Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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La dorsale tirrenica, quale futuro. C’è Marsili, grande vulcano nel Tirreno, 3,5 km profondo


La dorsale Tirrenica che comprende la Liguria e che, ricordiamo, è su una linea internazionale di collegamento con la Francia, non fa parte del territorio italiano. La nostra regione, oltre a soffrire di un cronico isolamento “non può sopravvivere con i confini chiusi”. È il riassunto del pensiero del governatore della Regione Giovanni Toti, che nel corso della trasmissione radiofonica, ha anche appuntato che chi percepisce un reddito di cittadinanza “dovrebbe rendersi utile lavorando come steward nelle spiagge libere o nel mondo dell’agricoltura”.

Si tratta di un reddito pagato con le tasse degli italiani e quindi è giusto che quando c’è bisogno, come i lavori socialmente utili, si rendano utili”.

I confini tra Regioni, – ha dichiarato il governatore ligure, – sono di competenza del Governo e nessuno immagina come Regioni di travalicare, dopodiché non credo che l’Italia possa rimanere un Paese chiuso tra Regione e Regione”. Il timore principale è dovuto al fatto che, vista la difficile situazione in particolare in Lombardia, il “blocco” dei confini possa continuare anche durante l’estate, in particolare nelle Regioni più colpite dall’emergenza Coronavirus.   “Occorrerà vedere con attenzione i dati del contagio, che però sta scendendo un po’ ovunque, anche in Lombardia, che sconta il fatto di essere stata la Regione più colpita, – ha proseguito Toti. – Non credo che la Liguria e l’Italia possano sopravvivere con i confini chiusi ancora a lungo“.

La Regione dopo il tracollo del viadotto sul Polcevera e prima del nuovo ponte di Piano, è monca del supporto autostradale, quindi niente o pochi collegamenti stradali, assenza di collegamenti ferroviari ed assenza di una linea ad alta velocità, ed anche la quasi totale assenza di voli aerei, per la drastica riduzione delle tratte da e per l’aeroporto di Genova.

La dorsale Tirrenica comprende oltre che la Liguria anche la Toscana, il Lazio, la Campania, la Basilicata e la Calabria

Il mar Ligure a nord ed il mare Tirreno al centro sud, sono definiti ‘un oceani in miniatura’ perché in essi sono presenti pressoché tutti i fenomeni  idrodinamici, che caratterizzano le masse d’acqua oceaniche. Sono mari vivi, dove si concentrano le forme di vita più diverse.

La dorsale Tirrenica è la conseguenza da quando la Terra era ancora una Pangea; ma dal Cretaceo medio [130 m.a.] qualcosa cambiò: i continenti iniziarono a separarsi e a cambiare posizione solo successivamente, formando nel tempo nuovi mari e oceani. Il continente Africano, ad esempio, era separata dall’Eurasia da un mare chiamato Tetide. Questo bacino era molto esteso verso est [attuale oceano Indiano]. Il primitivo oceano tetideo è suddiviso in Neotetide [con crosta oceanica in espansione] e Paleotetide [originatasi nel Palozoico e ora in fase di chiusura].

Grazie a questi “spostamenti” iniziò a formarsi l’oceano Ligure-Piemontese, che a est lambiva i confini di quelle due placche, mentre a ovest era in contatto con l’oceano Atlantico, anch’esso in fase di formazione. Come tutti gli oceani, anche quello Ligure-Piemontese aveva una dorsale medio-oceanica, attraversata da parecchie faglie. Durante la formazione di questo bacino, la crosta terrestre, che rappresentava il fondo di quell’oceano, si assottigliò molto e in alcuni punti si lacerò, permettendo alle lave vulcaniche, provenienti dal mantello terrestre, di fuoriuscire.

Tra la fine del Giurassico e l’inizio del Cretacico (circa 140 milioni di anni fa) l’oceano Ligure-Piemontese divenne sempre più grande, grazie proprio all’allontanamento della placca africana da quella europea.

