Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Albenga ha salutato Alfonso, il villalbese
Da artigiano edile alla bancarella sul mercato
ricordando i Lo Cigno, Gaudenti, Passaniti, i Vaccaro. E caro don Paolo prega per me!


Uniti al cordoglio della famiglia Palermo per la perdita del carissimo Alfonso, villalbese d’origine, albenganese, gran lavoratore come molti  immigrati dal meridione d’Italia: i fratelli Lo Cigno di Villarosa Sicilia (Enna), i Gaudenti di Mussomeli (Caltanissetta), Vincenzo Passaniti ed i fratelli Vaccaro, Michele ed Antonio, calabresi e tantissimi altri della maestranza e manovalanza edile (circa 1200 lavoratori che, purtroppo, anche i partiti della ‘classe operaia’, nel Piano Regolatore Generale, prevedevano solo la “riconversione “ professionale di questi Poeti, da poieo/facitori, nel vero senso etimologico del lemma.

di Michele Di Giuseppe

Li porto tutti nel mio cuore da ex pubblico amministratore di anni ruggenti, a nome personale, dei veri ed onesti compaesani.

Alfonso Palermo gestiva una bancarella di frutta e verdura, al mercato settimanale di Albenga, con sua mamma Concetta, madre di famiglia numerosa (Alfonso, unico figlio maschio, e molte sorelle, di cui la sorella Lucia vive tuttora ad Auboué nel dipartimento della Meurthe et Moselle, nel nord est della Francia; Rosa, Maria e Calogera sono mancate ad Albenga, lasciando numerosa prole; alcuni di essi eseguono appalti edili per il Comune di Albenga. Vive  ad Albenga un’altra sorella di Alfonso, Nunzia.
Il nostro Alfonso, dopo l’esperienza da commerciante, intraprese l’attività di costruttore , realizzando diverse opere murarie sulla collina di Albenga, detta il Monte, sulla strada che conduce a San Fedele-Lusignano. Ebbe qualche problema, per le licenze, allora (forse avviene anche oggi) quando la P. A. rispondeva in tempi lunghissimi alle richieste dei cittadini. E gli  impresari – loro malgrado- dovevano lasciare a casa i propri dipendenti, con evidente danno non solo economico, ma anche sociale alle famiglie dei braccianti: manovali, muratori, piastrellisti e pavimentisti, ferraioli, scavatori ecc. Oggi, per fortuna, con lo sportello unico e – soprattutto – con il silenzio assenso anche la P. A. è spinta alla trasparenza ed alla cultura del servizio e non dell’essere “intoccabili” perché appongono un timbro (a volte anche di forma sostanziale, ma non sempre).
Come ho sintetizzato nel necrologio, definendolo “gran lavoratore”, e Poeti assieme con tutte le maestranze e manovalanza, spiccano in queste gran persone, oltre alla dedizione al lavoro per mantenere le loro famiglie, la fervida fantasia e l’ostinata volontà di sopravvivere, nonostante la triste eredità che custodivano del loro vissuto, provenendo – come detto nel necrologio di Alfonso – quasi tutti dal Meridione d’Italia. E come dimenticare, con pietà umana, che l’allora sindaco Romagnoli negava, quasi regolarmente, l’O. K. per la residenza anagrafica, violando il diritto costituzionalmente garantito ai cittadini, soprattutto lavoratori, di liberamente spostarsi sul territorio nazionale; il sindaco e gli uffici competenti ricorrevano spesso a cavilli, tipo la non capienza degli alloggi per le famiglie numerose.
Michele DI GIUSEPPE, Villalbese-Albenganese della prima generazione.

