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2 giugno: donne e disuguaglianze di sesso


2 giugno 2020, il primo anniversario della nostra Repubblica dell’era del coronavirus. I social riecheggiano ancora slogan su “prima gli italiani”, “aiutare gli italiani”, “comprare italiano”, “quest’anno fare le vacanze in Italia” ecc. ma chi sono gli italiani? Qual è l’identità degli italiani?

di Luigi Vassallo

Perché questa scheda?

C’è forse un’identità biologica degli italiani? NO, una tale identità è smentita dalla storia e dalla mescolanza nel nostro territorio e nel nostro popolo di etnie e di tradizioni diverse.

C’è un’identità della tradizione degli italiani? NO, perché  in Italia ci sono tradizioni di città, di paesi, di villaggi; ci sono modi diversi di mangiare, modi diversi di pensare, modi diversi di parlare  ecc.; e queste diversità sono solo in parte nascoste dai fenomeni di migrazione interna o dall’uniformità omogeneizzante perseguita dalla TV e dalla scuola di massa.

Allora c’è un’identità di religione degli italiani? NO, perché esistono minoritarie confessioni cristiane diverse dalla cattolica e nello stesso cattolicesimo  ci sono modi diversi di intendere e praticare il cristianesimo: da quello  vistoso dell’adesione quasi pagana al culto di santi e madonne a quello in ritiro nei conventi o negli eremi, da quello più incline a dialogare con i potenti a quello più interessato a mettere i poveri al centro. E poi ci sono consistenti minoranze che praticano fedi lontane da quella cristiana.

L’unica identità, in cui tutti gli italiani dovrebbero riconoscersi, è quella fondata sui valori della Costituzione. Ecco, nella scheda seguente cercheremo questa identità nelle parole della Costituzione. 

LE PAROLE DELLA COSTITUZIONE 

  • L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione (art. 1)

Nella parola DEMOCRATICA si ritrovano due parole dell’antica lingua greca: DEMOS, che significa popolo, e KRATOS, che significa forza. Ma cos’è un popolo? POPOLO significa un insieme di individui che hanno in comune lingua, cultura, storia, diritti, doveri. È un concetto che nei secoli è stato ristretto o allargato. Così nell’antica Atene, che viene citata come il più alto esempio di democrazia della storia passata,  non tutti quelli che abitavano in Atene facevano parte del popolo e neppure tutti quelli che in Atene erano nati. Del popolo ateniese facevano parte i maschi adulti  liberi  nati da entrambi i genitori ateniesi liberi; non ne facevano parte le donne né gli schiavi né gli immigrati né quelli che avevano solo il padre o la madre ateniese né, ovviamente, i minorenni. Del POPOLO ITALIANO, invece, fanno parte oggi tutte le cittadine e tutti i cittadini, che, come dice l’art. 3, hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Del popolo italiano, dunque, fanno parte donne e uomini, qualsiasi lingua parlino, qualsiasi idea politica o religiosa abbiano, di qualsiasi colore sia la loro pelle, che siano ricchi o poveri. A questo popolo appartiene la SOVRANITA’

La sovranità è una qualità giuridica pertinente allo Stato in quanto potere originario e indipendente da ogni altro potere.

Fino al 2 giugno 1946 la sovranità spetta al re (discendente di Casa Savoia), temperata dallo Statuto Albertino, che è una concessione del re alla società e che può essere modificato anche solo con una legge ordinaria, cosa che fece il fascismo, costruendo per vie legali il suo regime dittatoriale.

Dal 2 giugno 1946 il referendum, sostituendo per volontà della maggioranza degli elettori la Repubblica alla Monarchia, pone il problema di una nuova sovranità.

