Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Il libro di Triora / A Castelfranco furiosa lite al Tresette col parroco: coltellate, bastonate
E storia del martire San Giovanni Lantrua
Tutti i cantoni della Repubblica Ligure


Altre pagine, tra curiosità e costumi, nell’Ottocento di Triora, del libro di Sandro Oddo “La Grande Podesteria”. Storia civile e religiosa di un antico borgo che spazia nel ponente ligure e nella Repubblica Ligure. Triora che forse, non è molto risaputo, può onorare e pregare anche per un suo sanato: San Giovanni Lantrua. Nel gennaio 1798, dopo aver ottenuto il permesso, partì alla volta di Lisbona, da dove l’anno seguente, il 22 maggio, salpò alla volta dell’oriente e della Cina, dove erano in corso terribili persecuzioni nei confronti dei cristiani.

Catturato il 25 luglio 1816 assieme ad alcuni suoi collaboratori, dovette subire una lunga prigionia, con torture atroci, in diverse carceri, fino a quando, il 7 febbraio 1816, fu condotto al martirio, volando verso il Creatore (leggi a fondo pagina).

ALTERCO PER UNA PARTITA DI TRESSETTE

L’otto giugno 1803 a Castelfranco, lungo la strada pubblica e nelle vicinanze dell’abitazione di Domenico Allavena il reverendo Luigi Rebaudo e Giacomo Giraldi decisero di giocare a tressette, mettendo in palio un fiasco di vino. A perdere fu il religioso, che pagò il fiasco. Dopo aver bevuto, continuarono a giocare ed il prete perse nuovamente tre o quattro partite; gli venne perciò richiesto di pagare in contanti l’ammontare della perdita. Poiché preferiva che i soldi venissero spesi in vino, si accese un acceso dibattito, con il Giraldi che urtò violentemente il Rebaudo, mettendogli una mano alla gola. In tutta risposta il religioso gli saltò addosso, estraendo dalla tasca dei calzoni un coltello, menando alcuni colpi, non andati a segno per l’intervento di alcuni presenti.

Padre Rebaudo riprese il cammino, con l’intenzione di tornarsene a casa, ma giunto nei pressi della casa di Stefano Rebaudo, udì una voce gridare:

  • Guardatevi!

Era il Giraldi che, con un bastone in mano, colpì ripetutamente il malcapitato, procurandogli diverse ferite. Per fortuna intervennero nuovamente alcune persone a trattenerlo ed il peggio venne scongiurato. Dopo di che padre Rebaudo se ne andò a casa. Il 12 dicembre il prete si presentò spontaneamente dal giudice confessando il fatto, rimettendosi in tutto e per tutto alle decisioni del Tribunale di Sanremo. Il Rebaudo se la cavò con una pena di trenta lire in moneta di Genova. Il 4 gennaio 1804 si costituì spontaneamente anche il Giraldi, ammettendo le proprie colpe. La pena fu di quaranta lire in moneta di Genova. Dopo il pagamento delle somme, il processo venne dichiarato concluso ed i due fecero la pace[1].

[1] ARCHIVIO DI STATO IMPERIA, SEZIONE DI SANREMO, Curia 3/5.

E TRIORA DIVENNE FRANCESE… 

Il 17 marzo 1805 la Repubblica Italiana, istituita nel 1802, venne trasformata in Regno d’Italia e l’imperatore Napoleone Bonaparte ne fu incoronato re il 26 maggio nel duomo di Milano, quando, nel porsi sul capo la corona ferrea, pronunciò la famosa frase: “Dio me l’ha data! Guai a chi me la tocca!”.

Tra l’entusiasmo generale un plebiscito delle popolazioni liguri votò a gran maggioranza l’annessione all’impero francese. Con decreto n. 816 del 5 giugno di quello stesso anno, si procedette alla ripartizione amministrativa ossia alla divisione della precedente Repubblica ligure. I paesi situati sulla riva destra del fiume Taggia, quindi anche Triora, entrarono a far parte del dipartimento delle Alpi Marittime, circondario di Sanremo, sotto la giurisdizione del Senato di Nizza. I sindaci furono sostituiti da maires, designati dai prefetti dei vari dipartimenti. Lingua ufficiale divenne il francese ed i documenti, compresi gli atti di stato civile (nascita, matrimonio e morte)[1] furono redatti in tale lingua.

[1] Gli atti di nascita, matrimonio e morte del Comune di Triora, dal 1806 al 1814, sono depositati nell’Archivio Parrocchiale di Triora.

