Trucioli

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A Noli chi la contesta?
600 la Cupola del Brunelleschi


Passata la galleria stradale della Caprazoppa, sulla destra, mezza nascosta si trova la pietra miliare 600, la distanza che qualsiasi viandante ha percorso la strada che dalla capitale veleggia verso il confine di stato, verso Ponte San Ludovico.

di Alesben B.

600, numero straordinario, quest’anno, di un capolavoro che fa onore al territorio italiano, anzi alla genialità di un italiano, simbolo di Firenze ed opera di straordinaria ingegneria, riconosciuto in tutto il mondo, si spera che ciò avvenga anche a Noli patria del contendere di tutto ed a chicchessia: Filippo Brunelleschi e la cupola della cattedrale di Santa Maria del Fiore.La storia di questo grandioso ed elegante capolavoro è esposta per Vatican Insider da monsignor Timothy Verdon, docente di storia dell’arte alla Stanford University e direttore del Museo dell’Opera del Duomo di Firenze.

La cupola della cattedrale di Santa Maria del Fiore, una delle opere che appartengono alle ricchezze migliori dell’umano, compie seicento anni. Costruita tra il 1420 e il 1436 da Filippo Brunelleschi, è stata la cupola più grande del mondo: oggi conserva il primato della più grande volta in laterizio del pianeta, con un peso complessivo stimato intorno alle 37.000 tonnellate. Ha un diametro di 45,50 metri, si innalza su un tamburo collocato a 54 metri dal suolo raggiungendo i 116 metri di altezza (comprendenti i 22 metri della lanterna sommitale).

« La cupola segna l’inizio dell’era moderna. Leon Battista Alberti, che fu il primo a commentare quest’opera, giunse a Firenze e vide la cupola ormai strutturalmente completata. Nel prologo del suo libro dedicato alla pittura (1434) scrive che, vivendo a Roma, era convinto che tutte le grandi imprese architettoniche appartenessero al passato: dopo aver visto la cupola del Brunelleschi aveva invece compreso che l’uomo contemporaneo poteva non solo eguagliare gli antichi ma anche sorpassarli. Grazie all’opera del Brunelleschi l’uomo moderno si rende conto, per la prima volta, di poter realizzare imprese che superano i grandi e quasi inarrivabili successi del passato: è l’inizio del concetto moderno di progresso. Appena terminata, la cupola viene subito considerata una struttura straordinariamente innovativa, espressione di una eccezionale genialità ingegneristica.

«Tutti, a quel tempo, davano per scontato che Brunelleschi avrebbe edificato la cupola realizzando una colossale e temporanea costruzione di ponteggi in legno, corrispondente all’altezza e al volume della cupola, sulla quale porre l’involucro di pietra e mattoni. Probabilmente proprio così era stato edificato il Battistero cittadino. Brunelleschi, però, non sceglie questa strada. Quando si mette al lavoro, il supporto della cupola è già presente: ha forma ottagonale e un diametro di oltre 40 metri. In cima a questa struttura Brunelleschi decide di porre strati di pietre lasciando grandi fori, le buche pontaie (profonde 4/5 metri): con una gigantesca gru issa poi una cinquantina di enormi travi lunghe una decina di metri e le inserisce in queste buche. Sulle travi colloca quindi delle assi creando una piattaforma di lavoro sospesa nel vuoto in grado di autosostenersi []. In mezzo resta un largo spazio utile affinché la gru possa continuare a portare in quota i materiali e gli operai. Rielaborando genialmente il metodo utilizzato per la costruzione delle case torri, Brunelleschi stupisce l’intera città con questa soluzione, semplicissima e brillante.  Egli inoltre comprende che se le mura curve degli otto spicchi della cupola ottagonale rimangono sempre allo stesso livello l’intera struttura si regge e non crolla []. E quindi fa in modo che nessuno spicchio – durante la costruzione – sia mai più alto degli altri. I mattoni vengono disposti a spina di pesce e crediamo che Brunelleschi abbia curato la forma stessa dei mattoni che vennero cotti nelle fornaci situate proprio là dove oggi sorge il Museo dell’Opera del Duomo».