Africa ed America cominciarono a separarsi (nasceva l’Atlantico meridionale). Ad un certo punto, circa75 milioni di anni fa, termina il processo di distensione e la zolla africana prese a muoversi con una lentissima rotazione antioraria, tanto da avvicinarla sempre di più, fino alla definitiva collisione con la zolla euroasiatica. Da questo continuo movimento, iniziò l’orogenesi di una nuova catena montuosa dal nome a noi famigliare: le Alpi; come conseguenza l’Oceano Ligure Piemontese si trovò compresso e schiacciato tra Africa ed Europa che si avvicinavano, e venne a poco a poco eliminato sparendo sotto il margine africano.

Tra l’Oligocene superiore e il Miocene inferiore, circa 24 m.a., la Corsica e la Provenza, facendo perno sul golfo di Genova, ruotano in senso antiorario e si distaccano dall’ Europa per portarsi verso la posizione attuale. Questo fenomeno provoca uno sprofondamento dei territori a ovest del blocco Sardo-Corso, e la conseguente formazione del Bacino Balearico e del Mar Ligure.

Nell’incavo dell’arco alpino in formazione, si delineò un braccio di mare in cui si depositarono molti sedimenti provenienti dalla giovane catena montuosa, che furono successivamente deposti in una zona corrispondente all’attuale Monferrato. Questa zona rimase per lungo tempo sommersa, mentre quella corrispondente alle Langhe era in parte emersa. Successivamente, nell’oligocene medio, nella stessa zona, avvenne un’altra importante trasgressione marina, la quale determinò la progressiva riconquista delle terre emerse in precedenza.

Si formò un ampio golfo, denominato appunto Bacino terziario ligure piemontese. In questo mare oligocenico, si potevano distinguere un’area costiera a sud ovest, con profili molto frastagliati e bordata da gruppi di piccole isole e zone di mare aperte e profonde, tanto più ci si spostava verso nord.

Il Piemonte e parte della Liguria attuale, corrispondevano ad un bacino di sedimentazione marina, mentre nelle zone costituite da terre emerse, che attorniavano questo tratto di mare, si formarono dei depositi continentali. Nell’ambito della sedimentazione del bacino Ligure – Piemontese, dobbiamo ricordare anche il giacimento di Sassello. L’Oligocene (32-23 m.a.) rappresenta un’epoca molto importante per i mutamenti climatici ma non solo, infatti questo periodo è caratterizzato anche dall’affermazione delle angiosperme (piante provviste di “fiori evidenti”), sulle gimnosperme (piante con “fiori nascosti”) e dal grande sviluppo evolutivo dei mammiferi che, differenziandosi e specializzandosi sempre di più, occuparono molte nicchie ecologiche, a volte anche con forme gigantesche. A questo proposito famoso è il giacimento di Stella Santa Giustina.

Questo evento ha una conseguenza importantissima sulla geografia italiana: la rotazione che comprime e accumula i materiali verso est, si ha cioè un’altra orogenesi, quella appenninica, ovvero la nascita degli Appennini. Ci vorrà ancora del tempo, ma non molto, prima dell’ apertura del Mar Tirreno che porterà al compimento del definitivo assetto geologico del nostro paese. In realtà per i geologi non si tratta di mare ma bensì di oceano perché le cause della sua nascita sono le stesse che portarono alla formazione dell’Oceano Ligure Piemontese: l’espansione del fondo oceanico dovuto a movimenti che assottigliano ed espandono la litosfera. Il Tirreno ha raggiunto (circa un milione di anni fa) il record tra le velocità di espansione dei fondi oceanici: circa 20cm l’anno nella direzione orizzontale; ne è la prova il Marsili, il più grande vulcano europeo, al centro del Tirreno, alla profondità di 3500 metri.