LA PARTENZA DEI FRANCESCANI

Il 25 aprile 1810 a Compiègne l’imperatore Napoleone decretò “la soppressione delle compagnie, congregazioni, comunie ed associazioni ecclesiastiche” di qualunque natura, ad eccezione dei vescovati, arcivescovati, seminari, capitoli delle cattedrali e delle collegiate più insigni, parrocchie e loro succursali, ospedalieri e suore di carità. Non sarebbe stato permesso vestire l’abito di alcun ordine religioso. Il provvedimento toccò quindi anche il convento di San Francesco di Triora.

Il padre guardiano fra Pietro da Pietrabruna e gli altri sette religiosi che dimoravano nel convento furono costretti a cedere tutti i loro beni, consistenti soltanto in un orto situato nella cinta di clausura e in un modesto appezzamento di terreno in località Gorda, dove erano stati piantati alcuni alberi di castagno. Avendo fatto voto di povertà, i frati avevano infatti sistematicamente venduto i terreni, di volta in volta loro donati, destinando i proventi alla manutenzione dell’edificio ed al loro stesso mantenimento. Gli arredi trovarono invece collocazione nelle numerose chiese, in primis nella parrocchiale di Triora e nella chiesa di San Lorenzo a Molini, dove vennero posti, fra gli altri oggetti sacri, l’altar maggiore in marmo e le balaustre.

IL MARTIRIO DI SAN GIOVANNI LANTRUA 

Era il 3 febbraio 1742 quando il curato Bernardino Rebaudo, alla presenza dei testimoni Bernardino Moriano e Carlo Oddo, unì in matrimonio, davanti alla chiesa parrocchiale triorese, Antonio Maria Lantrua e Maria Pasquale Ferraironi. Di certo né il religioso né i giovani sposi pensavano che da quella unione sarebbe nata una gemma, un esempio da ricordare perennemente. Diciotto anni dopo, e precisamente il 15 marzo 1760, veniva alla luce Francesco Maria[1].

Fin dall’adolescenza Franceschino era chiamato “santello”, per la sua attitudine a sostare a lungo in preghiera nella chiesa parrocchiale di Molini. Questa abitudine venne mantenuta anche quando si recò a frequentare le scuole a Triora. Per continuare gli studi si trasferì, appena quindicenne, a Porto Maurizio presso i padri barnabiti, dove maturò la sua definitiva vocazione: la decisione di entrare tra i frati minori, la cui attività ed opera caritatevole aveva già appreso ed apprezzato nel convento di san Francesco a Triora.

Il canonico Giacinto Capponi, decano del capitolo della collegiata triorese, ebbe a dichiarare che, nel corso degli anni trascorsi assieme sia nelle scuole di Triora che in quelle di Porto Maurizio, il giovane “era edificante per le sue rare eccellenti prerogative, come di giovane allegro, morigerato, devoto, ritiratissimo e paziente anche nelle più critiche circostanze, e che non di rado si trovava a dover fare viaggi di dieci ore per recarsi fra i suoi a provvedersi delle necessarie provvigioni al proprio sostentamento, recandosi a Molini di Triora, sua patria.” Gli stessi suoi insegnanti, i padri Bruchieri e Sanguinetti, rimasero stupiti per la sua indole delicata e mite, straordinaria veramente in mezzo ad una scolaresca numerosa di giovani nell’età più vivace.

Nonostante l’iniziale resistenza dei genitori, Francesco Maria si trasferì nel 1777 a Roma, accolto nel convento nell’Aracoeli da Padre Luigi di Porto Maurizio, vestendo il primo marzo di quell’anno il saio francescano nel convento di San Bernardino di Orte. Dopo aver esercitato la professione solenne il 9 marzo 1778 e ricevuto la tonsura l’anno successivo, fu nel 1780 ammesso agli Ordini minori. Nel frattempo aveva assunto il nome di Giovanni, discepolo prediletto di Cristo, in ricordo anche di padre Giovanni da Monte Corvino, primo apostolo della Cina. Verso questa terra lontana e poco accogliente sentiva un richiamo irresistibile, per il suo innato desiderio di essere utile al prossimo e di propagare il verbo del Signore. Fu così che nel gennaio 1798, dopo aver ottenuto il permesso, partì alla volta di Lisbona, da dove l’anno seguente, e precisamente il 22 maggio salpò alla volta dell’oriente e della Cina, dove erano in corso terribili persecuzioni nei confronti dei cristiani.