Prima della Costituzione scritta la sovranità è diventata parte del popolo attraverso la Resistenza: a) con l’8 settembre 1943 crolla lo Stato, col re e il suo governo in fuga verso sud, il Centro-Nord occupato dai tedeschi non più alleati dell’Italia, appoggiati dalla rinascita fascista nella Repubblica Sociale Italiana, il Sud “liberato” dagli anglo-americani; b) di fronte a questo crollo, i singoli si appropriano della sovranità, in forme e scelte diverse: donne, civili, preti e suore e ministri di altre confessioni religiose, militari, funzionari, partigiani; c) nella banda partigiana in particolare la sovranità dei singoli diventa sovranità solidale e collegiale: si condivide, si decide insieme, si instaura un diritto partigiano nel territorio; i partiti antifascisti, che si stanno ricostruendo dopo un ventennio di dittatura, faticano a governare questo movimento di recupero della sovranità da parte di molti che, per la loro giovane età, hanno conosciuto solo l’educazione politica fascista del motto “Credere. Obbedire. Combattere”. Pochi gli esempi di affermazione di sovranità riconquistata al Sud: famoso quello delle 4 Giornate di Napoli.

  • Diritti inalienabili e doveri inderogabili (art. 2)

La democrazia non è solo diritti e i diritti non sono la stessa cosa dei legittimi desideri personali. I DIRITTI INVIOLABILI hanno a che fare con la sovranità: diritto alla vita, alla partecipazione economica sociale culturale, perché solo partecipando si è effettivamente sovrani e non sudditi. L’altra faccia dei diritti della sovranità sono i DOVERI INDEROGABILI che spettano ad ognuno di noi in quanto legati da vincoli di solidarietà agli altri singoli sovrani, che interagiscono tra loro in una sovranità collegiale.

Fa’ quello che vuoi e fregatene delle conseguenze è il contrario di diritti inviolabili coniugati con doveri inderogabili. La nostra società, dal punto di vista costituzionale, non è una somma di individui e di egoismi, è invece una sinergia di sovranità singole che si realizzano in una sovranità collegiale, contribuendovi ognuna con le proprie specificità e capacità.

  • Pari dignità sociale e eguali davanti alla legge (art. 3)

Senza distinzione di SESSO. Per il fascismo la donna valeva solo come “fattrice” e nutrice di futuri guerrieri. Con la Costituzione inizia la lunga marcia delle donne E ancora per molti anni dopo il 2 giugno 1946 alle donne italiane fu vietato di diventare giudici, fu imposta la subalternità nel diritto di famiglia, fu riconosciuto il loro assassinio da parte di mariti come una cosa poco grave in quanto delitto d’onore, furono negati il diritto al divorzio, la libertà s scegliere (con dolore) la soluzione dell’aborto, l’accesso informato all’uso di anticoncezionali; e ancora oggi le donne italiane sono vittime di femminicidi, spesso in casa, e di discriminazioni economiche e nelle carriere in campo imprenditoriale, scientifico, politico. E’ ora di ribadire con forza che le differenze di sesso non sono disuguaglianze di livello ma approcci psicobiologici complementari ai problemi dell’esistenza.

RAZZA –  Nel 1938 il regime fascista, con la firma del re, estese all’Italia i principi della legislazione tedesca antiebraica, sostenendo quest’operazione con un bombardamento culturale da parte di pseudo scienziati, allineati col regime, su presunte scientifiche divisioni razziali tra gli esseri umani, che vengono sconfessate in generale dai dati della genetica  e, in particolare per l’Italia, dalla storia delle migrazioni e delle mescolanze di etnie. Appiattire l’identità di una persona sul suo presunto patrimonio genetico o sulla storia del suo popolo o della sua famiglia significa negare il valore  della persona, riducendola a manifestazione occasionale di stereotipi. Con l’operazione del 1938 il regime fascista avviò nei riguardi del popolo ebraico la persecuzione dei diritti (con l’esclusione dalle scuole, dai lavori, dalle relazioni sociali che erano consentiti ai “veri” italiani), che, dopo l’8 settembre 1943 si trasformò in persecuzione delle vite con la collaborazione dei fascisti ai rastrellamenti operati dai tedeschi per deportare gli ebrei italiani nei campi di sterminio.

