Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Cara Altare! C’era il conte Capasso, celebre poeta, critico letterario. E Florette ‘La regina delle Antille’. Quanti meriti e ricordi, non solo in Patria


Ad Altare hanno vissuto Aldo Capasso & Florette Morand indimenticabili figure letterarie di rilievo europeo nella mia personale esperienza.

di Benito Poggio

Aldo Capasso è morto il 3 agosto 1997 a 88 anni

Dagli inizi del 1994, grazie al grande saggista-poeta-pittore-promotore culturale Remo Abelardo Borzini (1906-2004), ho avuto la fortuna di entrare in contatto (e sùbito in amicizia, sia pure a distanza) con il famoso intellettuale altarese Aldo Capasso, già avanti negli anni e che viveva ormai quasi appartato e lontano dalla mischia letteraria che pure l’aveva visto autorevole protagonista… nonostante la sua ancor vasta notorietà.

Pur essendo ancora personalità di grande nome, vigorosa e in vista nel mondo letterario italiano ed europeo, si mostrò fin dalle prime battute disponibile e accondiscendente. Da Genova avevo osato scrivergli per avere una sua “Prefazione” ad una mia piccola raccolta poetica italo-inglese dal titolo “Silenzi di parole – silences of Words”. Mi chiese di inviargliela in manoscritto, cosa che feci pur con una certa dose di apprensione. La lesse e, acquisitane conoscenza, accondiscese con piacere (me lo confermò prima con una telefonata) perché, a suo dire, le mie composizioni bilingui seguivano i dettami ed erano intinte nel “realismo lirico” (in primis: “chiarezza di linguaggio desunto dalla quotidianità comunicativa”), quel movimento da lui fondato nel dopoguerra insieme a L. Fiumi, E. Jenco, A. Ugolini, con l’adesione  anche di V. Cardarelli e di altri ancora e, tra essi, di R. A. Borzini.

Ci scambiammo alcune lunghe lettere e le sue le conservo gelosamente. La sua grafia era minuta, ma chiara e precisa. In una delle ultime mi annunciava che stava diventando cieco per cui, in seguito, ci intrattenemmo a volte in lunghe e piacevoli chiacchierate al telefono. Ritiratosi per varie ragioni, forse anche per giovanili appartenenze di natura politica, da quell’agone letterario nazionale ed europeo che l’aveva visto ammirato e richiesto protagonista, scelse di vivere – “novello Cincinnato”, mi suggerì una volta – in solitudine nella sua villa secentesca (alluvionata due anni prima, mi confessò) ad Altare, la terra della sua famiglia.

Madame Florette Morand, vedova Capasso, è mancata a Genova nel febbraio 2019 a 93 anni (foto di Simona Bellone)

Nel 1970, all’età di 61 anni, sposò la quarantaquattrenne poetessa caraibica Florentine Adelaide Morand, a tutti nota come M.me Florette Morand, donna esuberante ed eternamente in movimento, promotrice infaticabile di iniziative culturali di livello che, dopo la scomparsa del carissimo marito-poeta, mirarono a tener vivi la memoria e il nome di lui. Florette, come tutti la chiamavano, era nata a Morne-à-l’Eau, nel dipartimento francese d’oltremare di Guadalupa, dove per qualche tempo era stata apprezzata insegnante. Trasferitasi in Francia, in prevalenza a Parigi, seppe imporsi  a livello internazionale come poetessa in lingua francese tanto da essere premiata, per ben due volte, corso degli anni sessanta del 1900, dalla prestigiosa Académie Française per sue composizioni che ancor oggi si ricordano ed essere nominata cavaliere dell’“Ordre des arts et des lettres” della Repubblica Francese”.

