Che bella notizia dal Tar di Lecce ! Montaggio e smontaggio delle cabine sulle spiagge a fine stagione ? Applausi per alcuni, scandalosa e vergognosa per altri. Si legge da ‘MondoBalneare.com’: Il Tar di Lecce in merito al mantenimento annuale di strutture balneari ha stabilito, con sentenza, che Comuni e Sovrintendenze non possono opporsi, né imporre la rimozione. I giudici prendono a pretesto la legge 145/2018 (governo Conte 1). E su cui farebbero leva anche titolari di concessione demaniale nel ponente ligure.
Premessa nulla a che vedere con la Bolkestein per la quale la squadra del presidente Toti continua la battaglia per la non applicazione immediata, un rinnovo a lungo termine delle concessioni, così come la Spagna. Una scelta politica condivisa anche da altri partiti, quali il Pd ligure e savonese. In pratica solo una parte dei M5S e di Leu (sinistra) si dichiara favorevole alla Bolkestein.
LA CORTE DEI CONTI LIGURE E CONCESSIONI BALNEARI – La Corte dei Conti lo definisce il ‘nodo irrisolto’ delle concessioni demaniali. La riforma organica del settore ‘ è divenuta non più procrastinabile’. Riforma per troppe volte rima che preveda l’affidamento di tutte le concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative con procedimenti concorsuali’. Il procuratore della Corte ligure riferendosi alla direttiva Bolkestein, sottolinea come ‘nel recovery plan, da presentarsi da parte del governo entro aprile 2021, potrebbe essere incluso un capitolo riservato alla riforma dei servizi, invi compresa la gestione del Demanio’.
IL CASO CABINE E STRUTTURE BALNEARI AMOVIBILI –
Pensiamo al ‘muro di cabine’ che manda in visibilio la vista in ampi tratti di lungomare della nostra costa. Tra i più contestati e clamorosi il caso Alassio che solo in un tratto a ponente ha le cabine sotto la passeggiata, come avviene ad esempio nel tratto centrale di Loano. Ma quali saranno le concrete conseguenze ? Nei giorni in cui i quotidiani liguri danno notizie sulla Corte dei Conti che richiama il rispetto della legge europea.
CNA Balneari 2 febbraio 2020 – Mantenimento annuale strutture balneari: Comuni e Sovrintendenze non possono opporsi. Importante sentenza del Tar Lecce, che conferma la piena validità della legge 145/2018.
La norma in questione, nella sua portata precettiva, si rivolge a due destinatari, in quanto da un lato attribuisce ai soggetti indicati la facoltà e il diritto di mantenere le strutture amovibili fino al 31 dicembre 2020, dall’altro – correlativamente – impone alla pubblica amministrazione di astenersi da provvedimenti volti ad imporre lo smontaggio delle stesse fino alla data suindicata, in palese violazione del chiaro dettato normativo […] non essendo previsto alcun procedimento o necessità di conseguimento di titoli e pareri – l’effetto sospensivo consegue ex legge ed in via automatica; non occorre pertanto alcuna previa dichiarazione o manifestazione della volontà di volersi avvalere dell’effetto previsto in via automatica dalla norma in esame»
Gli stabilimenti balneari possono mantenere i manufatti installati per tutto l’anno, senza la necessità che i concessionari presentino nessuna istanza: lo ha stabilito il Tar di Lecce, annullando un recente provvedimento del Comune di Castrignano del Capo che aveva ordinato la rimozione immediata delle strutture a uno stabilimento balneare di Leuca. I giudici hanno anche escluso la legittimità di qualsiasi forma di discrezionalità dei Comuni e della Sovrintendenza nel concedere il mantenimento annuale delle strutture.
Con sentenza pubblicata la I sezione del Tar Lecce (presidente Antonio Pasca) ha così interpretato e applicato, per la prima volta a livello nazionale, la cosiddetta norma “salva lidi” contenuta nella legge nazionale 145/2018, sancendo il diritto dei titolari di strutture stagionali, funzionali alle attività turistico-ricreative ubicate su area demaniale in concessione, a mantenere installati i manufatti per l’intero anno solare e sino al 31 dicembre 2020.
Le origini del contenzioso La storica sentenza trae origine a seguito di un provvedimento del Comune di Castrignano del Capo nei confronti della società Capo di Leuca srl, titolare del noto stabilimento balneare “Lido Samarinda” associato con Cna Balneari Puglia, rappresentata e difesa dall’avvocato Danilo Lorenzo.
Il Comune aveva imposto di rimuovere la struttura balneare assentita con titolo edilizio stagionale, nonostante la società concessionaria avesse comunicato di volersi avvalere del disposto di cui all’art. 1, comma 246 della legge n. 145/2018, la quale prevede che «i titolari delle concessioni demaniali marittime ad uso turistico ricreativo e dei punti di approdo con le medesime finalità turistico ricreative, che utilizzano manufatti amovibili, possono mantenere installati i predetti manufatti fino al 31 dicembre 2020, nelle more del riordino della materia, previsto dall’art. 1, comma 18, del decreto legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito con modificazioni dalla legge 26 febbraio 2010 n. 25».