Da quel momento la sua vita cambiò radicalmente, in un alternarsi di soddisfazioni e di profonde delusioni, di amicizie e di tradimenti, al solo scopo di aiutare coloro che avevano quale unica colpa quella di aver scelto la religione di Cristo. Catturato il 25 luglio 1816 assieme ad alcuni suoi collaboratori, dovette subire una lunga prigionia, con torture atroci, in diverse carceri, fino a quando, il 7 febbraio 1816, fu condotto al martirio, volando verso il Creatore.

Della sua breve ma tormentata esistenza hanno trattato diffusamente diversi autori. Primo fra tutti fu G. Antonelli nel 1900, con un libro un po’ ampolloso ma ricco di documenti e di preziose testimonianze. In seguito vennero editi Vie et martyre du bienheureux Jean de Triora béatifié le 17 mai 1900 di anonimo, Compendio della vita del B. Giovanni da Triora (Tipografia O. Lucci, 1924), Il Beato Giovanni da Triora O.F.M., martire in Cina (Tipografia Centenari, 1966), Per un ideale. Il B. Giovanni da Triora O.F.M., martire in Cina (1760-1816), di E. Romanelli (1986), Il Beato Giovanni Lantrua da Triora, di Elio Baudo (Tipografia Dominici 1996), Testimone del vangelo. Dalla missione al martirio. San Giovanni da Triora, di M. Fusarelli (Edizioni Frate Francesco, 2000) e, per ultimo, l’agile volumetto di don Giacomo Simonetti, Una vita per Cristo, San Giovanni Lantrua, missionario e martire in Cina (Tipografia Casabianca, 2000).

E’ indispensabile tuttavia sottolineare che padre Giovanni Lantrua venne beatificato da papa Leone XIII il 27 maggio 1900 e che cento anni dopo, e precisamente il 1 ottobre 2000, papa Giovanni Paolo II procedette alla solenne canonizzazione del martire molinese.

In questa sede ci preme evidenziare il grande culto dedicato al santo dai molinesi, che lo festeggiano ogni anno il 7 febbraio, giorno del suo martirio. Una sacra reliquia, consistente in un avambraccio, fu deposta in una ricca urna di metallo argentato, accompagnata a Molini dal suo illustre concittadino monsignor Pietro Balestra, arcivescovo e primate di Sardegna. Nel 1904, come risulta da una lapide, la reliquia del santo venne collocata nell’apposito altare che gli venne dedicato, sopra il quale è il bel quadro dell’artista romano Senatore, eseguito nel 1901. Da segnalare anche un’altra lapide, che testualmente recita: “A perenne ricordo di Lantrua Giovanni, che per promuovere il culto devoto e pio verso il nostro insigne concittadino Beato Giovanni Lantrua elargiva a questa chiesa parrocchiale la somma di lire duemila. La fabbriceria riconoscente. Q.M.P. 1925”. Questo benefattore, appartenente all’albero genealogico del santo e meglio noto come Giuan dâ sô, perché vendeva il sale, si trasferì verso nell’ultimo decennio del XIX secolo a Triora, dove edificò un famoso albergo, l’Umberto I, purtroppo distrutto nel corso dell’ultima guerra mondiale. Pur benestante, non aveva dimenticato il proprio paese e ne aveva dimostrato l’attaccamento in modo veramente concreto.

Il paese natale dedicò al suo santo un ricreatorio parrocchiale, costruito negli anni 1928-1930 su di un terreno donato da don Domenico Ferrari e da Tunolu Lantrua e nel periodo dal 1951 al 1954 fu adeguatamente sistemata la casa natale, abitata dalla signorina Pasqualina Lantrua, con l’edificazione di una cappella, contenente alcuni ricordi ed attestazioni sulla vita del santo. Parallelamente venne benedetto un grandioso monumento bronzeo nelle immediate vicinanze della chiesa parrocchiale.

Anche la vicina Triora, alla quale apparteneva Molini sia alla data di nascita di san Giovanni che all’epoca della beatificazione, possiede alcune reliquie, conservate in un’artistica urna dorata, collocata nell’altare del Sacro Cuore della collegiata. Non pago, il Comune ha voluto dedicargli anche un’importante via, cioè quella che da piazza Bronda si dirige verso Loreto.