Ma torniamo alla nostra dorsale tirrenica che non fa parte del territorio italiano, e ciò lo si intuisce da come il Governo Italico tratta le Regioni ad eccezione della zona del litorale romano [Roma, Palazzo Chigi e Palazzo Madama, non vogliono fare la figura dei mentecatti verso i rappresentanti degli altri Stati europei e non].

I collegamenti autostradali, e parliamo di autostrade perché sono le vie di comunicazione su gomma che hanno una parvenza di perbenismo, hanno quattro corsie nei pressi della Capitale e man mano che si allontanano da Roma, diventano a due corsie per senso di marcia, sovente chiuse per fantomatici [i cartelli ci sono ma non gli operai] lavori in corso che determinano faraoniche code di autoveicoli.

Nella prima metà del XX secolo la strada napoleonica che valicava il passo dei Giovi, presa in carico nel 1928 dall’Azienda Autonoma Strde Statali (AASS), risultava ormai insufficiente a smaltire il crescente traffico di mezzi pesanti che dal porto di Genova si dirigevano verso la pianura padana. Il governo italiano, nella persona del presidente del consiglio Benito Mussolini, con lettera al prefetto di Genova datata 10 febbraio 1932, dispose perciò la costruzione di una via di grande comunicazione per Milano e Torino con caratteristiche di alto e pesante traffico, indipendente dalle altre arterie stradali e col tracciato più breve e comodo possibile compatibilmente con le condizioni del terreno.

Alla direzione dell’opera fu posto l’ingegner Giovanni Pini. Vi lavorarono 16 imprese specializzate per la parte stradale (suddivisa in 22 lotti), più 12 per la parte relativa all’impiantistica e all’illuminazione. Per la costruzione dell’opera vennero impiegati (non contemporaneamente) quasi 30.000 operai, per un totale di 4,5 milioni di giornate lavorative. Il costo di realizzazione, a causa della difficile orografia e delle intersezioni con la ferrovia e le strade già esistenti, fu di molto superiore rispetto a quello di altre autostrade costruite nello stesso periodo.

La tratta Genova-Seravalle venne inaugurata il 29 ottobre 1935 dal re Vittorio Emanuele III, e divenne la via più rapida per collegare la città ligure e il mare con Milano e Torino, soppiantando la vecchia strada statale 35 dei Giovi. All’epoca della sua realizzazione venne denominata Autocamionale Genova-Valle del Po (o, semplicemente, Camionale), a indicarne la sua principale funzione commerciale, nome ancora utilizzato. La gestione venne affidata all’AASS.

L’ A26 unica a tre corsie per senso di marcia fino all’intersezione con l’A4, tutti gli altri collegamenti sono risicati all’osso. Soffitti di gallerie che si staccano, frane che colpiscono le pile, smottamenti sulla carreggiata, viadotti a rischio crollo [vedi A6 vecchio tracciato di Ca’ Lidora e A10 viadotto che scavalca l’Ente Scuola Edile, qui i ferri sono a vista]

L’A 10, a due careggiate e a due corsie per ogni senso di marcia, da Albisola è a 3 corsie, priva di corsia di emergenza, con limite di velocità 110 km/h,
è stata pensata più di 50 anni fa, misura 158 km ed è una delle strade più pericolose che esistono in Italia.

“Passi Albissola e sei nella Playstation. Ma qui c’è poco da giocare, perché le vite umane mica poi le recuperi. I vecchi le chiamano “le curve del maiale”, una serie di avvitamenti che costellano il percorso che corre verso Varazze. Chi le affronta capisce subito quanto siano categoriche le leggi della fisica, della forza centrifuga, capisce che sono fuori raggio e che la velocità stessa ti proietta all’esterno. Chi lo sa, va piano. Tra quelli che non lo sanno, pochi hanno il fegato di fare la cosa giusta: dare un po’ di gas per mantenere l’aderenza. La gran parte ti si pianta davanti premendo il freno in piena curva, con le luci posteriori che s’illuminano come in un albero di Natale.