Da qui il ricorso della società titolare del Lido Samarinda, affidatasi alla difesa dell’avvocato Lorenzo, la quale eccepiva l’illegittimità della citata ingiunzione di demolizione sotto vari profili, tra cui una omessa ed errata applicazione della norma detta “salva lidi”. Il Tar Lecce si è trovato, pertanto, chiamato ad affrontare la questione della corretta applicazione della norma di legge citata, evidenziando che «non si rinviene nella giurisprudenza amministrativa, sia di primo che di secondo grado, alcuna pronuncia che abbia affrontato ex professo la questione relativa all’interpretazione della norma in questione».
La sentenza n. 110 del 1° febbraio 2020, nell’accogliere il ricorso promosso dalla Capo di Leuca srl con una dettagliata e articolata motivazione, affronta nodi cruciali e fondamentali della questione, sancendo un diritto storico per i concessionari demaniali e per i titolari di punti di approdo. I passaggi fondamentali della sentenza posso essere così riassunti: In primo luogo, i giudici amministrativi di Lecce hanno evidenziato che l’art. 1 comma 246 nulla ha a che vedere con la direttiva n. 2006/123/CE (la cosiddetta direttiva “Bolkestein”).
Quanto all’utilizzo del termine “possono”, che ha dato vita a diverse interpretazioni da parte della dottrina in merito alla portata della legge, il Tar salentino ha confermato la tesi difensiva sostenuta in giudizio, affermando che l’utilizzo del termine “possono”, in luogo di termini come “mantengono” o “devono mantenere”, significa semplicemente che il legislatore non ha inteso costringere i titolari delle concessioni demaniali a mantenere le strutture in questione, ma ha rimesso agli stessi e nell’ambito delle proprie valutazioni imprenditoriali, la decisione di mantenere le strutture ovvero di procedere al relativo smontaggio.
Pertanto, il Tar ha considerato non corretto qualificare la comunicazione ex art. 1 comma 246 come “istanza”, atteso che tale termine postula “risposta” positiva o negativa da parte dell’amministrazione, richiedendo di conseguenza l’avvio di un procedimento. Tale procedimento tuttavia non è previsto in alcun modo dalla norma in esame, considerato che nel caso di specie non è consentita alcuna attività interpretativa da parte di nessuno, sia esso il giudice o la pubblica amministrazione, per difetto dei relativi presupposti. La sentenza prosegue affermando che in nessun caso è consentito al giudice – sia esso civile, penale o amministrativo – di sovrapporre il proprio intendimento a quello perseguito dal legislatore, evidenziando che la norma si presenta assolutamente piana e di immediata comprensione.
Il Comune aveva imposto di rimuovere la struttura balneare assentita con titolo edilizio stagionale, nonostante la società concessionaria avesse comunicato di volersi avvalere del disposto di cui all’art. 1, comma 246 della legge n. 145/2018, la quale prevede che «i titolari delle concessioni demaniali marittime ad uso turistico ricreativo e dei punti di approdo con le medesime finalità turistico ricreative, che utilizzano manufatti amovibili, possono mantenere installati i predetti manufatti fino al 31 dicembre 2020, nelle more del riordino della materia, previsto dall’art. 1, comma 18, del decreto legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito con modificazioni dalla legge 26 febbraio 2010 n. 25».
Da qui il ricorso della società titolare del Lido Samarinda, affidatasi alla difesa dell’avvocato Lorenzo, la quale eccepiva l’illegittimità della citata ingiunzione di demolizione sotto vari profili, tra cui una omessa ed errata applicazione della norma detta “salva lidi”. Il Tar Lecce si è trovato, pertanto, chiamato ad affrontare la questione della corretta applicazione della norma di legge citata, evidenziando che «non si rinviene nella giurisprudenza amministrativa, sia di primo che di secondo grado, alcuna pronuncia che abbia affrontato ex professo la questione relativa all’interpretazione della norma in questione».
Quanto all’utilizzo del termine “possono”, che ha dato vita a diverse interpretazioni da parte della dottrina in merito alla portata della legge, il Tar salentino ha confermato la tesi difensiva sostenuta in giudizio, affermando che l’utilizzo del termine “possono”, in luogo di termini come “mantengono” o “devono mantenere”, significa semplicemente che il legislatore non ha inteso costringere i titolari delle concessioni demaniali a mantenere le strutture in questione, ma ha rimesso agli stessi e nell’ambito delle proprie valutazioni imprenditoriali, la decisione di mantenere le strutture ovvero di procedere al relativo smontaggio.
Pertanto, il Tar ha considerato non corretto qualificare la comunicazione ex art. 1 comma 246 come “istanza”, atteso che tale termine postula “risposta” positiva o negativa da parte dell’amministrazione, richiedendo di conseguenza l’avvio di un procedimento. Tale procedimento tuttavia non è previsto in alcun modo dalla norma in esame, considerato che nel caso di specie non è consentita alcuna attività interpretativa da parte di nessuno, sia esso il giudice o la pubblica amministrazione, per difetto dei relativi presupposti. La sentenza prosegue affermando che in nessun caso è consentito al giudice – sia esso civile, penale o amministrativo – di sovrapporre il proprio intendimento a quello perseguito dal legislatore, evidenziando che la norma si presenta assolutamente piana e di immediata comprensione: Fonte: MondoBalneare.com