«Brunelleschi è costretto a lavorare in un clima di sospetti e accuse: Giorgio Vasari racconta che quasi ogni settimana giungevano all’Opera del Duomo lettere (anonime o firmate da altri architetti) che accusavano Brunelleschi di gravi errori e prevedevano il crollo della cupola. Nel 1431, quando ormai la cupola è prossima al completamento, tutti comprendono che le accuse sono infondate e l’Opera del Duomo commissiona a Luca della Robbia e a Donatello due cantorie per lo spazio liturgico sottostante. Intanto in città comincia a diffondersi la fierezza di possedere un’opera straordinaria, e la consapevolezza di vivere una “aurea aetas”, un’età dell’oro, paragonabile a quelle, eccezionali, dell’antichità. Nello stesso periodo vengono portate a termine altre magnifiche opere: 1 – La Porta del Paradiso per il Battistero, realizzata da Lorenzo Ghiberti: l’ultimo pannello della porta, in lavorazione proprio quando Brunelleschi termina la cupola, mostra la visita della regina di Saba al re Salomone. Ghiberti situa l’incontro davanti a un grande edificio, il Duomo di Firenze, nel quale si scorge, in fondo alla navata, l’apertura della cupola: Ghiberti ci fa capire che Firenze vede nella sua cattedrale, ora completata dalla cupola, un edificio costruito con quella divina sapienza che la Bibbia attribuisce a Salomone». 2 – Il  monumento funebre a Ilaria del Carretto è un’opera scultorea di Jacopo della Quercia conservata nella Cattedrale di San Martino a Lucca. Fu commissionata da Paolo Guinigi per la moglie Ilaria del Carretto. Il sarcofago è in marmo ed è considerato tra i migliori esempi di scultura funeraria italiana del XV secolo.

Ma il monumento funebre scolpito da Jacopo Della Quercia ancora oggi commuove con quel piccolo cane ai piedi di Ilaria, che la guarda come a chiederle perché non possa più accarezzarlo. Resta l’emozione: dopo 600 anni quella tomba ha trovato il corpo per cui fu scolpita

ll monumento funebre a Ilaria del Carretto è un’opera scultorea di Jacopo della Quercia, risalente al 1406-1408 e conservata nella Cattedrale di San Martino a Lucca. Ilaria del Carretto era la giovane moglie di Paolo Guinigi, signore di Lucca tra il 1400 e il 1430, che aveva sposato nel 1403. Quando morì, a soli venticinque anni, dando alla luce la secondogenita, il marito contattò lo scultore Jacopo della Quercia. Il corpo di Ilaria non venne mai deposto però nel sarcofago; recenti studi archeologici del 2012 rimanderebbero il luogo di sepoltura nella Chiesa di San Francesco a Lucca.

Il sarcofago venne posto al centro del duomo di San Martino a Lucca. Quando Paolo, signore di Lucca, fu cacciato dalla città nel 1430, i suoi beni furono confiscati ed anche il sarcofago di Ilaria venne spogliato delle decorazioni laterali. Il sarcofago dall’originale posizione bene in vista nella chiesa fu spostato in posizione defilata nei pressi della sacrestia. Nel 1488 artisti locali scolpirono nuove fiancate, anche se successivamente le originali vennero ritrovate e poste nuovamente ai lati del sarcofago come erano in originale.

Ad oggi il sarcofago è stato dotato nuovamente delle parti sottratte ed è stato posizionato all’interno della sacrestia dove è visitabile. Nel 2002 il Capitolo del Duomo, affidò agli architetti David Palterer e Luigi Zangheri di Firenze la nuova sistemazione dell’opera nell’adiacente museo.

Una campagna di scavi svoltasi nel 2012 nella cappella di S. Lucia, a Lucca, ha permesso il ritrovamento di quelli che potrebbero essere considerati i resti di Ilaria Del Carretto, insieme ad altre due mogli di Paolo Guinigi.