Le sue poesie conservavano e diffondevano il profumo di quella sua terra d’origine che aveva lasciato da tempo e sapevano di mare e di vento: un esempio per tutte “Les grand vents”, che risultò uno dei suoi componimenti premiati. La mia traduzione del suo aitante canto gliela feci ascoltare al telefono. Le dissi che “Les grand vents” l’avevo inteso come “I venti gagliardi” e che, in quel suo componimento, per me stava certo ripensando – lei nota come “la regina delle Antille” – con nostalgìa alle sue isole lontane, che erano la patria anche dello scrittore-poeta-diplomatico Saint-John Perse (pseud. di Alexis Léger, premio Nobel nel 1960) che una volta Florette mi nominò con l’orgoglio della compatriota. Approvò questo mio pensiero e quanto lei aveva cantato e accolse la prima strofa, da me resa in italiano con qualche aggiunta, con soddisfazione:

I venti gagliardi”.

Eccoli, son tornati e si son fatti risentire i venti gagliardi,

Quei venti gagliardi provenienti dal mare,

Quei furiosi venti gagliardi,

Fuggiti ed evasi dall’inferno.

Eccoli, folli di furore – li senti? – son tornati,

Spumeggianti e frizzanti,

E ingordi.

Approvando quella mia traduzione, ringraziò innanzitutto per l’amicizia che mi aveva legato, come affermò lei: “al mio Aldo Capasso”; poi mi invitò a tradurla tutta la sua poesia: cosa che ancor oggi mi rimprovero di non aver mai portato a compimento. Dopo la scomparsa del marito-poeta, che lei adorava e che aveva sposato nel 1970 (lui sessantunenne, lei 44), Florette si dedicò corpo e anima, e cuore, ad avviare senza posa valide e riconosciute iniziative culturali nel ricordo di lui, tanto da riuscire a diffondere e portare la sua conoscenza (la cui fama, dopo il suo ritiro, s’era sicuramente affievolita) dal Savonese a tutta l’Italia.

Florette Morand (vedi i video di Raccardo Ricco  del 2001 e 2004…)oltre la funzione estremamente protettiva nei confronti dell’uomo Aldo Capasso, aveva assunto il ruolo di autentica fedele vestale, autorevole custode intransigente e di inarrestabile “agit-prop” culturale, impegnandosi senza posa nel promuovere Premi, Manifestazioni, Convegni, Incontri, Concerti, Recite, Conferenze di cui mi teneva costantemente al corrente inviandomi biglietti e cartoncini di invito, ritagli di giornali e comunicazioni d’ogni tipo che trattavano di lui.

Il suo scopo primario era che – in particolare ad Altare e nella Valbormida, ma non solo – non venisse mai meno il ricordo del “suo venerato” (sì, è la parola giusta) marito-poeta Aldo Capasso, l’uomo al cui fianco trascorse quasi trent’anni. L’indirizzo, sulle buste che mi giungevano, era scritto da lei con quella sua grafia nero-appariscente e smagliante, calcata e più volte ribadita, comunque riconoscibilissima.

Quando le feci avere la copia a stampa della mia raccolta con la “Prefazione” scritta e controfirmata da Aldo Capasso, dapprima tramite la scrittrice e poetessa Piera Bruno (che aveva già ottenuto il “Premio Aldo Capasso”), poi telefonandomi più volte, mi fece sapere che, anche per l’amicizia che era sorta e s’era rafforzata fra noi due, era sua intenzione assegnare anche a me il Premio che portava il nome di suo marito. Purtroppo in quel periodo non stavo affatto bene e fui impossibilitato a muovermi. Lei non ne volle sapere del mio diniego per motivi di salute, né si diede per vinta talché insistette a lungo: quanto insistette!

Certo, oggi rimpiango di non averla potuto accontentare nel nome e nel ricordo di quel grande letterato, critico e poeta, che mi aveva concesso senza pretese e gratuitamente la sua amicizia, e che lei tanto aveva amato e venerato, e tanto continuava ad amare e venerare… nonostante certe amarezze, mi accennò, senza approfondire o entrare nei particolari che io non avevo interesse a indagare oltre.