Dato che la carreggiata non si può espandere come un chewing gum si rinuncia alla corsia di emergenza. Di più: le tre che ne derivano non raggiungono i 3,75 metri previsti dal codice. Si ovvia imponendo, in moltissimi tratti, il limite degli 80 all’ora e finisce lì. Con una soluzione un po’ abborracciata ma inevitabile e un’arteria fragilissima: appena c’è un incidente, la Regione rimane tagliata in due sistematicamente.

È così. Le curve da ottovolante, il bivio improbabile, il ponte su cui ti sembra di scorgere Spiderman che combatte con Goblin, sono i simboli di un’autostrada così indispensabile quanto stretta, vetusta, a volte,  pericolosissima. Si poteva far di meglio, tra il mare e le alture? C’è l’altro tratto, quello che da Savona va alla Francia, che viene costruito negli anni Sessanta. Non ci si perde in elucubrazioni: due corsie, senza quella di emergenza, fino a Ventimiglia, tanto non ci sta in quella sarabanda di viadotti e tunnel uno via l’altro.

Poi però il tempo e le mutate esigenze di sicurezza presentano il conto. Perché 14 gallerie nel tratto tra Savona e Ventimiglia, tutte più lunghe di mezzo chilometro, non sono conformi agli standard imposti dalle direttive della Commissione Europea. Ora bisogna intervenire in maniera robusta, con un appalto da 7 milioni e mezzo per mitigare ogni rischio. Sarà un maquillage efficiente, i numeri raccontano che negli ultimi anni gli incidenti e le vittime sono diminuite. Ma, racconta una statistica di Aci e Istat del 2015, la A10 è la nona strada più pericolosa d’Italia. Dal 2015 sono stati 269 gli incidenti con 7 morti e 447 feriti.

La Regione dopo il tracollo del viadotto sul Polcevera e prima del nuovo ponte di Piano, è monca del supporto autostradale, quindi niente collegamenti stradali in tutto l’arco ligure, assenza di collegamenti ferroviari ed
assenza di una linea ad alta velocità, ed anche la quasi totale assenza di voli aerei, per la drastica riduzione delle tratte da e per l’aeroporto di Genova.

Nell’aggiornamento dei collegamenti su ferro nella Fase 2, la Liguria è assente. L’aumento di Frecce previsto da Trenitalia a partire dal 18 maggio, dalle attuali 18 alle prossime 38, infatti non coinvolge la dorsale Tirrenica che comprende la Liguria e che, ricordiamo, è su una linea internazionale di collegamento con la Francia”.  Lo dichiarano i parlamentari liguri della Lega: Edoardo Rixi, Francesco Bruzzone, Flavio Di Muro, Sara Foscolo, Stefania Pucciarelli, Paolo Ripamonti e Lorenzo Viviani. Spiegano i parlamentari liguri della Lega: “La nostra regione, oltre a soffrire di un cronico isolamento e dell’assenza di una linea ad alta velocità, per ripartire ha assoluto bisogno di collegamenti su ferro, vista anche la quasi totale assenza di voli aerei, per la drastica riduzione delle tratte da e per l’aeroporto di Genova, causa Covid. Deve essere garantita la continuità territoriale”.

“La Liguria e le sue imprese, per la ripartenza delle attività economiche prevista dal 18 maggio, non può essere esclusa dal piano di implementazione dei collegamenti ferroviari, che, dalla prossima settimana, riguarderanno invece quasi tutte le altre regioni, anche quelle che sono state più interessate dai contagi, verso le regioni del Centro Sud” concludono.