LINGUA –  Il regime fascista operò una sistematica repressione delle minoranze linguistiche, che, vivendo in Italia, erano costituite da cittadini italiani, che pure parlavano altre lingue (francese, tedesco, sloveno, croato). In particolare nei riguardi di sloveni e croati il regime fascista cercò di distruggerne l’identità culturale con la proibizione ad usare la lingua in pubblico, l’obbligo di italianizzare i cognomi delle famiglie e i nomi dei luoghi, la chiusura di scuole di lingua diversa dall’italiana, l’estromissione delle minoranze linguistiche dal pubblico impiego ecc. Con questa repressione il regime fascista contribuì a diffondere nelle popolazioni slovene e croate un’identificazione tra fascista e italiano, che costituì la premessa per la collaborazione popolare al massacro di italiani (non tutti fascisti) da parte dei  partigiani jugoslavi nelle foibe.

RELIGIONE – Per intenti politici il fascismo aveva mostrato ossequio nei riguardi della religione cattolica, anche se non erano mancati nel ventennio del regime momenti di contrasto con la Chiesa cattolica, con il papato e soprattutto con singoli sacerdoti. La Costituzione, rinunciando all’identificazione del cattolicesimo come unica religione riconosciuta dallo Stato, ha affermato la libertà di ogni cittadino o cittadina di credere in un qualsiasi dio o di non credere in nessun dio.

OPINIONI POLITICHE –  Il regime fascista aveva sciolto tutti i partiti, ad esclusione di quello fascista. Lo stesso aveva fatto con i sindacati e con le associazioni non fasciste, sopportando solo, con qualche tensione, l’Azione Cattolica. Dopo la caduta di Mussolini (abbandonato dai suoi stessi gerarchi a causa della catastrofe della guerra) il 25 luglio 1943  ricomparvero in Italia i partiti antifascisti, che erano faticosamente sopravvissuti nella clandestinità in Italia o all’estero. E durante la Resistenza (sia nella lotta armata che nelle varie manifestazioni di opposizione popolare ai nazisti e ai fascisti) ripresero a circolare tutte le idee politiche. La Costituzione, riconoscendo valore e dignità a tutte le opinioni politiche, ci ammonisce che un partito, un’idea politica, non è una verità assoluta, ma solo un punto di vista di una parte (grande o piccola della società) che deve confrontarsi con i punti di vista di altre parti: Il Parlamento, eletto dal voto del popolo, è la sede istituzionale in cui, confrontandosi, anche animatamente, i partiti da espressione di interessi di parte costruiscono un percorso comune nel quale gli interessi delle varie parti trovino una sintesi provvisoria nel nome di un bene comune. Così dovrebbe essere, secondo la nostra Costituzione. L’unico punto di vista (l’unica idea politica) inconciliabile con l’art. 3 della Costituzione è quello che non riconosce agli altri il diritto di esprimersi. Un giorno un deputato, che era stato partigiano contro i fascisti, rispondendo a un deputato ex fascista che parlava male della Resistenza, disse “Tu puoi parlare perché abbiamo vinto noi. Se aveste vinto voi, io non potrei parlare”.

CONDIZIONI PERSONALI E SOCIALI –  Il filosofo Immanuel Kant sosteneva che ogni uomo è un “fine” cioè un valore in sé e per sé, e non per quello che possiede o quello che sa fare., Certamente, in una visione non statica della democrazia lo Stato deve garantire che il valore di ognuno possa essere rafforzato e accresciuto da misure civiche che rendano ognuno effettivamente partecipe della sovranità di cui parla l’art. 1 della Costituzione. In ogni caso, tuttavia, ognuno resta un valore.

Il primo comma dell’art. 3 definisce in termini di principi la pari dignità sociale e eguaglianza davanti alla legge, ma il secondo comma impegna la Repubblica (lo Stato, le autonomie locali e l’autonomia scolastica) a passare dalla proclamazione teorica a una effettiva realtà di pari dignità e eguaglianza, affermando che è compito della Repubblica

RIMUOVERE GLI OSTACOLI DI ORDINE ECONOMICO E SOCIALE – Chi nasce ricco, chi nasce povero. Chi vive in una famiglia istruita, chi in una famiglia scarsamente acculturata. Chi vive in un territorio ricco di opportunità, chi in un territorio economicamente e culturalmente deprivato. Siamo uguali in via di principio, ma siamo disuguali nei fatti a causa delle nostre diverse condizioni economiche e sociali.