Non va dimenticato, inoltre, che il canonico Carlo Mandracci, appassionato di teatro, scrisse nel 1914 un dramma di tre atti, dal titolo Il Beato Giovanni Lantrua, pubblicato  dalla tipografia sanremese Forville & C. e rappresentato nel teatrino comunale del luogo, creato dalla benemerita cagliaritana Margherita Brassetti.

Il corpo del santo è stato collocato in Aracoeli a Roma, dove i fedeli possono venerarlo e pregarlo. Come abbiamo già riferito, la capitale dedicò a Giovanni da Triora una piazza, nel popolare quartiere della Garbatella[2].

Eccezionalmente l’urna contenente i resti mortali del santo fu trasferita nella chiesa di San Lorenzo Martire a Molini, in occasione del Giubileo 2015. Qui sostò dal 15 marzo al 21 novembre di quell’anno, venerata da migliaia di pellegrini e con la celebrazione di numerose sante messe. Per festeggiare l’importantissimo avvenimento, fortemente voluto da alcuni lontani discendenti della famiglia Lantrua, prima della partenza dell’urna furono dedicate due piazze molinesi a personalità legate al santo. In particolare venne intitolato a papa Giovanni Paolo II l’ampio piazzale in località Isuazza, quale ringraziamento ed omaggio per aver proclamato santo il martire francescano; successivamente venne dedicato il piazzale antistante il santuario della Madonna della Montà a mons. Ferdinando Novella, parroco molinese per ben 52 anni e figura indimenticabile dell’alta valle Argentina[3].

[1] Fortunatamente l’atto di nascita e battesimo era stato trascritto nel 1900 dall’arciprete don Allaria Gio Batta, quando fu necessario un certificato per la causa di beatificazione. In particolare, dal registro degli atti di nascita della parrocchia di San Lorenzo di Molini di Triora, Diocesi di Ventimiglia, risultava:

  1. 34. Millesimo Septingentesimo Sexagesimo Franciscus Maria filius Antonii Mariae Lantrua quondam Hyeronimi, et eius coniugis Mariae Paschalis huius loci Molinorum filiae D. Vincenti Ferraironi e Triora, natus est die 15 Martii et die postera baptizatus est a me: Patrini D. Antonio Maria Rainaldi Medicus atq.: D. Maria Paschalis uxor. D. Antonii Mariae Capponi Joannis Baptistae Notaii.

Antonius Laurentius Notta Curatus (ma più verosimilmente potrebbe trattarsi di Natta).

Si dice “fortunatamente” poiché i registri vennero distrutti nel corso dell’ultima guerra mondiale.

[2] Sandro ODDO, Dedicato a San Giovanni Lantrua, U santu dî Muìn, da Le stagioni di Triora, anno XVIII, n. 3, estate 2010.

[3] Per la cronaca degli avvenimenti può essere utile leggere Il ritorno del Santo e Arrivederci, santo! pubblicati su Le stagioni di Triora, anno XXIII, n. 2 e anno XXIV, n. 1.

DIVISIONE TERRITORIO DELLA REPUBBLICA LIGURE 

Il 14-17 gennaio 1803 il territorio della Repubblica ligure venne diviso in 6 giurisdizioni e 47 cantoni.

La VI giurisdizione – quella degli Ulivi – era formata da 11 cantoni, cioè:

Cantone I – del Capo Berta

Cantone II – di Val di Maro

Cantone III – della Arozia

Cantone IV – della Centa

Cantone V – del Capo Mele

Cantone VI – del Capo Verde

Cantone VII – degli Ulivi

Cantone VIII – della Verdeggia

Cantone IX – dell’Argentina

Cantone X – delle Palme

Cantone XI – della Roia.

Il 27 maggio tale divisione fu rettificata. Il territorio risultò suddiviso nelle seguenti 6 giurisdizioni:

I – Giurisdizione del Centro (con 7 cantoni)

II – Giurisdizione del Lemmo (con 8 cantoni)

III – Giurisdizione dell’Entella (con 7 cantoni)

IV – Giurisdizione del Golfo di Venere (con 5 cantoni)

V – Giurisdizione di Colombo (con 9 cantoni)

VI – Giurisdizione degli Ulivi, con i seguenti 11 cantoni:

  • Cantone I – Oneglia
  • Cantone II – Borgo-Maro
  • Cantone III – Pieve
  • Cantone IV – Albenga
  • Cantone V – Alassio
  • Cantone VI – Diano
  • Cantone VII – Portomaurizio
  • Cantone VIII – Triora
  • Cantone IX – Taggia
  • Cantone X – San Remo
  • Cantone XI – Ventimiglia

 

 


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