Oggi anche Florette, che era nata nel 1926, non è più fra noi: ha chiuso gli occhi e ci ha lasciati, all’età di 93 anni, al Pronto Soccorso dell’Ospedale Villa Scassi di San Pier d’Arena esattamente il 14 febbraio 2019. In questi ultimi anni trascorreva la sua vita tra Altare, Torino e San Pier d’Arena: forse per ragioni climatiche, forse per stare lontana da certe questioni di antiche ostilità e certe meschinità che si limitò a dirmi le avevano fatto male e avevano finito per amareggiarla.

Che ne sia al corrente l’esecutore testamentario (a sua insaputa, a quel che pare VEDI trucioli.it del 21 marzo 2019) don Giovanni Farris, sacerdote savonese, autore di studi letterari notevoli, a lungo direttore del mensile della Diocesi di Savona-Noli di “Il Letimbro”, docente universitario, che conobbi in anni lontani ai “Corsi Internazionali di Studi Italiani” (Direttore Romeo Crippa), organizzati dall’Università di Genova a Santa Margherita Ligure, ove eravamo entrambi docenti.

*Dopo aver detto del nobile animo di Florette Morand, mi corre l’obbligo di approfondire e ricordare – sia pur per sommi capi e a grandi linee – il marito-poeta di lei. È a tutti noto come Aldo Capasso sia stato fine critico letterario e celebre (e celebrato) poeta, data la sua nomination, in odore di Nobel. Era nato a Venezia nel 1909 da una ricca famiglia della Valbormida che, dopo la prematura morte del padre, si trasferì, o meglio fece ritorno nella villa di famiglia ad Altare quando il piccolo Aldo aveva solo tre anni.

Si fregiava del titolo di “conte”, vantando nobili origini per via della provenienza dalla aristocratica famiglia napoletana dei Capasso, probabilmente dal ramo dei Conti delle Pàstene di Benevento. Considerato “enfant prodige” della critica, come ha evidenziato anche uno studioso e critico del valore di Stefano Verdino dell’Università di Genova, Capasso seppe sfruttare al meglio, alcuni importanti eventi del suo momento di intellettuale: dalla tesi di laurea su Marcel Proust (discussa nel 1931 a soli ventun anni e premiata come la miglior tesi dell’anno!) alla traduzione commentata della “Giovane Parca” di Paul Valery (del quale fu apprezzato critico e abile traduttore); dal primo studio su *Ungaretti (la cui amicizia ripudierà proprio a causa del suo ermetismo) alla scoperta di Giorgio Caproni.

E di Giorgio Caproni, da lui definito “un uomo per cui il mondo esterno esiste” dotato della capacità di cogliere “l’atmosfera di un luogo”, Capasso pubblicò nella collana “Scrittori nuovi”, da lui diretta, il primo libro di poesie: “Come un’allegoria”. Achille Pellizzari, titolare della cattedra di letteratura italiana dell’Università di Genova del tempo, dirigeva la “Rassegna della letteratura italiana” e invitò il ventenne e brillante Capasso (e altri giovani in gamba, tra i quali Giuseppe Petronio) a collaborare pubblicandovi i suoi studi su Proust, Gide e sui filosofi Gentile e Tilgher (col quale ultimo in seguito ebbe a polemizzare) e su vari altri autori.

Pregevole e altresì da ricordare la collaborazione di Capasso a “Solaria” e ad altre riviste di prestigio, anche straniere; rilevanti i suoi amichevoli contatti con numerose figure di primo piano tra le quali Ada Negri, Sibilla Aleramo, Umberto Saba, Filippo de Pisis, ma anche Luigi Pirandello ed Eugenio Montale, col quale ultimo in seguito si scontrò ed entrò in polemica, mi disse “per incompatibilità di carattere e di pensiero”.

Negli anni Trenta del Novecento fondò le riviste “Espero” (1932-33), ottenendo prestigiosi contributi  di personalità di primo piano e “Lirica (1934-38)” nella quale proponeva bei testi italiani e stranieri, taluni di questi in lingua originale, senza traduzione a fronte. È stato ricercato collaboratore di autorevoli pubblicazioni straniere, così come le sue poesie ottennero svariati premi e furono tradotte non solo in Francia, ma anche in Belgio e in Tunisia.