(OSTACOLI) CHE, LIMITANDO DI FATTO LA LIBERTA’ E L’EGUAGLIANZA DEI CITTADINI, IMPEDISCONO IL PIENO SVILUPPO DELLA PERSONA UMANA E L’EFFETTIVA PARTECIPAZIONE DI TUTTI I LAVORATORI ALL’ORGANIZZAZIONE POLITICA, ECONOMICA E SOCIALE DEL PAESE.  È compito della Repubblica (cioè dello Stato e di tutte le sue articolazioni, a partire dalla scuola) mettere tutti i cittadini in grado di esercitare consapevolmente e responsabilmente la sovranità sancita all’art. 1.

  • Il diritto e il dovere di lavorare (art. 4)

L’articolo 1 definisce l’Italia una repubblica democratica fondata sul lavoro. Il lavoro ritorna come diritto e dovere nell’art. 4. Che il lavoro sia il fondamento della nostra Repubblica significa che questa Repubblica non si fonda sui privilegi, sulle discriminazioni, sulle differenze di classe, ma si fonda sulla capacità di ognuno di contribuire con gli altri alla crescita della nostra società.

Lavoro, che sia manuale o intellettuale, è molto di più di un mezzo per la propria sopravvivenza o il sostentamento economico della propria famiglia. Lavoro è interazione con la natura e con l’ambiente. Lavoro è. interazione con gli altri in un progetto che ha per orizzonte il progresso materiale e spirituale della società. Il mio diritto al lavoro è garantito dalla Costituzione (almeno come principio guida, anche quando i fatti lo contraddicono) non solo perché io possa liberarmi dagli ostacoli economici ma soprattutto perché io possa esercitare concretamente, con gli altri, la mia sovranità. Al tempo stesso la Costituzione esige da me e dagli altri il dovere di lavorare cioè il dovere di partecipare come cittadino sovrano (e non come un suddito, magari assistito economicamente dallo Stato) alla costruzione della società di tutti.

Ancora una volta la sovranità sancita all’art. 1 è chiamata a misurarsi con sfide concrete.

  • La Repubblica una e indivisibile e le autonomie locali (art. 5)

La storia della nostra Italia è una storia di tante realtà locali, ognuna con sue caratteristiche specifiche. Queste differenti realtà locali potevano essere unificate nel Risorgimento seguendo due strade diverse: o uniformando, almeno sulla carta, le realtà locali a un’unica realtà aggregante o valorizzando le specificità locali in un’unità che, senza annullare le differenze, facesse interagire i punti comuni. Storicamente il nostro Risorgimento si compì secondo la prima via, quella della centralizzazione sotto casa Savoia, che a tratti assunse i caratteri di una conquista (vedi il caso del Brigantaggio meridionale), mentre uscì sconfitta la linea federalista.

La nostra Costituzione, nella quale confluivano le sovranità delle bande partigiane che avevano in concreto sperimentato l’autonomia e l’autogoverno come alternativa sia allo Stato totalitario che allo sfascio del settembre 1943, ha cercato di coniugare  il principio dell’unità indivisibile con quello della valorizzazione delle autonomia locali, come forma di partecipazione attiva ed esercizio della sovranità dei cittadini. Al di là delle deformazioni patologiche, che purtroppo non sono mancate e non mancano, si ispirano a questo tentativo gli spazi di autonomia e autogoverno che la legge riconosce alle Regioni, alle Province (che sono, però, in via di smantellamento), ai Comuni, alle articolazioni in municipi dei grandi Comuni, e, infine, alla scuola.

  • La Repubblica tutela le minoranze linguistiche (art. 6)

È il contrario di quello che il regime fascista fece con le minoranze linguistiche in Italia.  È l’esplicitazione del “senza distinzione di lingua” dell’art. 3: un principio solo dichiarato, infatti, resta una bella frase se non viene tradotto in comportamenti concreti e vincolanti per chi è chiamato a dare attuazione alla Costituzione.