Per quanto riguarda il trasporto ferroviario si rimanda agli argomenti posti su “Trucioli”: Il Treno ha fischiato – Treni storici – Maersk di Vado [n°19 del 11/01/2019 – n°26 del 07/03/2019 – n°28 del 31/03/2019]

Prima di chiudere quest’articolo, alleghiamo un commento di Alice Salvatore del movimento Il Buonsenso:

“Come tutti sappiamo, la situazione delle autostrade liguri è al limite della sopportazione: i collegamenti autostradali sono spesso molto lunghi, e mal organizzati, ma quello che più preoccupa quotidianamente coloro che sono costretti a passarci, sono le cattive condizioni di manutenzione. I cittadini liguri sono costretti tutti i giorni a prendere autostrade pesantemente inadeguate. A volte si tratta di affrontare veri e propri rischi, con calcinacci che cadono improvvisamente o porzioni di autostrade che vengono chiuse da un giorno all’altro, senza contare la scarsa segnaletica che a volte trasforma le autostrade in veri e propri labirinti”.

“Sappiamo molto bene come aziende quali Autostrade per l’Italia del gruppo Benetton, che dovrebbero occuparsi della manutenzione, dedicano poca attenzione, colpevolmente, a questo aspetto fondamentale e sappiamo anche che il Governo non sta facendo adeguata pressione per ottenere un cambio di passo”.

“E ogni anno contiamo il drammatico numero dei morti e dei feriti sulle nostre autostrade, per non tenere in conto i continui disagi dovuti ai ritardi, e alle condizioni di poco comfort con cui si devono affrontare viaggi anche molto lunghi. Non è un segreto che la regione Liguria sia particolarmente scollegata dal resto d’Italia e come tutti sanno la situazione è ovviamente insostenibile” “Il problema però è che i cittadini Liguri sono comunque costretti a prendere l’auto per i loro spostamenti. Che si tratti di un viaggio di lavoro, per trovare un cliente o un fornitore, o anche solo per uno spostamento di piacere con la propria famiglia, nella stragrande maggioranza dei casi si è costretti a prendere la propria automobile”.

“Il motivo principale di tutto questo è che il viaggio su treno è assolutamente insoddisfacente. Se la disponibilità dei treni fosse notevolmente maggiore avremmo la possibilità di sgomberare molto traffico sulle autostrade: è chiaro che a livello logistico e di viabilità, appare strategico un rilancio della nostra capacità di trasporto su rotaia. Per i pendolari in Liguria la vita è drammatica”.

“I treni dovrebbero essere innanzitutto nuovi e dotati di tutti i comfort adatti al viaggio, con un adeguato sistema di pulizia, invece di condizione igieniche a volte letteralmente pietose. Ma la cosa più importante in assoluto è aumentare il numero dei treni per coprire più tratte, per aumentare la frequenza delle corse. Ancora oggi non esiste un diretto tra Genova e Verona, ad esempio, o per molti altri scali si è costretti ad andare a Milano e poi prendere una coincidenza.

Per andare a Ventimiglia si impiegano ore ed ore, come se si dovesse affrontare un viaggio intercontinentale. Alle 5 Terre pendolari e turisti sono pressati come sardine. Per non parlare delle 5 ore, minimo, che sono necessarie per arrivare a Roma dal capoluogo”.

“L’aumento della frequenza dei treni servirebbe ad aumentare le possibilità di spostamento dei liguri. Un treno per la capitale è programmato due volte al giorno, e un treno per Milano è disponibile una volta ogni 4 ore. L’aumento della frequenza dei treni permetterebbe un grandissimo sfollamento del carico giornaliero di automobili che intasano le nostre autostrade. E renderebbe più dignitosa la vita dei nostri pendolari”.

“Soprattutto è fondamentale attuare una politica di viabilità che sia intelligente e lungimirante. Non abbiamo bisogno dell’ennesima presentazione, degli ennesimi annunci, che servono solo per fare passerella politica, ma poi non si concretizzano in nulla di particolare. Ci vuole una revisione dei contratti esistenti tra regione Trenitalia e fra Stato ed Rfi, un piano concreto, di reale, tangibile sviluppo e soprattutto attuato in tempi certi, in modo che non rimanga solamente un desiderio o una promessa, ma si traduca in vantaggi concreti” conclude Alice Salvatore.

Alesben B.



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