Davvero numerosi i critici che han detto di lui: G.A. Borgese, L. Fiumi, G. Rensi e altri fra gli italiani, V. Larbaud e P. J. Jouve fra i tanti stranieri che si sono interessati a lui e che hanno scritto della sua opera. Ci ha lasciato importanti saggi sul Rinascimento, su Tasso, Leopardi, Carducci, D’Annunzio, Pascoli e altri autori ancora: saggi in forza dei quali tutti concordano nel ritenerlo sottile e squisito saggista oltre che critico raffinato e impegnato.

Si dedicò con dedizione e competenza ai “Carmina” dell’Ariosto, poesie giovanili latine, da lui introdotti, tradotti e annotati. Aldo Capasso fu, a suo tempo, anche attivo animatore della casa editrice genovese Emiliano degli Orfini. E quando fu criticato e lasciato in disparte come poeta, avendo la sua poesia finito per assumere toni giudicati da alcuni critici alquanto velleitari, prese posizione contro le correnti poetiche emergenti e, nel dopoguerra, diede vita a Firenze alla rivista “Realismo lirico”, manifesto dell’omonimo movimento letterario (di cui ho detto), sulla quale, non da tutti condivisa. Apparve “Lettera aperta ai poeti italiani sul realismo nella lirica”. La rivista rimase in auge quasi una ventina d’anni (dal 1949 al 1968), parteggiando per una poesia decisamente antiermetica, che deve apparire chiara e intelligibile nelle sue linee di piena comprensione di contro a cervellotiche (e, diceva lui, solipsistiche e onanistiche) forme di accentuato ermetismo e di modi espressivi dell’avanguardia di ardua, se non nessuna, comunicabilità e per lo più incomprensibili agli stessi autori.

Capasso fu affiancato da vari qualificati, già citati, poeti e personalità della cultura del tempo, tra essi è da annoverare la figura di spicco, già richiamata, di Remo Abelardo Borzini (da me conosciuto e col quale, oltre che frequentare più volte la sua casa-museo in Via Sapeto con l’amico e collega Luigi Garbato, ebbi occasione di collaborare a lungo), spesso spietato ma sempre efficace sia come saggista, che come pittore e poeta, sempre dalla parte degli umili e dei diseredati.

L’elenco delle opere di Aldo Capasso sarebbe davvero lungo e complesso, tali e tante sono le sue collaborazioni e le sue opere pubblicate in Italia e all’estero. Oltre a quelle già sopra ricordate, mi piace citarne almeno due: la prima del 1931 “Il passo del cigno ed altri poemi” con Prefazione di Giuseppe Ungaretti (allora ancora in amicizia con lui) e “Formiche d’autunno e altre poesie” del 1952, considerata una tra le sue opere più notevoli.

Aldo Capasso scomparve, all’età di 88 anni, a Cairo Montenotte. Così come ho citato alcuni risonanti e rievocativi versi di una poesia di Florette Morand, mi è caro riportare un esemplare testo pensoso, intinto nel più manifesto “realismo lirico”, composto da un ancor giovane Aldo Capasso:

Cielo ligure

Se dall’oscuro nido

io m’affaccio, mi perdo. Su la nera

coppa di questa terra mormorante

un fluido globo turchino contiene

sciami di stelle; creature acquatili,

si levano e s’abbassano nel liquido

cielo e le più remote

sono un tremito chiaro. Questi frusci

secretissimi giungono dagli astri

che nuotano tranquilli ? Pe’ miei occhi

la visione marina della notte

nel cuore entra e lo colma di frescura

come le grotte brune

dove s’è insinüata la marea.

Benito Poggio

QUESTA E’ LA MIA VALLE E QUI VOGLIO MORIRE…


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B. Poggio

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