacrifici veri e senza giorni di festa. Trucioli.it si è occupato spesso di pastori e pastorizia del ponente ligure e Basso Piemonte, e di chi praticava, quasi con eroismo, la transumanza sulle Alpi Marittime con i suoi genuini pascoli. Tutto molto vero; infatti vi è stato un tempo in cui la pastorizia era molta diffusa in quei territori ed in modo particolare nei pascoli ad alta quota di quello che fu, fino al 1947, il Comune di Briga Marittima e cioè a Realdo, Piaggia, Upega, Carnino.

Un tempo quello dei brigaschi era un popolo di pastori; fino a non tanti anni fa migliaia di capi di ovini, caprini e bovini erano presenti sulle loro terre, sui pascoli d’alta quota. La pastorizia era un’attività scandita dai cambiamenti stagionali. I pastori brigaschi con le loro bestie in inverno stavano sulla costa o anche nell’entroterra in località non molto elevate, specialmente a Nizza e dintorni ed in Provenza; pochi altri andavano in Liguria.

A fine giugno, con l’arrivo della bella stagione, si spostavano verso i pascoli di alta montagna ed in estate si raggiungeva l’alpeggio. Sui loro pascoli, lungo gli erbosi crinali delle Alpi Liguri, i brigaschi venivano raggiunti da bestiame proveniente specialmente dalle zone di Cuneo, di Saluzzo e dalla Provenza. Poi, quando arrivava il freddo, i pastori si spostavano nelle loro case in paese, dove attendevano la nascita degli agnelli, per poi ridiscendere sulla costa. Questo era il ciclo dei tempi che ogni anno si ripeteva nello svolgimento delle attività pastorali.

Questo ciclo si è interrotto, dopo il trattato di pace del 1947, quando i pastori di Realdo che possedevano ancora quasi 3000 pecore si trovarono privati degli aviti pascoli di Sanson e Colla Ardente rimasti in territorio francese e dovettero lottare per lunghissimi anni per ottenere, attraverso un arbitrato internazionale, la restituzione di una parte di quei pascoli. Grande vittoria, ma tardiva.

Gli avvenimenti di quegli anni, che hanno caratterizzato la storia del dopoguerra al confine occidentale, rivivono nella loro grandiosità nel mio libro “Storie di Frontiera”, uscito recentemente (Editore De Ferrari, Genova, pp. 366, €. 22) e di cui Trucioli ha parlato recentemente nel numero 30 del 1° aprile 2021.

L’istituzione dei nuovi confini amministrativi e politici dopo la seconda guerra mondiale rese difficili gli spostamenti del bestiame, provocando il declino delle attività pastorali dei brigaschi e dei realdesi e conseguentemente una vera e propria diaspora di buona parte della popolazione. Poco per volta i pastori hanno venduto le loro pecore e sono scesi a valle intraprendendo nuovi mestieri.

L’abbandono della pastorizia è stato traumatico. A Realdo, dove nel 1945 vivevano 350 persone, ora di inverno gli abitanti stabili sono forse meno di dieci. Nel dopoguerra piano piano i pastori cominciarono a diminuire fin alla scomparsa totale avvenuta nel ’78, quando gli ultimi pastori, i Ciciolo, Pierino e Antonio Lanteri, vendettero i loro greggi. Raccontava nel 1992 il pastore Attilio di Rosina su “A Vaštéra”: Le pecore sono animali quasi dimenticati qui a Realdo. Io però non le ho dimenticate, perché ho fatto il pastore fino all’età di quarantacinque anni. Ricordo la mattina in cui le abbiamo vendute, era il 18 giugno 1968: quando sono sparite dalla mia vita ho pianto come un bambino. Mio padre che le aveva custodite per sessantatré anni, stava seduto sotto casa con la testa tra le mani, così triste e silenzioso da far compassione.”

Lo aveva previsto Barthélémy Lanteri, come racconta ancora la rivista “A Vaštéra“, che continua a mantenere vivo il ricordo e la storia della gente brigasca, in un articolo dal titolo evocativo: “Il gregge fantasma”.

Un giorno non le vedremo più. Come nei giorni in cui la nebbia avvolge la Bascia da Mapa: come nei giorni in cui la pioggia si riversa sulle colline di Marta, quando non vogliono lasciare il vallone dove trovano riparo dal temporale. Quel giorno non le vedremo davvero più, quando la montagna si sarà inselvatichita del tutto, quando le ultime radure si saranno ricoperte di pini e di rose di macchia e i suoi ultimi ruderi nonsaranno che cumuli di pietre. Quel giorno è sempre più vicino. Il turista potrà percorrere i sentieri, forse alla ricerca del gregge fantasma, ma non potrà vedere nulla, e neppure sentirlo, perché lui non ha conosciuto le pecore. Ma noi le potremo ancora sentire. Loro non ci saranno più, ma noi le se sentiremo lo stesso. Quel giorno, vorremmo non esserci più neppure noi.

Trucioli, nel numero in cui parla della scuola di pastorizia, riporta le parole dei pastori “Ci fotografano, ci esaltano in Tv, sui media, ma quanti si mettono davvero nei nostri panni? Non abbiamo vocazione al vittimismo, alla lotta di classe, a dire che va sempre male e che i politici sono tutti uguali” e
richiama i politici alle loro responsabilità.

Qui sorge spontanea una domanda come si comportarono i politici dopo il trattato di pace del 1947 con i pastori al fronte occidentale? Lo racconto diffusamente nel mio libro. Apparentemente in modo molto attivo. I pastori, tra cui i due Luigi Lanteri, aiutati da un giovane prete intraprendente, Don Guido Pastor e da una donna energica, Nilla Gismondi, hanno chiesto con insistenza e con continuità il supporto ai politici, a De Gasperi, al Conte Sforza, Ministro degli Esteri a Paolo Emilio Taviani ed a tanti altri ancora. Pastori di Realdo tra cui i due Luigi Lanteri.

Cito, tra gli innumerevoli interventi, il telegramma dell’11 giugno 1949 di Nilla Gismondi al Presidente De Gasperi. “Eccellenza De Gasperi Presidenza del Consiglio Roma Tremila pecore Realdo moriranno fame per mancata autorizzazione pascolo territorio francese stop Scongiuriamo provvedere urgentemente”

Vi era risposta, vi era supporto, la gente si sentiva ascoltata ma i risultati sono stati lenti e deludenti, non solo per il tema del ricupero dei pascoli rimasti oltre frontiera dove l’interlocutore era la Francia orgogliosa e dalla parte dei vincitori, ma anche per quanto riguarda le infrastrutture dove lo Stato italiano aveva, come interlocutore, solo sé stesso e la propria burocrazia. La strada per raggiungere Realdo è stata completata in un tempo infinito, dopo oltre 20 anni dal Trattato di pace. E nel frattempo i pastori, in gran parte, se ne erano andati via anche per l’impossibilità di portare a valle in modo agevole i loro prodotti.

Certo sarebbe molto bello – o è un sogno impossibile? – se qualcuno degli eredi dei vecchi pastori di Realdo, che vivono oggi nei paesi rivieraschi, frequentasse la nuova scuola di pastorizia e tornasse ai pascoli di Colle Ardente e di Sanson. Allora i turisti estivi, i padroni delle seconde case, anch’essi eredi, in parte, degli antichi pastori potrebbero tornare a sentire il suono dei campanacci ed il latrato dei cani a guardia dei greggi e ritrovare il profumo ed i sapori degli antichi formaggi.

Luigi Iperti

(PS: le foto di pecore e pastori sono cortesia di Alba Lanteri figlia di Luigi Lanteri)

 


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