Il sarcofago marmoreo raffigura la ragazza dormiente, a grandezza pressoché reale, riccamente abbigliata e giacente su un catafalco decorato con putti reggifestone. La ragazza ha i capelli raccolti in una tipica acconciatura dell’epoca che si chiama cercine (inizio Quattrocento) mediante una fascia imbottita e la testa è appoggiata su due cuscini. Anche l’abbigliamento con cui la donna è ritratta riflette la moda dell’epoca, con la Pellanda [] stretta sotto il seno da una fascia, le vesti abbondanti di stoffa e il colletto rigido (si confronti con le miniature dei fratelli Limbourg nel Les Tres Riches Heures).

Il ritratto è dolce ed elegante, con uno struggente contrasto tra la bellezza del soggetto e lo stato di morte che è entrato nell’immaginario collettivo. Il panneggio è ancora tardogotico, allineato con la coeva scultura borgognona, ma il ritratto è caratterizzato individualmente, frutto della lezione del nuovo Umanesimo, mentre il motivo dei putti con festoni sui fianchi è un’esplicita citazione classica.

Ai piedi della ragazza è accoccolato un cagnolino, simbolo della fedeltà coniugale e trattato con notevole realismo.

«La cattedrale di Santa Maria del Fiore viene consacrata nel marzo del 1436. Cinque mesi dopo il vescovo di Fiesole inaugura la cupola (di cui si sta terminando l’esterno): essa viene quindi concepita come elemento quasi separato dal resto dell’edificio. Che ha un proprio significato. Per comprenderlo possiamo fare riferimento all’opera di pittura che anticipa la cupola: è un affresco presente nella sala capitolare dei domenicani di Santa Maria Novella che fu eseguito da Antonio di Bonaiuto prima della nascita di Brunelleschi. L’affresco raffigura la cattedrale con la cupola quasi identica a come poi, anni dopo, sarà edificata (segno che a Firenze avevano ben chiaro in mente come avrebbe dovuto essere). Nell’affresco, in basso, l’artista colloca le diverse categorie sociali di allora (le persone semplici, i principi, i vescovi, il papa): la cupola, dipinta nella parte superiore dell’affresco, penetra il cielo che è popolato di angeli e santi.

Essa è punto di collegamento tra la chiesa militante sulla terra e la chiesa trionfante in cielo e diviene immagine dell’anelito [] umano verso il cielo di Dio. In questo modo la cupola verrà raffigurata anche dopo la sua costruzione: nel Duomo c’è un dipinto di Domenico di Michelino (alunno del Beato Angelico) che raffigura Dante con la sua Commedia: alla sua destra si vede l’ingresso dell’inferno mentre a sinistra il paradiso è simboleggiato da Firenze dominata dalla cupola che svetta sopra la città ed è la strada verso il cielo».

«Appena terminata, la cupola desta grande ammirazione e suscita tra gli artisti l’ambizione di replicarla. Particolarmente affine a quella del Brunelleschi è la cupola di uno dei maggiori santuari mariani d’Italia: quello della Santa Casa di Loreto, opera, non a caso, di artisti fiorentini. E poi vi è la magnifica cupola della basilica di San Pietro, a Roma: Giorgio Vasari racconta che quando Michelangelo partì da Firenze alla volta di Roma dichiarò (rivolgendosi alla cupola di S. Maria del Fiore): “Vado a Roma a far la tua sorella, di te più grande sì ma non più bella”. La cupola del Duomo di Firenze viene imitata non solo in Italia ma in quasi ogni capitale europea (ad esempio, a Londra, nella cattedrale di St. Paul), diventando segno distintivo della civiltà rinascimentale e barocca europea». «La cupola del Duomo è l’esempio più felice di una convinzione: la scienza, inclusa l’ingegneria, non è in conflitto con Dio. Tanto più un edificio rende visibile la complessità delle conoscenze ingegneristiche tanto più esso diventa un inno di lode a Dio, il quale permette all’essere umano di penetrare i misteri matematici e fisici dell’universo per poter creare qualcosa di analogo alla Sua creazione.

Nel Quattrocento, qualche decennio dopo il completamento della cupola, Giovanni Pico della Mirandola, che aveva studiato a Firenze, immagina la creazione nel suo trattato “sulla dignità dell’uomo”: afferma che Dio ha dato all’essere umano il ruolo unico di contemplatore dell’universo: Dio voleva qualcuno capace di capire le meraviglie della creazione, e diventarne a sua volta di creatore di cose grandi.

Alesben B.


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