  • Chiesa Cattolica e Stato, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani (art. 7)
  • Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge (art. 8)

In questi due articoli  si sostanzia il “senza distinzione di religione” dell’art. 3: chi non è cattolico non è più un cittadino di serie B, anche se l’attuazione di questo principio ha incontrato per diversi anni non pochi ostacoli. Basti pensare al fatto che per troppo tempo l’insegnamento della religione cattolica è stato obbligatorio nelle scuole di ogni ordine e grado e chi non voleva seguirlo doveva sobbarcarsi a richiedere esplicitamente di esserne esonerato, fino a quando una revisione degli accordi tra Stato e Chiesa cattolica ha capovolto le situazioni, rendendo opzionale l’insegnamento della religione cattolica e obbligando chi ne avesse interesse a fare esplicita richiesta. L’art 7, che, per la regolazione dei rapporti  tra Stato e Chiesa cattolica, richiama i Patti Lateranensi già sottoscritti dal regime fascista, è frutto di un realismo politico del Partito Comunista Italiano all’interno dell’Assemblea Costituente, ma non inficia la libertà di tutte le altre confessioni religiose, con le quali l’art. 8 prevede che siano stipulate intese con lo Stato.

  • Lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge (art. 10)

Quando i Costituenti scrissero quest’articolo non arrivavano ancora sulle nostre coste  frotte di immigrati. Allora ad emigrare erano gli italiani. E tuttavia i Costituenti inserirono nella Costituzione  il principio che la libertà (la libertà economica, quella politica, quella religiosa ecc.) o è di tutti o non è. Oggi questo principio è messo a dura prova dal confronto con la realtà di masse di disperati, che cercano da noi la terra promessa, e con l’apparente buonsenso della domanda “Possiamo noi accogliere tutti i disperati del mondo?”.

La risposta va cercata  in soluzioni politiche coerenti col principio  dell’art. 10 e, quindi, in una visione  complessiva che superi il punto di vista  dei singoli Stati per approdare  a un punto di vista mondiale. Perché la migrazione dei popoli, che c’è sempre stata nella storia umana, acquista oggi e acquisterà sempre più in futuro le caratteristiche di un fenomeno epocale, incontenibile con strumenti come il respingimento o il blocco navale.

  • L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali (art. 11)

Ripudia è molto più forte di “rifiuta”: io rifiuto oggi, ma poi posso ripensarci e accettare domani quello che avevo rifiutato; se invece “ripudio”, il mio rifiuto è per sempre, è irreversibile. I Costituenti sapevano bene che il nazismo e il fascismo non si sarebbero potuti fermare senza combattere, non a caso diversi tra i loro erano stati partigiani o partigiane: quest’articolo, quindi, non è una proclamazione di non violenza in senso assoluto.

I Costituenti, però, sapevano anche che le guerre – persino quando si è costretti a combatterle per la libertà e la democrazia – causano distruzioni, morti, sfaceli morali e materiali. Lo sapevano per esperienza diretta e perché questa nostra Costituzione la stavano scrivendo in mezzo alle macerie.

Quelli di loro che erano stati partigiani avevano sparato e ucciso perché non si dovesse sparare e uccidere mai più. Questo era il loro orizzonte..e allora l’art. 11 va letto come un impegno a superare i limiti del nazionalismo e del sovranismo, che portano spesso a concepire la guerra come un’opzione legittima per difendere i propri interessi, e a costruire un nuovo ordinamento mondiale fondato su pace e giustizia. Questo articolo, come gli altri articoli che proclamano i principi fondamentali della nostra Costituzione, è un impegno che i Costituenti assunsero in nome dell’Italia.

A fronte di questo impegno, non è difficile constatare che la Costituzione  non è ancora realtà compiuta. Ma questa constatazione non deve suggerire sfiducia né rassegnazione. Perché – come scrisse  Piero Calamandrei, uno dei Costituenti – la Costituzione è una dichiarazione polemica contro il fascismo per quello che il fascismo è stato, ma è anche una dichiarazione polemica contro qualsiasi governo della Repubblica Italiana indugi ad adempiere i propri compiti rispetto ai principi fondamentali.

Luigi Vassallo


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