LETTERA A DON PAOLO FARINELLA (GENOVA)

Caro Paolo, fra noi possiamo pure parlare in dialetto Villalbese:

“” San Giusippùzzu c’u to vastùni
‘ncàrcaci li corna a ‘sti mangiapolènta,

ca di li Terrùna, ormai, su li Giardìni,

cuàmu quànnu li Burbùna
si vuàsiru scacciàri “”,

mutans mutandis, dovremmo intenderci.
Questa è la Chiesa scelta da nostro Signore Gesù: fatta di fragili persone umane. Essa, tu lo sai meglio di me, è santa non per la nostra santità, bensì perché Santo è Egli, Gesù, vero Dio e vero Uomo, il fondatore e il Capo della Chiesa.
Purtroppo siamo di cervice dura, non solo noi laici, ma anche i sorveglianti / episkopoi.
Non farti meraviglia del nostro metropolita, se ti può apparire funzionario statale (lo sai anche tu, come lo so anch’io, ch’egli fu – e credo – lo sia tutt’ora equiparato a un generale del nostro esercito, essendo stato vescovo castrense in Italia; tipo, sempre per intenderci, la Prelatura dell’Opus Dei. Dici bene, “Non era mai successo negli ultimi 75 anni (io l’ho compiuti lo scorso mese e tu non ci dovresti essere molto lontano, se siamo stati insieme in prima media a Valverde) di quasi vigenza della nostra Carta Costituzionale, che incluse – con l’art. 7 – lo status “sui generis” della nostra Chiesa.
Sic stantibus rebus, caro Paolo, personalmente mi ha fatto piacere (da laureato in giurisprudenza) che una voce autorevole abbia avuto il coraggio di interloquire (come usa esprimersi il nostro Conte) contro il rischio di turlupinarci con i DPCM, raggirando il nostro massimo organo legiferante democraticamente eletto dal Popolo sovrano, il Parlamento nazionale, già che ci provano anche i “reucci” regionali, sebbene limitati dalla competenza territoriale, funzionale e di merito.
Tanto secondo il diritto ecclesiastico (rapporti Chiesa-Stato), per quello canonico (rapporti interni alla Chiesa) sono d’accordo con te che ci vorrebbe di già un altro Concilio ecumenico (ma ci vorrebbe un altro Giovanni XXIII): quanto poco conosciamo della grandezza dell’Eucaristia! Quanto dovevano essere intimamente partecipate e corroboranti quelle Eucaristie vissute nelle domus ecclesiae di Narcisso, Aquila e Prisca, e di tante altre… fuori delle catacombe!
Ciò non solo per il Dio incarnato, ma anche per quello “incartato” (che per fortuna oggi, dopo la riforma liturgica di Papa Paolo VI, possiamo – sempre ovviamente volendo – meditare/gustare/far propria quella Parola che salva.
Bellissimo il tuo richiamo al trasformismo di Teilhard de Chardin, che nulla ha da temere dall’evoluzionismo darwiniano. Geme tutto il creato, che come noi aspetta la parusia!
Quanto ci spaventa, spesso, la salita dell’Oreb, per la nostra ignavia; altro che cirenei disponibili a portare la croce dei fratelli, buoni solo e prontamente a vedere la pagliuzza negli occhi degli altri e mai a riconoscere la trave dei nostri occhi.
Sappiamo, comunque, apprezzare lo Spirito che ovviamente spira dove vuole ed agisce a prescindere dai nostri umani desiderata, e ciò vale per in nostro fratello Francesco, chiamato a presiedere nella carità tutta la Chiesa universale, per il tuo Vescovo, nostro fratello “metrapolita” Angelo, per il mio della Chiesa particolare ch’è in Albenga-Imperia, come per tutti i battezzati e, come ci insegna la Nostra Aetate del Vat. II anche fuori dal perimetro della stessa Chiesa! W Dio!
Infine, se mi permetti, Paolo, non fare troppo il “picconatore” (Cossiga docebat); e, per concludere, ancora con il nostro dialetto siciliano, si guadagna “di cchiù cu na guccia di meli ca cu na vutti d’acetu“.
T’abbraccio, caro Paolo, ricordami nelle tue preghiere, ciao.
Michele Di Giuseppe


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