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L’ex Procuratore capo: L’unica cosa che ci appartiene è il tempo. Fermiamoci…


“Il positivo nel negativo”. La riflessione di Gustavo Cioppa, già Procuratore Capo della Repubblica di Pavia e Sottosegretario alla Presidenza di Regione Lombardia:   “L’unica cosa che ci appartiene è il tempo.” ( Seneca).

di Gustavo Cioppa

Il magistrato Gustavo Cioppa

Da il Ticino – Ma cosa è il negativo di cui parliamo ora? Questa chiusura forzata?  Spesso, come per lo ying e lo yang, dentro un positivo vi è un negativo e viceversa. E’ reale che questo cambiamento, soprattutto nei rapporti con il prossimo, nella socializzazione, non solo come svago, ma anche lavorativamente o famigliarmente, ci ha donato uno scossone, riportandoci ad una dimensione sconosciuta ad oggi; ma quale grande opportunità per scrutare.

L’attuale situazione ci offre su un piatto d’argento il bene  più prezioso: “il tempo”, il tempo per pensare, a noi, a chi siamo, a chi vorremmo essere realmente, al di là degli stereotipi e dei condizionamenti della fretta. Svegliarsi la mattina, avere il tempo di guardare dalla finestra osservando dettagli con la nostra tazza di caffè prima di cominciare il nostro smart working, il vivere la propria famiglia in maniera completamente diversa, guardare i propri figli, notare novità all’interno delle nostre mura che non sono nuove, ma che non abbiamo mai avuto tempo di osservare.

Questo periodo è un dono, temporaneo, che va vissuto con la massima consapevolezza, racchiude in sé momenti, se sapremo guardarci nell’intimo, che probabilmente rimpiangeremo quando ritorneremo a correre “senza tempo”.
Pensare a sé, alle nostre vere aspirazioni che magari si riveleranno non quelle materiali, ma di poter godere dei piaceri semplici, di sguardi e parole in famiglia, di natura, di silenzi ed armonia. Questo è il vantaggio del presente, quello che ci mostra un bicchiere non mezzo vuoto, ma al contrario mezzo pieno.
Spersi, nell’affannoso tentativo di difenderci da questo maledetto imprevisto; agitati, annaspando per trovare il minor male e ridurre il disastro che ormai è palese anche a chi nega; spiazzati dalla tristezza che il cambiamento impone alla vita di tutti; arrabbiati, impotenti, depressi, immobili, inquieti…
Tante e diverse le emozioni che ci possiedono…
Forse solo pochi, coraggiosi, umili, ma liberi pensatori, sapranno scegliere di fermarsi e soffermarsi ora, cogliendo una delle poche e rare occasioni che la vita ci ha dato.
Solo pochi coraggiosi, insomma, sapranno cogliere questa irripetibile opportunità e rendersi conto che, per la prima volta nella vita, si trovano ad essere non più schiavi, ma padroni del tempo: una inversione dei rapporti di forza, che ridefinisce posizioni mai mutate e restituisce valore anche alle piccole cose, troppo spesso trascurate. Solo pochi vorranno dare un valore a questa sfida e farne tesoro, per crescere.
Fermiamoci a riflettere. Guardiamo con occhi nuovi, allora forse non vedremo il deserto che sono diventate le città del Bel Paese. Quegli spazi vuoti sono abitati dall’aria, che forse adesso è più pulita, dalla natura che persiste ostinata, nonostante il virus, dai monumenti artistici che testimoniano l’avvicendarsi delle epoche. Colui che ha il privilegio di abitarle non se ne dimentichi, anche se, adesso, gli pare che non vi sia più differenza tra città e campagna. Le belle piazze d’Italia sono ancora più belle, senza la frenesia delle folle che le percorrevano in tutte le angolazioni come in un game movie; sagome affaccendate, volti talvolta truci, sempre distratti. Le belle piazze italiane ed europee appaiono forse, grazie al virus, come le avevano concepite gli antichi artefici, che inseguivano la Bellezza per farne dono all’umanità.
C’è più tempo? Desidero pensare così, che vi sia più tempo, anche se molti obietteranno. Mi piace immaginare che possa esserci più tempo per tutti. Che ci si dimentichi una buona volta della frenesia, la malattia dei paesi occidentali, succubi delle logiche spietate del capitalismo avanzato, i più colpiti ora dalla calamità del Covid. Proviamo a immaginare, come fa Eduardo Galeano,  un mondo in cui si lavori per vivere e non si viva per lavorare (Eduardo Galeano, Diritto al delirio).

Fermiamoci ad assaporare l’istante, senza sciuparlo pensando a quello successivo. Ogni attimo è irripetibile. Osserviamo, ascoltiamo, viviamo, amiamo ogni attimo. Ascoltiamo il battito del nostro cuore. Siamo ancora vivi. Cerchiamo di accorgercene. Ma un conto è essere vivi, un altro è sentirsi vivi. Non si tratta solamente di esistere. E se il tempo per permettersi il lusso di pensare è ancora poco, non lasciamo che ce lo sottraggano certe mode, stereotipi, abiti mentali. Può esistere una pianta, giammai un essere umano. Gli esseri umani hanno il diritto di vivere. Ogni persona non dovrebbe solo esistere, sarebbe un’esistenza insipida; ogni persona dovrebbe vivere e sentirsi vivere. E il quid che fa la differenza tra esistenza e Vita ha a che fare col Tempo.

Spendiamolo bene il nostro tempo, potremmo rimpiangerlo. E se un giorno troveremo il tempo (o il coraggio) di voltarci a guardare il passato, speriamo di non diventare una statua di sale, come accadde alla moglie di Lot nel racconto biblico. Noi che abbiamo polverizzato le aspirazioni, i sogni, schiavi di qualcosa – forse della frenesia – potremmo stringere fra le mani un pugno di polvere, noi stessi un monumento di povere, così statici, vuoti, morti.
Abitanti dell’opulento (una volta) Occidente abbiamo finalizzato le nostre esistenze al lavoro, credendo di dare alla brama una sfumatura morale, ma la brama rimane quel che è: un vizio (capitale). Guardiamo invece da un’altra prospettiva. Affidiamoci alle parole di Melville e facciamole nostre: “Parlano della dignità del lavoro. Sciocchezze. La verità è che il lavoro è la necessità della condizione terrena di questa povera umanità. La dignità è nel tempo libero.” (Herman Milville)

Dott. Gustavo Cioppa

(Magistrato, già Procuratore Capo della Repubblica di Pavia e Sottosegretario alla Presidenza di Regione Lombardia)


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